Blanche Paicham

Riprendo in mano dopo tanto tempo questa rubrica di “Detective lady” aggiungendo alla lista già corposa tre nuovi personaggi sfruttando in pratica tre recensioni.

Nella scelta personale dei libri gialli (in senso generale) da leggere fanno a gara tra loro diversi elementi: il nome dell’autore/trice, l’eventuale recensione letta (di recensori di cui mi fido), il tipo di giallo (classico, thriller, noir, psicologico ecc…Ogni tanto mi piace variare), l’incipit (a volte è proprio l’inizio che mi attrae) e la copertina. Sì, anche la copertina ha il suo bel carisma. Soprattutto quando, per qualche sua caratteristica, mi riporta indietro nel tempo. Come l’enorme pallone aerostatico che campeggia in Blanche o il cuore dell’assassino di Hervé Jubert, Salani 2008 che mi ha ricordato all’improvviso le letture fanciullesche di Verne e il suo bel giro in ottanta giorni.

Malloppone di 408 pagine che ha almeno a sua discolpa dei caratteri abbastanza grandi da essere facilmente letti da un giovincello incanutito come il sottoscritto.

Dico subito che incominciano ad andare di moda giovani detective, magari senza grilli per la testa, magari sole come la Blanche in questione (non riesce a prendere il treno con i suoi genitori). Insomma il tipo verginale dopo tante assatanate di sesso (per chi è interessato vedere mia rubrica “Detective lady”), come Maisie Dobbs di Jacqueline Winspear (per esempio), e mi pare che anche qualche pezzo grosso (vedi Henning Mankell) si sia buttato su questa nuova linea strategica (la purezza e l’innocenza mischiate con il fango fanno sempre un certo effetto).

Siamo nel 1870 durante l’assedio dei prussiani di Parigi. Idea non peregrina. La città assediata ricorda un po’ le case assediate dalla neve del giallo classico da cui non si poteva uscire. Dunque un thriller in uno spazio ben delimitato. Due piccioni con una fava.

La solita litania di assassini mostruosi: un cappellaio, un macchinista, un soldato, un fonditore di caratteri ecc…che porta alle sette sataniche e a Rebecca, la signora dei veleni. Tutti i cadaveri recano impresso un misterioso tatuaggio sul braccio sinistro e i loro nomi hanno origine dalla mitologia. La colpa ricade su Victor Pilotin, un giovane apprendista del cappellaio che riesce a fuggire e viene addirittura tenuto nascosto da Blanche (crede alla sua innocenza).

Dicevo di Blanche Paicham, diciassette anni, che si ritrova sola a Parigi separata dai genitori (era destino, l’avevano già persa più di una volta) ad aiutare nelle indagini lo zio Gaston Loiseau, ispettore di polizia sulla quarantina. Studia il “Dizionario di polizia”, suona il pianoforte, segue un corso accelerato nei locali della scuola di medicina, si prodiga come infermiera per alleviare il dolore dei soldati feriti.  Dunque fuori dagli schemi del suo tempo: energica, forte,  resistente “Quella giovane era una forza della natura. E alcuni di coloro che s’erano trovati tra la vita e la morte le dovevano gratitudine”. E anche concreta, realista “Si era nutrita di materialismo e, tra le sue certezze, c’era questa: che la magia era soltanto un paravento aperto davanti a fenomeni assolutamente reali. Nel loro caso cosa nascondeva? Una storia di potere, non c’erano dubbi in proposito”. Non manca il movimento, il colpo di scena, il pericolo (rischia addirittura di essere uccisa da suo zio), il travestimento e insomma tutto l’armamentario del vecchio feulletton. Compreso il volo sul pallone aerostatico con il famoso fotografo Nadar (realmente esistito). Il ritmo si fa via via più convulso sino all’epilogo finale e un’aura di mistero e magia nera serpeggia lungo tutto il libro.

Non male (anche se non rientra nei miei gusti).

Stephanie Plum

Se sulla copertina di un libro sono stampate a chiare lettere le milionate di copie vendute (di fronte alle poche migliaia dei miei tre gialletti) mi viene voglia di acquistare il libro e bruciarlo nel bel mezzo della Piazza del Campo.

Come nel caso di Due di troppo di Janet Evanovich, Salani 2008, che di copie pare ne abbia sfornate ben 5 (cinque) milioni. Mi sono bloccato quando ho visto che il personaggio principale è Stephanie Plum “l’investigatrice più sexy e simpatica del mondo”. Dunque il libro mi avrebbe fatto comodo sia per la recensione, sia per la mia rubrica dedicata alla “Detective lady”. Due piccioni con una fava. Non conveniva bruciarlo. Casomai dopo averlo letto. E questo è stato il mio errore.

Partiamo dalla seconda di copertina “Irresistibile, magnetica, divertente, Stephanie torna con la sua seconda avventura, in cui è alle prese con Kenny Mancuso, un ragazzo come tanti che probabilmente ha appena ammazzato il suo migliore amico. Ancora una volta finirà per scontrarsi con Joe Morelli, poliziotto di discutibile passato e dalla libido costantemente su di giri, con la cattiva abitudine di immischiarsi negli affari di Stephanie…Non è professionale, ma è molto convinta, non è bella però è sexy, più che coraggiosa è assolutamente incosciente, e ha un fiuto infallibile per i guai”.

Bene, c’è da divertirsi, mi sono detto fregandomi le mani. Il classico giallo spiritoso, magari come “Whiskey Sour” o “Niente baci alla francese” che mi  avevano strappato più di un sorriso. E infatti spigliata è spigliata questa Stephanie italo-ungherese (divorziata ma, udite udite, ha ancora in buona salute i genitori) che vive da sola con Rex, un criceto che gira tutto il giorno su una ruota. Come lavoro cerca di riportare in gattabuia chi è libero e non se lo merita. Incosciente è incosciente perché entra ed esce dagli appartamenti altrui con semplice noncuranza. Naturalmente senza permesso, altrimenti che incoscienza sarebbe. Veste sportiva (all’occorrenza elegante ma è un’impresa) con Levi’s e maglietta o camicia e scarpe da tennis. Mangia e beve sportivamente di tutto: torte, sciroppi, pompelmi, popcorn, KitKat, cioccolata, caffè, marshmallows (?), panini con miele e burro di arachidi, cheeseburger, patatine, pappa d’avena, succo d’arancia e così via. Occhi azzurri, pelle chiara, capelli ricci, lunghi fino alle spalle, Smith and Wesson Chief Special calibro trentotto a portata di mano, macchina Jeep Wrangler modello Sahara, carrozzeria beige mimetico

Qui è alle prese con il ritrovamento di 24 bare. Sì avete capito bene. Di ventiquattro bare che sono improvvisamente sparite dal luogo dove erano state collocate. Possibili sospettati tre o quattro individui e c’è di mezzo anche un traffico d’armi.

E poi c’è nonna Mazur settantadue anni che ricalca pari pari (o quasi) la Cora Felton di Parnell Hall. Più spigliata e incosciente della nipote, imbranata e spavalda allo stesso tempo che cade da tutte le parti e spara da tutte le parti.

Insomma mi sarei dovuto divertire un sacco. E invece mi sono un po’ annoiato delle solite battute spiritosette, dei soliti dialoghi inutili tanto per tirare avanti una situazione che stringi stringi poteva essere benissimo completata con metà pagine. E con questo Kenny Mancuso che gira da tutte le parti a combinarne di tutti i colori senza essere preso (una rabbia!).

Mancava solo la solita scena di sesso pazzesco che ci è stata (fortunatamente) risparmiata. Ma non ci è stata risparmiata l’immancabile citazione del dottor Watson e un “Finché la barca va” che mi ha dato la mazzata finale.

Eh, sì avrei dovuto bruciarlo prima. Ma chi ha ragione è l’autrice con le sue milionate di copie vendute. E al povero recensore non resta che stare zitto e portare a casa.

Tess Monaghan 

Questa volta mi ha attirato il cognome. Lippman. Ho preso in mano il libro.

Lippman, ma dove ho già letto questo cognome, ho farfugliato fra i denti. Lippman. Ma sì, un colpetto sulla fronte con la mano destra ed il ricordo è venuto fuori. Dal libro Scacco perpetuo di Icchokas Meras che stavo leggendo. Qui si trova un certo Abraham Lipman (con una sola “p”, però) che ha una discreta parte nella storia. Il libro mi piaceva e chissà che anche questo Baltimora Blues di Laura Lippman, Giano 2008, non mi facesse lo stesso effetto. Qualche volta è proprio il Caso a guidare le nostre scelte…

Trascrivo impunemente dalla seconda di copertina “Il giornale presso cui lavorava, il secondo quotidiano di Baltimora. Ha chiuso i battenti un paio di anni fa e da allora Tess Monaghan, ventinove anni, capelli lunghi castani raccolti in una treccia, la pelle chiara e gli occhi castani, non vive certo uno dei suoi momenti migliori. Senza lavoro e senza sussidio di disoccupazione, trascorre il tempo andandosene a vogare la mattina al Circolo di Canottaggio e a correre la sera per le strade di Baltimora che non se la passa bene nemmeno lei, col suo triste record di un omicidio al giorno.

Qualche settimana fa Tess ha incontrato, nelle acque del circolo, Darryl Paxton, Rock per gli amici, ricercatore di biologia alla Hopkins di Baltimora…”.

Non la faccio lunga. Rock propone a Tess di seguire Ava, la sua, ragazza per appurare se è davvero nei guai, come sembra. Ava, la classica gnocca coi fiocchi, lavora nello studio legale di Michael Abramowitz, l’avvocato difensore dei peggiori delinquenti della città. Dopo qualche pedinamento Tess si rende conto che Ava è un’abile ladra e che ha una storia (forzata, si verrà a sapere poi) con il suo datore di lavoro. Il quale datore di lavoro, Michael Abramowitz, verrà trovato strangolato nel suo ufficio (ma ha ricevuto anche qualche mazzata in esta). E qui le cose si complicano e c’è di mezzo pure il VOMA, cioè l’associazione delle vittime di aggressione (soprattutto stupri).

Ma veniamo a Tess e a qualche altro particolare su di lei. Vuole leggere il “Don Chisciotte” ma non ci riesce. Altre letture: citati “Imbroglio d’amore” e i libri di M.Cain. Suo ex fidanzato Jonathan Ross. Suo amico Darryl Paxton, detto Rock. Sua zia la dinamica Kitty, riccioli rosso fuoco e occhi verdi, che trabocca di gioia e suo zio Donald un tempo un bell’uomo ma con il fascino tramontato. Tess (da bambina Theresa e poi Tesser) vive in un appartamento piccolo, praticamente una stanza divisa da librerie ma ha un bel terrazzo da cui può vedere la città.

Veste spesso sportiva con jeans, una T-shirt bianca fuori dai pantaloni e scarpe da basket, oppure stivali di camoscio e giacca in pelle. E comunque roba simile. Adolescenza di grandi successi per le sue belle forme. Guida una Toyota ma prende volentieri i mezzi pubblici. Sua amica-nemica Whitney “ricca e magra” mentre lei è “sfrenata e impulsiva”. Ama soprattutto la vecchia musica di Cole Porter, Johnny Mercer, Rodgers e Hart, Bob Dylan. Ha ancora vivi (miracolo) tutti e due i genitori. Suo padre di sessanta anni, capelli rossi e pelle chiara ha il piccolo vizio di fare rutti mentre è a tavola (da tirargli una bottiglia piena in testa). Mangia e beve un po’ di tutto: croissant al cioccolato con caffè alla nocciola, panna acida e cipolle (e qui mi fermo che mi viene da vomitare), beve scotch, vermouth (Martini), birra, bourbon. Solo una scena veloce di sesso con il suo ex fidanzato. Si abbassa i jeans e si cala su Johnatan senza farla tanto lunga.

Rivisitazione critica di Baltimora dell’acciaio, della polvere rossa, delle vittime dell’asbestosi. La bella Baltimora dell’est osannata negli articoli dei giornalisti e ora imbrattata e luogo di incontro di ragazzini che fumano PCP e crack. La solita storia del cambiamento in peggio.

Buona la scrittura e l’orchestrazione della trama. Ma il libro è del 1997 e si sente.