Ci sono libri che scatenano in noi delle “visioni”, situazioni che si fanno largo nel nostro pensiero e nelle quali vediamo inserito con precisione ciò che abbiamo letto.

 

Immagino una fresca giornata di primavera, quelle atmosfere un po’ svagate nelle quali i ragazzi si riversano malvolentieri nelle aule dopo ricreazione.

Tocca geografia ora, una professoressa, un po’ meno intrappolata nei programmi ministeriali, decide che sull’Argentina si può dire altro che confini, usi e costumi.

La prof. ribelle decide di parlare di una tragedia sommersa e semisconosciuta, dai caratteri colpevolmente confusi da un’opinione pubblica mal informata e abbindolata dalla propaganda.

 

La storia di Gabriel viene da lontano: una dittatura che sconvolse l’Argentina dal 1976 al 1983, i campi di tortura per i così detti sovversivi, uomini con degli ideali forti e scomodi, resi desaparecido da una casta militare sanguinaria, che, come ultimo spietato atto di repressione, decise di rapire e stuprare le vite dei loro figli sconvolgendone e mistificandone le identità.

 

Di questo parla un libro della memoria: Il giorno in cui Gabriel scoprì di chiamarsi Miguel Angel di Massimo Carlotto.

I ragazzi sono sempre scettici su tutto quello che è loro proposto tra le mura scolastiche, ma, questo racconto, non è una sequela indistinta di date e nomi, una fredda narrazione oggettiva di fatti scomodi lontani dal cuore.

 Siamo invece di fronte alla cronaca lucida e precisa di un dramma: la perdita d'identità di un loro coetaneo, sullo sfondo una marea d'inganni, un’infida rimozione della storia aspramente urlata dalle vecchie pazze nonne, la vera memoria dell’Argentina di quegli anni.

Lotta a lungo Gabriel per restare figlio amatissimo della sua famiglia di sempre, la crede trascinata nel fango da un'ideologia cattiva e aspra, anche se i volti delle nonne e degli altri ragazzi rapiti non hanno nulla di minaccioso, sono solo scomodi ed evidenti testimoni di una realtà che poco per volta viene a galla.

 

Sarà messa in discussione tutta la visione del mondo interiore di Gabriel, costretto a far spazio a Miguel Angel per legge dapprima, per scelta poi.

Questo dissidio interiore è il cuore vero del racconto. Per raccontare nomi, facce, orrori circostanziati ci sarà tempo e modo (vedi Le irregolari dello stesso autore).

Non è una favola consolatoria questo racconto, è l’incipit di un cambiamento lungo e doloroso, per questo i ragazzi dell’età di Gabriel faranno loro questa storia, è una ricerca d'identità atipica, il capire e accettare le proprie origini per crescere nel rispetto e nella loro conservazione, e, se è possibile, superare almeno in parte l’ipocrisia del mondo adulto.

C’è un inciso molto efficace nel libro, Gabriel vuole verità dai suoi fratelli e chiede ”E’ vero che papà torturava i prigionieri?”

“Si trattava di una guerra, e in guerra non si va tanto per il sottile” risponde uno dei fratelli.

Certo è stata una guerra a tutti gli effetti con tante, tantissime vittime, spesso ignorate: nemmeno una tomba sulla quale piangere.

A tenere viva la memoria le nonne, le madri, le donne dei desaparecido,solo un nugolo di fazzoletti bianchi, una sciabolata all’indifferenza del mondo.

Immagino questa classe che si concentra sulla trama del libro fino ad ignorare il suono della campanella.

 

Un libro importante, una lettura densa e dolorosa ma necessaria.