scrive Giulio Mozzi su Facebook

Mettiamo che io voglia descrivere una pistola. Questa pistola viene usata da un criminale per ammazzare una persona. Ovviamente la pistola è un oggetto assai differente per il criminale e per la persona che il criminale vuole ammazzare.

Mettiamo che io voglia descrivere due corpi, uno dei quali è molto desiderato dal personaggio, mentre l’altro non suscita in lui il minimo desiderio. Ovviamente questi due corpi sono oggetti assai differenti.

Mettiamo che io voglia descrivere un luogo. Ovviamente il mio lavoro sarà assai diverso se il personaggio che attraversa o che osserva quel luogo è un architetto (che deve progettare un intervento, una costruzione, una riqualificazione ec.) o un terrorista (che vuole far esplodere una bomba in quel luogo, con il massimo di danno per l’avversario e il minimo di rischio per sé) o un regista (che intende usare quel luogo per girarvi delle scene di un film comico, tragico, d’avventura o porno) o un gruppo di bambini (che in quel luogo, in realtà banalissimo – a es. un deposito di legname –, immagina e vive avventure straordinarie).

Eccetera.

La domanda: «Come si fa una descrizione fatta bene?» è dunque, di per sé, sbagliata; o semplicemente inutile.

Una domanda più adeguata è forse: «Che cosa mi interessa di questo oggetto di questo corpo e di questo luogo? Che cosa interessa, ai personaggi della storia, di questo oggetto, di questo luogo e di questo corpo? Che cosa è oggettivamente importante per loro, al di là della forma del loro interesse?».

Il mio scopo è: far sì che l’oggetto, il corpo e il luogo, qualunque cosa io descriva, appaiano nella scena mentale del lettore così come sono apparsi nella scena mentale mia – e dei miei personaggi.

Come si fa?

Bisogna avere chiara la visione. Bisogna non trascurare la visione. Bisogna dedicare tempo alla visione. Bisogna contemplare la visione. Bisogna capire che la visione è importante.

Stop.

Ogniqualvolta, discutendo con un allievo o durante un editing, domando «Ma questo luogo, com’è? Ma questa casa, com’è fatta? Ma lui, com’è vestito?», o simili, e mi sento rispondere «Non ci ho pensato, non è importante, che importanza ha?», mi fermo e dico: «Ciò che tu vedi nella tua immaginazione non passerà mai al lettore finché la tua immaginazione – a prescindere da quanta parte ne trascrivi nel testo – resterà vaga»

Poi, vabbè: ci sono tanti modi, tante procedure, tante tecniche per descrivere. Breve elenco, tanto per dare un’idea:

_la carrellata: il narratore si muove su una linea continua (non necessariamente dritta: può essere curva, spigolosa ec.), gli oggetti appaiono in sequenza;

_la carrellata in soggettiva: il personaggio si muove su una linea continua (idem), gli oggetti gli appaiono in sequenza;

_camera fissa: il narratore o il personaggio contemplano l’oggetto o gli oggetti, che appaiono tutti contemporaneamente e stanno l’ fermi a farsi descrivere;

_carrellata fissa (se mi si concede l’ossimoro): il narratore o il personaggio contemplano gli oggetti che sfilano davanti a loro;

_la lettura: da sinistra a destra o dall’alto al basso (se il personaggio è dell’estremo oriente);

_l’incontro casuale: come nel gioco in cui si benda un amico e lo si invita ad attraversare una stanza il cui pavimento è cosparso di bottiglie, formaggini scartati, puntine da disegno, trappole per topi;

_la prospettiva: dato un punto focale, gli si va incontro;

_lo sfondamento: si cammina in avanti, senza un vero punto focale, e ogni piano dello spazio è come un velo che attraversiamo e ci lasciamo alle spalle;

_l’esplosione: tutte le parti dell’oggetto da descrivere vengono staccate e allontanate tra loro, e nominate una per una;

_l’elenco ordinato logicamente: tutto ciò che c’è in un luogo, o addosso a un personaggio, o sopra un oggetto, secondo una tassonomia comprensibile per il lettore e condivisibile da lui;

_l’elenco ordinato arbitrariamente: idem, ma con una tassonomia priva di relazione con ciò che si descrive, per esempio tutto ciò che c’è in un luogo in ordine alfabetico;

_l’elenco disordinato: nessuna tassonomia riconoscibile;

_la focalizzazione: punto l’attenzione del narratore o del personaggi su un particolare significativo;

_l’omissione: nascondo all’attenzione del narratore del personaggio un oggetto importante, non nominandolo (a) facendo percepire che c’è qualcosa di mancante o (b) non facendo percepire che c’è qualcosa di mancante;

_lo sguincio: faccio apparire il particolare significativo, ma di sfuggita e come per caso, (a) sperando che il lettore non lo noti o, se sono meno ingenuo, (b) sperando che il lettore noti che ho cercato di non farlo notare;

_l’astensione: non descrivo;

_la nominazione: non descrivo, ma nomino; dico «un Big Mac» anziché dire «un panino di pane e carne con due fette di carne inframmezzate da una fetta di pane, formaggio, ketchup, lattuga, zucchina, forse maionese»;

_i sensi tutt’insieme: vista, udito, tatto, olfatto, gusto;

_i sensi distintamente e in ordine: prima la vista, poi l’udito, ec.; o prima il gusto, poi il tatto ec.;

_i sensi selezionati: solo la vista, solo l’udito, solo il tatto ec.;

_i sensi incongrui: vedere con l’udito, udire con gli occhi, «piangere e lagrimar vedrai insieme», come da canonico esempio dantesco di zeugma (inf. xxxiii);

_la guida turistica: alla vostra destra, alla vostra sinistra; il narratore o un personaggio accompagnano il lettore o un altro personaggio in un luogo, o presso un gruppo di persone, e fanno le presentazioni;

_l’elenco: questo elenco, che qui si interrompe, è pur sempre una descrizione, no?

Questo testo,  (che ho ampiamente ritoccato) fu scritto nel lontano 2003, su richiesta di Dario Voltolini o di Giorgio Vasta o di tutti e due (non ricordo) per il libro «Faq. Domande e risposte sulla narrazione», pubblicato nel 2004 da Rizzoli nella collana Holden Maps. Libro divertente e interessante, nonché secondo me perfettamente inutile: a una serie di domande, raccolte negli allora vitali forum della Scuola Holden, davano risposte una cinquantina tra scrittrici, scrittori e professionali dell’editoria. L’inutilità del libro, e il suo essere divertente, hanno la stessa origine: la frequentissima incompatibilità reciproca delle risposte. D’altra parte, la narrazione non è una scienza esatta.

Se questo modo di ragionare su come si scrive vi interessa o vi incuriosisce, potreste prende in considerazione l’ipotesi di dare un’occhiata al programma 2025-2026 della Bottega di narrazione – scuola di scrittura creativa. Nel quale c’è pure un corso sulla costruzione della scena, condotto da Fiammetta Palpati, nella quale la descrizione ha un suo ruolo importante.

Il programma 2025-2026 della Bottega di narrazione:https://bottegadinarrazione.com/corsi/Il programma del corso "Costruire la scena", condotto da Fiammetta Palpati:https://bottegadinarrazione.com/corsi/costruire-la-scena/