Rassegnatosi a una vita da medico con una futura moglie selezionata dai genitori, il timido Zhang Wenli (Jaycee Chan, figlio di Jackie Chan) non riesce a dimenticare il suo amico Ji Yinchuan (Chen Bolin, aka Berlin Chen), che sembra essere sparito nel nulla dopo l’università. Il nome di Yinchuan è “come una mantra” per Wenli, un amuleto contro la noia e la disperazione, un rifugio da cui ipotizzare un presente differente o una vita parallela. Di fronte al blu asettico e sterilizzato della casa, simile a un ospedale, Wenli preferisce ricordare il passato, e in particolare gli anni vissuti al campus all’ombra di tutto, aiutato da Yinchuan. Fra le immagini del tempo perduto, la prima dissezione effettuata da Wenli mostra un bisturi che aprendo la carne cerca disperatamente di aprire anche gli occhi al cuore e alla vita. Per vivere, infatti, è necessario nutrire i propri sogni senza lasciarli appassire. Ma invece di piantare semi nelle nuvole e bruciare d’intensità come i pesciolini dipinti da Hammer, visionario pittore austriaco da lui ammirato, Wenli preferisce nascondersi e non combattere il proprio sentirsi inadatto alla vita. Finché Yinchuan non lo porta nel cimitero delle anime e dei sogni. In quel luogo, non sono sepolti i morti ma i i desideri di chi ha smesso di lottare. Sono desideri sanguinanti, laceranti, nascosti da una maschera grigia issata su ciascuna tomba. E poi c’è Afei (Niu Mengmeng), compagna inseparabile di Wenli e Yinchuan in ogni avventura. È proprio Afei a far sbocciare la catena dei ricordi nella mente di Wenli grazie a un invito esteso a tutta la classe di allora. Si tratta di un mask party: ciascuno dovrà recarsi nel luogo prestabilito da Afei con indosso una maschera grigia, in memoria di quella visita al cimitero dei sogni, e in memoria dell’amore che legava lei a Yinchuan e Wenli a tutti e due, nel disperato tentativo di “respirare la libertà”, ed essere, senza più dolore.  “Vorrei cominciare la mia prossima vita adesso, dipingendo tutto il tempo”, dice Wenli ai confini fra il ricordo, il sogno e la realtà: ma è solo affrontando lo spettro del sé e delle proprie paure che gli sarà possibile spiccare il volo.

Alla sua seconda prova cinematografrica, con PK.COM.CN Xiao Jiang si cimenta con un vero e proprio fenomeno di massa, un libro apparso su internet con enorme successo di pubblico, reso filmicamente anche grazie all’aiuto del pubblico stesso, che ha contribuito alla scelta del finale tramite  modalità interattiva. L’origine insieme popolare e underground dell’opera, che cerca di dar voce alla dimensione più vera dei ragazzi  cinesi di oggi, porta a delle concessioni troppo ingenue alla cultura pop giovanilistica (l’utilizzo di musica assordante, spesso riproponendo lo stesso brano in maniera ossessiva e in versioni differenti; la breakdance; la mescolanza fra animazione, videoarte e montaggio da videoclip), anche se qua e là emergono schegge di visionarietà poetica che lasciano il segno (come nella sequenza del cimitero dei sogni o nei bellissimi disegni di Hammer). Il risultato è qualcosa di acerbo e spurio, un roboante itinerario verso l’eccesso di comunicazione da cui tanta arte cinese contemporanea sembra affetta, in quella tipica ansia di dire tutto e subito in maniera esplosa, esagerata, sovraccarica, per timore di non esistere o di essere cancellati dal Partito che censura i pensieri, o dal futuro che corre più veloce della volontà ed è già qui, soprattutto in Cina dove la realtà anticipa continuamente se stessa rischiando di scomparire senza lasciar tracce. Per molti versi imperfetto ma senza dubbio capace di toccare le corde della sensibilità (non solo giovanile) urlando incessantemente la sua presenza, PK.COM.CN è una piccola serie di gemme impazzite che, se colte nel mare caotico delle immagini che travolgono chi le guarda, sa riservare delle forti e indelebili sorprese.