Spagna, 1940.

La guerra civile è ufficialmente chiusa.

Non altrettanto "chiuse" sono le ferite che ha lasciato. Quelle, si sa (anzi, si dovrebbe sapere…), richiedono molto tempo per rimarginarsi. Anche perché i vincitori, quali siano, in queste lotte fraterne, tendono ad imporre la loro cura.

Sono ferite che, in genere, lasciano quantomeno brutte cicatrici.

Ma se nel 1939 si conclude la guerra civile spagnola, nello stesso anno inizia il secondo conflitto mondiale. La brama nazista ha iniziato a propagare la sua espansione nel ventre molle della Vecchia Europa. La Seconda Guerra Mondiale vive i suoi primi mesi di odio dichiarato. La Francia di Petéin si è appena sottomessa alla Germania nazista. Le deportazioni degli ebrei sono in corso da tempo, sotto gli occhi di nazioni che fingono di non saperne abbastanza.

Questo è il macroscenario del secondo romanzo di Rebecca C. Pawell tradotto in Italia: I professori di Salamanca (Law of Return, 2004). Il precedente è stato Morte di un Nazionalista (Death of a Nationalist, 2003). Seguiranno (ci auguriamo) anche le traduzioni di The Watcher in the Pine (2005) e The Summer Snow (2006).

Ma torniamo all'ambientazione, vero punto di forza di questa serie della Pawell.

 

In Morte di un nazionalista, ambientato nel 1039, avevamo fatto la conoscenza di Carlos Tejada Alonso y Leon, allora sergente della temuta Guardia Civil. In una Madrid segnata da anni di lotte, Tejada s'era ritrovato a indagare sull'omicidio di un collega e amico. Lo aveva affrontato dimostrando di essere non solo un miliziano franchista focalizzato sul "suo" nemico politico, ma anche un uomo di legge in fondo integro, che cerca la verità – funzionale o meno che sia rispetto agli obiettivi del regime a cui aderiva con convinzione. Buona cultura, acume, intelligenza, ma soprattutto una sensibilità a tratti stridente con i doveri del ruolo scelto, gli avevano consentito di venire brillantemente a capo dell'indagine. E, forse, ad incrinare qualche giovanile certezza.

In quel frangente, aveva tra l'altro conosciuto Elena, un'insegnante simpatizzante socialista. Una "rossa", sì. Ma anche una donna attraente, di carattere. Le loro strade si erano incrociate, facendo scoccare la scintilla di un possibile amore, represso dalle distanze ideologiche.

 

In questo secondo romanzo, Tejada è stato promosso tenente, e riceve una nuova assegnazione: Salamanca.

Neanche il tempo di ambientarsi in questa città, nota tra l'altro per la sua Università, che il tenente si trova per le mani una nuova scottante gatta da pelare: ritrovare il professor Arroyo, ricco e illustre ex-insegnante universitario, cognato di un potente giudice locale, ma anche compromesso politicamente per avere, anni prima, firmato una petizione a favore di un collega, finito in disgrazia per una critica al regime.

Ma tra "i professori di Salamanca" ce ne sono altri che a suo tempo aderirono a quella petizione: finiti sulle liste nere, perse le loro cattedre, costretti ad altre più umili professioni, sempre tenuti sotto sorveglianza dalla Guardia Civil. Uno di loro è il professor Fernandez, padre di Elena: sì, la donna di cui Tejada si infatuò mesi prima.

E’ morto, il professor Arroyo? Oppure, è scappato?

E poi: cosa diavolo sta combinando la famiglia Fernandez?

Le risposte arriveranno tutte, per il lettore.

 

I professori di Salamanca, come già Morte di un nazionalista, è l’ennesimo esempio – riuscito – di come anche il cosiddetto "giallo storico" sia un ottimo strumento letterario per veicolare, divertendo con una trama ben strutturata, persino il lettore meno preparato alla scoperta della Storia, compresi (grande valore aggiunto) i suoi capitoli più vicini e contrastati. In tal senso, senza gravare sullo svolgimento di questo "poliziesco d'epoca", la Pawell ci lascia elementi per pensare, giudicare, valutare. Ognuno con le proprio simpatie e antipatie: sociali, politiche, umane… Solo di fronte agli eccessi, laddove il potere diventa sopruso, lo spirito della scrittrice si fa meno disponibile ad accettare ogni posizione. Tant'è che il suo personaggio, pur convinto sostenitore della causa franchista, non è assolutamente scevro da perplessità e contraddizioni. Non lo è, fino al punto da rischiare di suo non solo per amore, ma anche per umanità.