Una giovane detective nella Parigi dell’800…

Nella scelta personale dei libri gialli (in senso generale) da leggere fanno a gara tra loro diversi elementi: il nome dell’autore/trice, l’eventuale recensione letta (di recensori di cui mi fido), il tipo di giallo (classico, thriller, noir, psicologico ecc…Ogni tanto mi piace variare), l’incipit (a volte è proprio l’inizio che mi attrae) e la copertina. Sì, anche la copertina ha il suo bel carisma. Soprattutto quando, per qualche sua caratteristica, mi riporta indietro nel tempo. Come l’enorme pallone aerostatico che campeggia in Blanche o il cuore dell’assassino di Hervé Jubert, Salani 2008 che mi ha ricordato all’improvviso le letture fanciullesche di Verne e il suo bel giro in ottanta giorni.

Malloppone di 408 pagine che ha almeno a sua discolpa dei caratteri abbastanza grandi da essere facilmente letti da un giovincello incanutito come il sottoscritto.

Dico subito che incominciano ad andare di moda giovani detective, magari senza grilli per la testa, magari sole come la Blanche in questione (non riesce a prendere il treno con i suoi genitori). Insomma il tipo verginale dopo tante assatanate di sesso (per chi è interessato vedere mia rubrica “Detective lady”), come Maisie Dobbs di Jacqueline Winspear (per esempio), e mi pare che anche qualche pezzo grosso (vedi Henning Mankell) si sia buttato su questa nuova linea strategica (la purezza e l’innocenza mischiate con il fango fanno sempre un certo effetto).

Siamo nel 1870 durante l’assedio dei prussiani di Parigi. Idea non peregrina. La città assediata ricorda un po’ le case assediate dalla neve del giallo classico da cui non si poteva uscire. Dunque un thriller in uno spazio ben delimitato. Due piccioni con una fava.

La solita litania di assassini mostruosi: un cappellaio, un macchinista, un soldato, un fonditore di caratteri ecc…che porta alle sette sataniche e a Rebecca, la signora dei veleni. Tutti i cadaveri recano impresso un misterioso tatuaggio sul braccio sinistro e i loro nomi hanno origine dalla mitologia. La colpa ricade su Victor Pilotin, un giovane apprendista del cappellaio che riesce a fuggire e viene addirittura tenuto nascosto da Blanche (crede alla sua innocenza).

Dicevo di Blanche Paicham, diciassette anni, che si ritrova sola a Parigi separata dai genitori (era destino, l’avevano già persa più di una volta) ad aiutare nelle indagini lo zio Gaston Loiseau, ispettore di polizia sulla quarantina. Studia il “Dizionario di polizia”, suona il pianoforte, segue un corso accelerato nei locali della scuola di medicina, si prodiga come infermiera per alleviare il dolore dei soldati feriti. Dunque fuori dagli schemi del suo tempo: energica, forte, resistente “Quella giovane era una forza della natura. E alcuni di coloro che s’erano trovati tra la vita e la morte le dovevano gratitudine”. E anche concreta, realista “Si era nutrita di materialismo e, tra le sue certezze, c’era questa: che la magia era soltanto un paravento aperto davanti a fenomeni assolutamente reali. Nel loro caso cosa nascondeva? Una storia di potere, non c’erano dubbi in proposito”. Non manca il movimento, il colpo di scena, il pericolo (rischia addirittura di essere uccisa da suo zio), il travestimento e insomma tutto l’armamentario del vecchio feulletton. Compreso il volo sul pallone aerostatico con il famoso fotografo Nadar (realmente esistito). Il ritmo si fa via via più convulso sino all’epilogo finale e un’aura di mistero e magia nera serpeggia lungo tutto il libro.

Non male (anche se non rientra nei miei gusti).