Ci sono cose nella vita che sono dolorose, alcune anche molto, forse troppo. Cose che sfiorano il limite dell'umana sopportazione, fino a roderti l'anima. Cose che che voi umani eccetera eccetera.

Cose atroci, come le emorroidi.

Grosse come uova di Alien.

Ma riavvolgiamo la bobina, torniamo un attimo indietro. Perché in realtà questa storia inizia parlando in un certo senso di cuore e non di culo.

Stavo intervistando Laura Campiglio, autrice di Invece Linda, gustoso romanzo uscito per i tipi della Flaccovio. E devo dire che stava andando anche bene, in relax, seduti a sorbire aperitivi a catena, tanto che ormai tra me e il Campari non sussisteva più alcuna differenza cromatica.

Riporto, per dovere di cronaca, le risposte che, fino a quel momento, Laura aveva dato alle mie domande.

Mi dispiace ma ti tocca, ché sei un'esordiente, quando poi diventerai famosa inizieranno le interviste ricattandoti con foto scabrose. Per il momento: chi è Laura Campiglio: giornalista, scrittrice o semplicemente grafomane?

Grafomane, grafomane. Grafomane da sempre, da quando a scuola anziché prendere appunti scrivevo i fatti miei. Ho voluto fare di questa compulsione alla scrittura un lavoro: in attesa che si manifestasse il romanzo – perché credo che lo decidano loro, i romanzi, quando e se arrivare – ho iniziato a scrivere per qualche quotidiano, prendendoci tra l’altro parecchio gusto. Adesso che il romanzo c’è e lotta insieme a noi, mi ritrovo, almeno tecnicamente, ad essere tutte e tre le cose: grafomane, giornalista e scrittrice. Che detta così fa impressione, ma suona anche un gran bene.

Curiosità, la tua bio recita che vivi tra l'Altomilanese e Parigi. Scusa, ma chi te lo fa fare di tornartene in questo paesello d'Italietta?

Un lavoro, una famiglia, un certo attaccamento alle mie vecchie abitudini più un sacco di incombenze poco eccitanti ma improrogabili: a Legnano, che è appunto la cittadina dell’Altomilanese dove risiedo, c’è l’ufficio rogne. A Parigi, che è appunto la città più bella del mondo, c’è la mia seconda casa, oltre che il mio primo marito.

Se penso a Parigi mi vengono in mente diversi scrittori che in una maniera o nell'altra (chi più, chi meno) c'azzeccano con quello di cui scrivi tu, ovvero amore e morte: Malet e Miller (che francese non era, ma che Parigi la visse mooolto intensamente). Ti senti vicina a uno dei due, li conosci, non li conosci, li odi o non ti interessano proprio?

Sai cosa diceva Hemingway? Che per scrivere, Parigi è il posto più comodo al mondo. In realtà io penso che sia il posto più comodo al mondo per fare un sacco di cose, tipo amare, morire, avere mal di testa o mangiare un gelato. Fatto sta che a Parigi, nei secoli dei secoli, ci sono passati scrittori a frotte, scrittori come se piovessero. Te ne potrebbero venire in mente un’infinità: Leo Malet, sì, questo grande vecchio del noir che però a me è sempre sembrato un po’ uno scrittore seriale, che fa il suo sporco lavoro in maniera chiururgica e ineccepibile, e poi passa ad altro. Henry Miller mi piace di più: perché il suo, con quegli occhialetti rotondi, era uno sguardo al quadrato, perché – come me al giornale – veniva pagato a riga, così da incoraggiare il dilungarsi sulle scene erotiche, e perché uno così l’avrei condiviso volentieri anche con una tipa come Anais Nin.

Veniamo alla terra lumbard. Dunque: Scerbanenco, Pinketts o, se vuoi, testo libero.

Pinketts, per forza e per sempre. Pinketts per le giocolerie di parole, per l’altalena tra le lacrime e le risate grasse, per le montagne russe della trama visionaria, perché è un modello di scrittura e di molto altro. E poi, Pinketts perché anche adesso, ma proprio adesso mentre io te siamo qui, so per certo che lui e Lazzaro Sant’Andrea sono al bancone del Trottoir, e che potremmo mollare il colpo e andare a farci una birra con loro. Pinketts perché c’è.

Domanda classica, diretta, forse banale, forse pallosa, ma a questo punto credo indispensabile: quali sono i tuoi scrittori di riferimento? Poiché non ci ho mai pensato, sparo senza pensarci: Francis Scott Fitzgerald e Vladimir Nabokov per la potenza narrativa, James Cain per la capacità di ballare il valzer con la morte senza che nessuno pesti i piedi a quell’altro, il Jean-Paul Sartre drammaturgo per l’arte del dialogo e la passione civile. Più dei libri totem, come "Dio di illusioni" di Donna Tartt, "Romanzo criminale" di Giancarlo De Cataldo, "Il senso della frase" di Andrea G. Pinketts.

Leggendo il tuo romanzo si percepisce un vuoto particolare. Quel vuoto che sembrava doverci inghiottire col nuovo secolo e che invece ci sta rosicchiando poco a poco (o forse è lo stesso dei primi del '900 che non è mai scomparso?), sei d'accordo o sto dicendo una scemenza? Penso anche alla scenografia post-industriale di certi incontri tra i protagonisti Nanni e Linda...

A me il vuoto non fa paura, lo vedo come un’occasione di riempirlo, come una pagina bianca da scrivere. Tu hai ragione, Fernando: viviamo in un vuoto assoluto, un vuoto torricelliano in cui siamo perduti come astronauti. La religione è morta, le ideologie sono morte, i miti sono morti. Ma noi siamo ancora vivi, e adesso tocca a tutti e a ciascuno: è ora di diventare maggiorenni, e di riempirci la nostra porzione di vuoto come più ci piace. Ora che nessuno verrà a dirci come si fa, tocca arrangiarsi e improvvisare. Come Nanni e Linda, che improvvisano un’improbabile storia d’amore nel parcheggio dell’Ikea, o nei cantieri in costruzione, volando altissimi sopra lo squallore in agguato.

Altro punto chiave del tuo romanzo: psicologia/psicoterapia/psichiatria/psicofarmaci. Il tuo punto di vista sembra scettico. Alla fine, sono le persone, e solo loro, a venire fuori dai loro problemi. Che mi dici a riguardo?

Hai notato che da quando c’è stato il boom della psicologia (ovvero da quando la letteratura in materia si è ampliata, le facoltà universitarie scoppiano e la gente è disposta a stare a pane e cipolla pur di potersi permettere un confessore privato, alla modica cifra di sessanta euro all’ora e sto ancora bassissima) ci sono molti più depressi? Hai notato la facilità con cui si prescrivono psicofarmaci? Hai notato quanto gongolino le case farmaceutiche? Hai notato che atteggiamenti che mia nonna liquiderebbe alla voce "caratteraccio" sono sempre più spesso ricondotti a patologie psichiche, e dunque medicalizzati? Hai notato che, crepi la modestia, io sono piuttosto sveglia? Sai che per anni sono stata trattata a Prozac per una presunta sindrome depressiva bipolare sparita non appena ho smesso di prendere il Prozac e ho iniziato a farmi i cazzi miei? Sai che Amleto diceva "Sono pazzo solo tra tramontana e maestrale. Quando soffia scirocco, distinguo un falco da un airone"? Non credi che siamo tutti pazzi a metà? Comunque, per risponderti, sì, il mio punto di vista è decisamente scettico.

E qui iniziò la tragedia, e non suonava né come Wagner né come Beethoven, ma col trillo di un cellulare, quello di Laura, per la precisione. - Sì, pronto? Sì, no, no, non disturbi.. Davvero? Cazzo! Ok, ci penso io. Ciao.

La faccia di Laura era indescrivibile, racchiudeva una serie di sensazioni ed emozioni diverse e contrastanti tra di loro: un sobria preoccupazione mista a un'alcolica ilarità. Formulai delle ipotesi sull'accaduto, tipo: il cane rompiballe dell'inquilina del piano di sopra, ma a cui Laura si era affezionata, aveva fatto un volo di tre metri e si era spiaccicato sul suo balcone e toccava a lei raccoglierlo col cucchiaino o altre amenità simili.

Non andai lontano dalla verità. Era sì la sua vicina che chiamava, ma non aveva cani, solo delle terribili emorroidi. Viveva sola e aveva chiamato Laura per vedere se riusciva a trovare una farmacia di turno e a comprare una pomata che lenisse il dolore caino che le si annidava tra le chiappe.

Non ci restava che trovare una farmacia di turno, dato che le 20 erano belle che passate da un po'.

Giusto il tempo di qualche centinaio di sigarette e un paio di domande.

Che rapporto hai con la scrittura? Voglio dire: sembrerebbe che sia molto istintivo, ma in realtà quanto ci stai su a curare lo stile, i particolari e compagnia bella?

Poco, in effetti butto giù tutto come viene, e di solito è un buona la prima, nel senso che lascio così. Può capitarmi, nelle riletture successive, di cambiare magari il singolo termine, o di girare una frase in un altro modo. Però credo che, in generale, ogni parola sia figlia del momento che l’ha partorita: le cose che scrivo stasera, domani non potrebbero essere le stesse, quindi tanto vale lasciarle come sono venute.

Particolari riti prima di mettersi davanti al foglio bianco?

Perdere tempo. Passare almeno tre ore, dalle 23 alle 2, fingendomi interessata a questioni di massima importanza, tipo cambiare la disposizione dei Cd o leggere le lettere al direttore del giornale di due giorni prima. La verità è che, per qualche motivo che mi sfugge, ho paura di iniziare. Poi però penso al monito di Sartre: non un giorno senza una linea (e mi pare quasi di vederlo scuotere la testa con sguardo strabico e severo), e mi rimetto al computer. Perché scrivo sempre al computer: è più veloce, permette di acchiappare i pensieri appena affiorano. Vabbé, la morale è che attacco alle 2 e finisco alle 5. E quindi io ho sonno, Fernando, tutti i giorni che iddio manda in terra io ho un sonno da mettermi a piangere.

Personaggi totalmente inventati o ritratti di persone esistenti?

Tratti di persone esistenti rimescolati in ritratti immaginari. Non sono brava a inventarmi le cose, e poi penso che la realtà meriti sempre di essere sublimata: per esempio, i difetti di tutti i miei ex fidanzati sono stati riesumati dall’archivio "scordammoce ‘u passato" per dare vita al personaggio di Nanni Malatesta. Così, in qualche modo, sia gli ex fidanzati che i loro difetti sono tornati utili. Del resto mia nonna, sempre lei, diceva che dell’uomo e del maiale non si butta via niente.

E ancora, quanto c'è di autobiografico in quello che scrivi?

Tutto, tranne la trama. Linda Bastiglia ha la mia età, mi assomiglia, fa il mio stesso lavoro, vive nei miei stessi luoghi. Ma soprattutto pensa come me, parla come me e agisce come agirei io. Anzi, sul sistema di valori del romanzo l’identificazione è tale che, ad esempio, gli stralci del diario di Linda Bastiglia sono in realtà stralci del mio diario (beh, non ce l’ho mai avuto, un diario: scrivevo su foglietti volanti) ripresi pari pari. Vedi com’è divertente? Quelle che erano mie elucubrazioni senza arte né parte ora hanno una funzione e una dignità letteraria. La trama no, non è autobiografica: le cose che vedo e che vivo possono suggerirmi dei vaghi spunti, ma azione, situazioni e accadimenti sono frutto di finzione.

Leggendo Invece Linda si intuisce un tuo interesse per il cinema, sbaglio? Se non sbaglio le tue preferenze su cosa si fermano?

Non sbagli, nel senso che ognuno in un libro intuisce un po’ quel che vuole, la libertà interpretativa è sacrosanta. Però sai che mi piace che tu abbia letto tra le righe dei riferimenti cinematografici? Perché io, di mio, proprio non ho voluto metterceli, e trovo entusiasmante che qualcuno possa andare oltre quel che ho scritto per leggere cose che non ho scritto. E’ una specie di generazione letteraria spontanea. I miei preferiti, comunque, sono i corti di Giorgio B. Borgazzi e i lunghi di Claude Chabrol.

Alla fine una farmacia di turno riuscimmo a trovarla, nelle fessure della serranda filtravano anche le luci dei neon accese. C'era un campanello da suonare. E lo suonammo. Ma non apparve nessun farmacista. Trilla e ritrilla e ancora niente. Sbirciando si intravedeva un uomo in camice bianco che sembrava ronfare riverso sul bancone. In alto sulla destra c'era una finestra. Laura si insospettì e mi chiese se per grazia e cortesia sarei stato disposto a farle da scala per sbirciare meglio. A malincuore accettai.

- Allora, dorme?

- Sì, come no. Dorme su un cuscino di sangue. Quello là se non è morto secco, poco ci manca.

- Merda.

Chiamammo la polizia per poi svignarcela senza vergogna. Inutile dire che ci vollero un paio di grappini prima di trovare un'altra farmacia aperta col farmacista vivo dentro. Passammo un'altra oretta buona a fare congetture sulla presunta morte e a leggere le avvertenze della pomata.

La serata si sarebbe chiusa lì, ipotetico morto a parte, in allegria. E invece il destino, come una emorroide fulminate, ci tirò un brutto scherzo. Ovvero una macchina che, per niente paga della strada che la civiltà le aveva messo sotto le ruote, salì sul marciapiede e tentò deliberatamente di investirci. Ma ci mancò, e investì Kate Moss, che dall'alto della sua anoressia leccata su un manifesto, parò il colpo facendo saltare il paraurti (e forse i denti) al pirata della strada che non contento si cimentò in una retromarcia omicida che si risolse in una cattiva manovra di inversione a "u" sulla via. Ripartì grattugiando la marcia e sgommando. L'unica cosa che riuscii a vedere furono delle ciocche bionde che svolazzavano da finestrino. Ergo, a tentare di ammazzarci era stato o un metallaro mezzo addormentato o una donna, o un banalissimo pirata lungocrinito, come tanti ce ne sono sulle nostre povere strade d'Italia.

Giungemmo alla conclusione che ero io a portare sfiga, grattammo il grattabile come d'uopo in queste situazioni, e ci scambiammo il numero del cellulare con la promessa di finire l'intervista il giorno seguente.

* * *

Il giorno dopo chiamai Laura per metterci d'accordo su dove e quando finire l'intervista.

- Pronti?

- Sì, che c'è?

- L'intervista, ricordi?

- E' successo di peggio.. La mia vicina è morta.

- Merda, uccisa dalle emorroidi?

- Stronzo.

- Ok, scusa. Cosa è successo?

- L'ho trovata davanti la porta di casa, morta stecchita. Oggi si saprà di che è collassata.

- Mi dispiace.

- Sapessi a me.

- Senti, mi trattengo qui ancora per qualche giorno, se vuoi poi ci sentiamo più in là per finire l'intervista. Sennò ciccia.

- Ok, ciao.

- Ciao.

Brutta, brutta storia, davvero. Ma se le emorroidi hanno un limite e poi scoppiano, le brutte storie non finiscono mai di gonfiarsi. Il giorno dopo comprai il giornale e venni a sapere che il farmacista dell'altra notte era stato ucciso da una dose da cavallo di barbiturici; perndendo i sensi si era sfracellato la bocca cadendo sul bancone, ecco il perché di quel sangue. E, citando Corrado, non finiva qui: mi chiamò Laura, dicendomi che sì, anche lei aveva letto del farmacista morto e che mi voleva informare del fatto che anche la sua vicina era morta allo stesso modo.

Mer... anzi, cacchina maledetta!

Urgeva aperitivo d'aggiornamento.

Ma questo non ebbe altro risultato che una sbronza di Campari gin e congetture.

L'unica cosa di cui eravamo certi era un brutto presentimento di Laura, anche in relazione allo strano incidente dell'altra sera.

E il brutto presentimento si materializzò sotto forma di...incubo.

E qui aprirei una piccola parentesi sui sogni: l'onirico, ahinoi, complice questi nostri tempi da latrina pubblica, è ormai un suolo deserto e privo di significato, escludendo il lotto e gli psicologi da talk show. Poi ci sono sogni di gloria al cellophane, sogni d'amore scontati e incubi comprati all'ipermercato, come il nostro.

Tant'è, andò così: sfogammo un po' il barcollare post-sbronza camminando random, senza mai smettere di montare e smontare ipotesi. L'andatura ci portò in un vicolo cieco, via Borges, ironia della sorte maledetta! Ci accorgemmo di non avere via d'uscita non sbattendo i grugni su un muro ma quando udimmo il rombo fatale e, indietreggiando, entrammo in contatto con mattoni, muffa, spazzatura e un vago odore di liquami di scarico di probabile provenienza umana.

All'inizio sembrò una Vespa truccata: era una motosega. La brandiva... Laura? A quel punto mi voltai per sincerarmi della visione e Laura in effetti era lì accanto a me che si stava piegando in due dalle risate. La ragazza con l'arnese a catena rotante camminava a passo lento verso di noi: era parecchio alta, piuttosto belloccia, bionda, lungocrinita, pallida e nerovestita

- Che cactus hai da ridere? Una pazza furiosa sembra ci voglia fare a fette e tu... tu ridi?! - dissi.

- Ma non hai capito chi è? - disse la mia compagna di sbronze.

- La sorella gemella che tenevi incatenata in cantina e che nutrivi con carne cruda?

- Naaaah, è Linda!

- Aiuto.

Linda aveva un ematoma sulla testa e il trucco spalmato come uno spuntì sul viso: aveva pianto.

Quello che accadde poco dopo, e di cui fui testimone, non aveva niente a che fare con metà oscure e "kingate" (da Stephen King) simili, forse più col Borges che dava il nome a quel vicoletto merdoso. L'incontro, forse poco amichevole, tra un personaggio e la scrittrice che l'ha creato. La colonna sonora era a cura di Leatherface (ricordate il ragazzone mattacchione di Non aprite quella porta?).

Mi feci da parte (in senso locomotorio) e mi gustai la scena.

- Linda, vecchia stronza.

- Laura...

Seguì un rombo di motosega.

- Lo sapevo che eri stata tu, l'altra sera, a cercare di investirci.

- E brava. E ti dirò di più: ho ucciso pure il farmacista. Vuoi sapere perché? Perchè mi vendeva quelle merde di psicopillole. E in realtà non me ne vendeva mai abbastanza! Così... che tu sia passata di là è stato un caso fortunato. Fortunato perché io ero lì a due metri. Giusto due minuti prima avevo abbassato la serranda. L'ho ucciso con uno zigulì carico di barbiturici.

- Oh mio zio! E non mi dire che poi ti sei ricordata di me e della Alessia (nota: Alessia, la donna privata del piacere di godersi le sue emorroidi e di vivere) e l'hai fatta fuori dopo che hai fallito il tentativo di stendere me...

- Esatto - rispose Linda dando gas - se lo meritava. So che ti stava incoraggiando a scrivere un altro romanzo con me protagonista.

Il resto è stato praticamente un'intervista ad opera della giornalista Linda Bastiglia alla giornalista/scrittrice Laura Campiglio, con un crescendo di motosega degno del miglior Morricone.

Eccola qui, la scrittrice del mio cazzo. Adesso vediamo se ferisce più la penna della motosega...

Senti Linda, vabbé che con il brutto carattere ti ci ho voluta io, però insomma, questa è proprio ingratitudine... puoi spegnere ‘sta motosega, che ci fumiamo una sigaretta?

Seee, fai l’amica adesso che sei sotto tiro. Perché non mi hai suicidata quand’era il momento, stronza?

Perché mi servivi e mi servi. E perché se l’ho scampata io, tu non potevi rimanerci secca.

Cosa vuoi dire?

Ecco, adesso mi vuoi far diventare sentimentale. Vuol dire che tu esisti perché lo voglio io, e questo potrà anche non piacerti. Ma alla fin fine sono io che ho bisogno di te. Perché di sì, perché esistendo, in qualche modo tu giustifichi il mio mondo.

Sveglia, bimba! Il tuo di mondo è una merda, perché lo deve essere pure il mio? Guarda come mi sono ridotta, il rimmel m'è costato 10 articoli di cronaca parrocchiale...

Per quello rilassati: adesso che arriva il caldo, spunteranno fior di omicidi in famiglia e ci camperemo per mesi. Il mio mondo è piccino picciò, è vero. Ma il mio ego, tesoro, è così smisurato che solo io non bastavo. Mi sei servita tu. L’alter ego, hai presente?

Me lo farò scrivere sulla carta d'identità: Linda Bastiglia, segni particolari, alter ego. Ma per te che sono, una parte di te, una bambola vudù o cosa?

Bella, tu la carta d’identità non ce l’hai, a meno che non te la scriva io. Nel qual caso, "alter ego" te lo metterei alla voce "professione". Perché è il tuo lavoro, ed è il mio. Per me sei questo: sei il mio capo e sei una stronza alle mie dipendenze.

Sai cos'è che mi spaventa? L'essere "la protagonista"... Mi fa sentire terribilmente sola. Te ne rendi conto o no?

Sei proprio senza vergogna! Ma se del protagonismo hai fatto una religione! Se i momenti più felici della tua infanzia - e non ti preoccupare che sulla tua infanzia ne so più io di te - erano quando salivi sulla sedia a recitare la poesia! Sei una che non respirerebbe neanche, se nessuno la guardasse. Comunque, che tu ti senta sola è previsto. Anch’io mi sento sola. Eppure non ho in mano una cazzo di motosega, io.

Allora che facciamo? Io voterei per farti a pezzi. E se muoio pure io con te chi se ne frega: muoia la stronza con tutti i filistei!

Embè, accomodati: anzi, inizia pure dalle mani, visto che è da lì che vieni. Però è un peccato, sai? Perché si dà il caso che avessi grandi progetti, per te: tipo toglierti dieci centimetri dal giro vita, metterti a disposizione una sfilza di sandali di Manolo Blahnik, regalarti un esercito di adoni pronto all’uso per notti di sesso leonino. Anzi, potrei fare di meglio: te lo ricordi – su, carina, non fare la vaga: so benissimo che te lo ricordi – quello là, quello con gli occhi blu polizia, che ci aveva smollate senza dire buon giorno nè buonasera? Ecco, te lo faccio tornare strisciando, se tu metti giù quella cazzo di motosega.

Prometti di ammazzarmi, prima o poi? Di lasciarmi in pace? Non sono Maigret, Nestor Burma o Scerlocolms... E poi, carina, credimi, se vuoi fare il grande salto hai bisogno di confrontarti con altro.

Senti Linda, a promettere non sono brava. Quanto al grande salto, è un problema mio, e comunque se lo faccio lo faccio con te. Io da sola non ci vado.

Ma non ci vai dove, cristo santo?

Non lo so. Ma io da sola non ci vado.

Poi accadde una cosa strana e inaspettata, considerando che questa storia è iniziata con dolori al deretano. Le due si sono avvicinate, e

Laura Bastiglia... No, Linda Campiglio, o qualcuna a metà strada
Laura Bastiglia... No, Linda Campiglio, o qualcuna a metà strada
sembrava che Laura camminasse verso uno specchio che non rifletteva lo sfondo: merda alle spalle e davanti le luci della città. Forse una speranza. Oh, le due s'abbracciarono e si misero a piangere per un quarto d'ora buono, che io impiegai con un paio di sigarette. Ero stanco, così poggiai il sederino per terra e la schiena al muro. Mi addormentai. Mi svegliò più tardi Laura. Aveva le mani nere.

- Oh ma che hai fatto, lì? - le chiesi.

- Dove?

- Alle mani.

- Ah, - Laura sorrise - Linda, Linda...

Ne sono certo, quel nero là era inchiostro.