Ultime vengono le lacrime (La terza Madre del titolo è per l’appunto la Mater Lacrimarum…), che ripresa vita dopo la sciagurata apertura dell’urna che ne conteneva la tunica, e più che mai decisa a fare di Roma terra di lacrime e sangue. A contrastarla Sarah Mandy (Asia Argento), una specializzazione in restauro in via di conseguimento ma in particolare ereditiera di facoltà paranormali da parte di madre (Daria Nicolodi in apparizioni rigorosamente spirituali…). La trama è tutta qui, semplice lineare, classica, nulla da dire. I problemi iniziano quando si passa dalle intenzioni, alte, altissime, portare a termine il trittico iniziato con Suspiria (1977) e proseguito con Inferno (1980), e i risultati, modesti, modestissimi, raggiunti. È un bel pezzo che il Dario Argento che c’era una volta non c’è più, e puntualmente La Terza Madre sta lì a dimostrarcelo (e sono lacrime amare…). Si tratta al massimo di un collage di scene la cui struttura soccombe ben presto di fronte all’approssimazione con la quale il cast interpreta quel tanto che ci sarebbe da interpretare (la lotta tra Bene e Male, mica “bau bau micio micio”…). Ma il problema più arduo da affrontare è come scendere a patti con la coltre di inattualità che grava sulla storia stessa. Ripescare oggi, dopo film come Saw o Hostel che nel bene o nel male hanno saputo indicare una nuova direzione nel genere horror-thriller, un repertorio datato che più datato non si può a base di streghe e possessioni demoniache nel modo in cui viene fatto per di più (Argento non ha il talento di un Sam Raimi, le streghe della storia sembrano tutte gemelle della Loredana Berté dei bei tempi, i salti logici non si contano…), come minimo significa consegnarsi mani e piedi a una dimensione incapace di intercettare quel qualcosa di inespresso che bolle in pentola e che ogni film del genere dovrebbe in qualche modo sapere cogliere e rappresentare. Significa anche, spiace dirlo ma tant’è, esporre il fianco a un ancor più datato fallocentrismo (ma ci voleva un film di Dario Argento per tirar fuori un termine del genere?) che apre la strada a una misoginia per nulla latente (non che se non lo fosse sarebbe stato diverso…) che infastidisce non poco (vedi l’esecuzione delle due amanti, in particolare la seconda…). Insomma, siamo al di sotto del livello di guardia e forse non basta nemmeno aggrapparsi alla certezza che la situazione non è poi molto diversa da quella già vista in Nonhosonno e in Il Cartaio. Inevitabile che così procedendo un film non finisca nel rasentare lo scult, perché se non è scult piazzare Asia Argento alias Sarah Mandy braccata dalla polizia in una libreria e per farla uscire indenne ricorrere all’invisibilità (come? Basta che l’Asia si concentri assumendo l’aria corrucciata, al resto ci pensa il controcampo vuoto…) che cosa sarà mai scult? Forse, in un tempo non molto lontano qualche esegeta di Dario Argento ci spiegherà finalmente il significato del finale a colpi di risate tra l’Asia e il poliziotto (vuoi vedere che era uno sberleffo metafilmico e noi becchi non ce ne siamo accorti…?). Solo per i devoti, anzi devotissimi ad Argento. Sconsigliato a tutti gli altri.