Guillermo Arriaga è noto al grande pubblico in virtù delle sue sceneggiature (Amoresperros, Babel, 21 grammi) trasformate in film densi e originali. Il suo versante letterario si rivela altrettanto efficace e inconsueto. Il bufalo della notte è un romanzo teso e asciutto che si sviluppa secondo una logica sua, autenticamente noir, assolutamente antipodica a quella del meccanismo thriller cui ci hanno abituato gli scrittori statunitensi.

È interessante vedere come la storia si muove e cresce senza che l’autore ricorra a nessuno degli stratagemmi della suspense, che è il meccanismo anticipatorio in virtù del quale ciò che si legge esiste in funzione di ciò che si leggerà più avanti e che spiegherà ciò che si sta leggendo ora. Manuel passa dalla camera di motel in cui si trova con Tania alle strade di Città del Messico, dallo studio dello psichiatra che ha rilasciato Gregorio dal manicomio poco prima del suicidio alla casa di Gregorio stesso o dei propri genitori. In questi suoi vagabondaggi è spinto unicamente dalla necessità di capire cosa è davvero accaduto, cosa ancora lo unisce a Gregorio oltre al tatuaggio del bufalo che entrambi si erano fatti anni prima sul braccio in segno di eterna amicizia.

Il legame fra i due è ambivalente e ambiguo: amici, fratelli, nemici innamorati della stessa ragazza, coinvolti dalla follia di Gregorio in un rapporto complesso che include tanto la condivisione quanto la rivalità, il desiderio di autoannullamento e quello di uccidere.

Perciò l’avvicinamento di Manuel alla verità non è mai percorso lineare della logica razionale verso la soluzione di un mistero, bensì un avanzamento lento e non rettilineo nelle paludi dell’animo umano, il proprio e quello dell’amico morto.

“Il bufalo della notte ci sogna” dice Gregorio a Manuel. Frase sibillina e incomprensibile che da un certo punto in avanti guida e assilla il protagonista. E il bufalo tatuato diventa leitmotiv del romanzo, simbolo della sua ana-logica, della sua circolarità (sua e della trama stessa, che rifiuta la soluzione e il progresso verso un fine come motore). Manuel viene sognato dal bufalo della notte anche dopo la scomparsa di Gregorio; qualcuno gli invia messaggi e lettere dell’amico morto, che così è ancora attivo e presente nella vita tanto di Manuel quanto della famiglia di Gregorio (e soprattutto della sorella, Margarita, che si avvicina sempre di più al protagonista).

Il finale è irrisolto-irrisolvibile: Manuel ha il suo posto nella vita così come Gregorio ha preso il suo nella morte, e cioè nella distanza assoluta e incolmabile che separa ciò che è da ciò che non è; i due amici sono eternamente divisi, in quanto il legame dei viventi è per sempre reciso, e nuovamente (e diversamente) uniti, poiché la morte di Gregorio ha cambiato Manuel e gli ha mostrato il loro rapporto e la loro storia sotto una nuova luce.

Perché dunque Il bufalo della notte è un noir? E perché così radicalmente noir da essere esemplare?

Gli elementi del nostro genere, lo ricordiamo qui, sono essenzialmente due: la presenza (incombente o concreta) della violenza, e il rifiuto del meccanismo della suspense tipico del giallo, del poliziesco, del thriller e della spy story.

La violenza nel romanzo di Arriaga assume forme più sottili e striscianti che altrove: c’è il gesto suicida di Gregorio all’inizio del romanzo, certo, ma non è il colpo di pistola in sé a essere violento: sono le conseguenze di quel gesto a diventarlo, sempre di più col passare del tempo e delle pagine, per il protagonista e gli altri personaggi.

La violenza che Gregorio impone a se stesso è in verità, come si vede, una violenza che infligge agli altri, a coloro che restano, che lo amavano, provavano per lui affetto o amicizia o invidia o odio, o tutti questi sentimenti insieme.

La scomparsa di Gregorio obbliga Manuel alla riflessione sulla loro amicizia, gli impone di riconsiderare la loro storia, rivalutare il legame con l’amico anche attraverso i simboli che cominciano a ossessionarlo: il bufalo tatuato, gli insetti che Gregorio vedeva ovunque sul suo corpo e intorno a sé, le lettere e i messaggi che gli giungono per volontà dell’amico morto.

C’è, nella ricerca di Manuel, l’ombra della violenza originaria di Gregorio, che lo ha obbligato a interrogarsi sulla loro amicizia e su di sé, sparandosi e prima ancora predisponendo l’invio delle lettere che Manuel comincia a ricevere dopo la sua morte. È questo forse l’elemento più chiaro della coercizione presente nel gesto di Gregorio: un suicidio non per togliersi di mezzo ma per costringere gli altri (e soprattutto Manuel) a riformulare i loro giudizi su di lui e su se stessi, costringerli a cambiare la loro visione delle cose e dei rapporti che avevano con lui e fra loro.

La morte (di Gregorio), il sangue (delle ferite che tanto lui quanto Manuel si praticano in diversi momenti del romanzo e per diversi fini), la paura (della perdita, della solitudine, dell’incomprensione), sono tutti elementi narrativi forti e fortemente presenti e radicati nel romanzo di Arriaga.

Altrettanto forte e fortemente radicata è la logica (che più sopra è stata detta ana-logica) che muove la vicenda e che la situa in luoghi narrativi quasi antipodici rispetto alle meccaniche thrilling del “finto noir”. Non c’è, nel Bufalo della notte, un’indagine di stampo razionale che attraverso la raccolta di indizi e deduzioni porti, gradualmente, allo svelamento del mistero; non c’è un fine logico evidente fin dal principio, non c’è chiarificazione e razionalizzazione; non ci sono spiegazioni.

Soprattutto non c’è (ri)soluzione della tensione, nemmeno nel finale (che forse alcuni potrebbero trovare, appunto, irrisolto).

Un ulteriore merito di questo romanzo è lo stile piatto e anonimo. Ad Arriaga riesce la vera magia della prosa narrativa: creare un universo discorsivo che non ha bisogno, per esistere, del funambolismo formale. Un modo di scrivere disadorno al punto da diventare sciatto e invisibile ma proprio per questo tanto più impressionante perché riesce a dar vita a un mondo assolutamente originale e convincente nelle sue dinamiche e nello sviluppo della storia. Un monito per tutti i virtuosi della scrittura. Arriaga non scrive bene: sa scrivere. Ed è tutto ciò che conta, nel romanzo. 

 

* per il titolo ringrazio mirko, utente IBS.