Giallo come titolo, quello dell’ultimo film di Dario Argento, distribuito come già accaduto per il precedente, Ti piace Hitchcock? direttamente in DVD senza, di fatto, uscita nelle sale e con un strascico di polemiche niente male a base di accordi non rispettati e compensi (ad attori e regista…) non corrisposti.

Giallo come genere, sinonimo di “thriller”.

Giallo come nick-name di un serial killer nostrano che batte Torino in lungo e largo alla ricerca della prossima vittima,

Giallo, infine, come indicatore di uno stato di salute imperfetta al punto da diventare la causa stessa del nick-name di cui sopra.

Quest’ultimo punto è quello cruciale e fatale al tempo stesso. Tempo di accorgersi del perché del soprannome e le sue conseguenze sulla storia, e siamo già in piena zona bagarre, dove, mentre la memoria cede il passo ad un tragico presente (e sì che ne farebbe volentieri a meno…), il ridicolo si mischia con l’insulso.

Spiace dirlo, ma siamo ancora una volta di fronte ad un’operazione il cui significato rimane difficile da scorgere così come appurare a quale ipotetico spettatore possa rivolgersi un film del genere.

Giallo si colloca in una zona grigia, fuori da qualsiasi connotazione temporale: per un verso non ha più nulla dei film dell’Argento che fu, stavolta in modo assai più netto di quanto già non fosse La terza madre, per l’altro non è minimamente in grado di ritagliarsi un seppur minimo spazio nel cinema di oggi, visto che un Eli Roth o uno Zampaglione (i primi due nomi che vengono in mente…) girano con una abilità e una forza, anche in termini di violenza mostrabile, molto superiori all’Argento di oggi.

La zavorra che affossa il film è di quelle che non lascia scampo alcuno, composta com’è da una sceneggiatura di sconcertante piattezza, le indagini sono di fatto inesistenti, dove pullulano personaggi evanescenti, vedi Adrien Brody nei panni del commissario Enzo Avolfi, quando non ridicoli, tipo il serial killer (occhio al nome di chi lo interpreta, tale Byron Deidra…), con bandana e nasone, flash-back stantii con al centro il solito trauma infantile (indovinate quale…), ma soprattutto una regia di servizio che mai riesce ad incidere nella narrazione, limitandosi, quando decide di muovere la cinepresa, a perlustrare lo spazio scenico a puro scopo illustrativo.

Mah…