Sudate note in pentatonica sgrassano i miei timpani.

Blues, sicuro come la morte.

Nella stanza in cui sono appena entrato, la polvere sale verso il soffitto in vortici lenti, attraversati di sbieco dalla pallida luce del tramonto che filtra, stanca, da una finestra.

New Orleans?

No: una sala prove nell’hinterland milanese.

Sono stato invitato da Valter Binaghi ad una prova della sua band Doctor Blue & The Healers: un po’ di sano blues come scusa per chiacchierare del suo Robinia Pop... hem, pardon, Robinia Blues.

Per una volta, un po’ di relax. Niente indagini su editor-editori e collane librarie. Anche se Valter, oltre allo scrittore-musicista-insegnante, fa il consulente editoriale. Meglio non pensarci, altrimenti crollo sul pavimento con la bava alla bocca.

Strette di mano, pacche sulle spalle e subito in mano un bel whisky: non c’è che dire, un’accoglienza calorosa. Con noi c’è una ragazza: evito di fissarla per evitare figuracce. Accendo la pipa e mi gusto alcol, tabacco e un roco Tom Waits che sventola i suoi 29 dollars.

Il ghiaccio è rotto o, meglio, squagliato: m’è salito un caldo caino.

Stringendo tra le dita la mia fedele penna feticcio, Jacqueline, tiro fuori il taccuino e, al termine della song, infiltro subdolamente la mie prime domande: 

 

Blues e letteratura: non è la prima volta che si sente parlare di questo accostamento. Come nasce Robinia Blues? Da una sbronza con B.B. King o cos’altro? 

Qualche anno fa ho preso un cane, un Husky che si chiama Althea. I Siberian Husky sono cani che hanno bisogno di molto movimento, così ho cominciato a fare lunghe passeggiate nella brughiera, dove si giocava da bambini: storie di guerra, e capanne sulle robinie. Ma il territorio che ho trovato era sconvolto, deturpato. Inevitabile il rimpianto per un paesaggio che non c’è più, e per gli anni dell’adolescenza, il mondo visto con uno sguardo vergine, innamorato. Mi è venuto un blues: il blues è la musica del rimpianto e dell’amore perduto.

 

Sfoglio la mia copia ultrasottolineata di Robinia Blues e, come un Albertazzi ubriaco, leggo: “un mondo che sta di fianco a questo, dove non c’è dolore, né noia, né il tempo che passa. Dove niente di quello che ami va perduto. Ci caschi per caso una volta, e passi il resto della vita a cercare di rientrarci”. 

 

A parlare è un tuo personaggio, guarda caso un musicista blues, a proposito del suonare come scelta di vita. È in queste parole il senso profondo del romanzo? Il bosco delle robinie come luogo del ricordo e il blues come una sorta di altro “meta-luogo”?

Forse passiamo la vita a tentare di ritrovare quella percezione assoluta delle cose che un tempo ci ha colto come una grazia. Nell’arte, specialmente nella musica, a volte si vivono di queste situazioni estatiche, e senza bisogno di additivi. Un filosofo diceva che l’arte è la Domenica della vita.

 

E di portare in giro il romanzo con un reading musicale, che mi dici?

Pura e semplice conseguenza: se c’è un popolo del blues questo è il suo libro, ed è così che dovevo farglielo conoscere, raccontato e suonato.

 

I membri della band fremono. Mentre appunto le risposte di Valter, attaccano con From a Buick Six di Bob Dylan.

Mi verso un altro drink e medito le prossime domande. Non me ne viene in mente nessuna, sono troppo preso dalla musica. Quando finiscono di suonare, tutti si aspettano una domanda, ma io nisba. Nella sala prove si sente solo il mio stomaco che brontola isterico per la fame. Provo a dissimulare. Niente da fare, loro già si guardano in faccia e cominciano a ridere.

Valter mi rassicura – tranquillo, abbiamo ordinato un po’ di pizza. Tra qualche minuto ce la recapitano.

- E la birra? – chiedo timidamente.

- No problem: una cassa di Du Demon te gusta?

- Cacchio se me gusta.

Nell’attesa suonano Outskirt of town di Van Morrison. Il mio stomaco jamma con loro a furia di brontolii sismici. Nessuno sembra accorgersene: il volume è alto. Per fortuna.

Intanto arriva il corriere della pizza express. La ragazza che è con noi sente miracolosamente il campanello e va a prendere i cartoni.

La canzone di Van Morrison è appena finita, quando sentiamo un urlo degno della doccia di Psycho.

Ci ammassiamo tutti davanti l’uscio.

La ragazza è svenuta.

Il corriere della pizza express è morto stecchito.

Ha il tetto del cranio come uno sformato di patate e prosciutto andato a male. È stato aggredito con qualcosa di decisamente pesante. Molto giovane, sotto la ventina, un paio piercing qua e là, treccine rasta ancora corte, ne vedo qualcuna rimasta appiccicata al relativo cuoio capelluto e alla porzione cranica schizzata via.

Io e Valter ci guardiamo come due mufloni strafatti di eroina.

Qualcuno della band vomita, altri vanno dentro a bersi qualcosa di forte. Andrei pure io, ma aspetto l’arrivo della polizia che abbiamo chiamato da un cellulare; cinque minuti dopo è già sul posto e procede subito con i rilevamenti e le domande di rito.

Quattro minuti dopo la chiamata e un minuto prima che arrivino i tutori della legge, raccolgo da terra quella che sembra un scheggia di legno insanguinata. La infilo in tasca senza farmi notare.

Stasera niente birra e niente pizza, a meno che a qualcuno non piaccia la “Cervellosa”: variante della Capricciosa con aggiunta di materia grigia e gustose fette di meningi. 

* * *

 

Compiuta la prassi al commissariato, ce ne torniamo tutti in sala prove. Nessuno ha più voglia di suonare. La ragazza è a casa col fidanzato, il batterista. Mi complimento con me stesso per aver evitato la figuraccia e magari anche l’uso del mio didietro come rullante aggiuntivo.

Tutti i membri della band conoscevano il ragazzo della pizza express. Scopro che si chiamava Luca e che spendeva il suo tempo tra le pizze e un centro sociale della zona. Un No Global. Padre ex-poliziotto in pensione, madre fuggita con ignoto amante in località sconosciuta.

Intanto gli altri, uno per uno, vanno via col proprio magone. Io e Valter restiamo soli.

Gli chiedo:

 

La morte fa paura anche agli scrittori di gialli eh?

Sì ma c’è morte e morte. Per esempio in Robinia Blues c’è un cadavere e la ricerca dell’assassino, ma quella che fa più paura è la morte dell’anima: per dirla con Majakovskij “la barca dell’amore si è spezzata contro la vita corrente”. Che ne è stato della promessa fatta a noi stessi nell’infanzia, di essere uomini indomiti e valorosi?  Chi ha ucciso l’eroe che ogni ragazzo sognava di essere?

Del resto, non c’è troppo sangue e sbudellamenti nel mio romanzo, non ho una grande passione per questo genere di cose. Preferisco il perturbante all’atroce.

 

Se tutto il sangue raccontato dall’arte dovesse materializzarsi improvvisamente ci troveremo di fronte ad un nuovo, vermiglio, Diluvio Universale...

Ecco appunto. Una violenza troppo reiterata ed esplicita ha l’effetto anestetizzante: ti toglie la sensibilità per la violenza vera e strisciante che ci circonda. Quella della porta accanto, per intenderci.

 

Ci guardiamo un attimo in faccia: nessuno di noi due l’ha detto, ma cercheremo di saperne di più della morte di Luca.

Torno in albergo portandomi appresso involontariamente la bottiglia di whisky.

- Domani gliene compro una – penso disteso sul letto – domani...

E mi coglie il sonno.

 

* * *

 

La sera, dopo una giornata passata a consumarci il cervello di pensieri e gin, io e Valter decidiamo di andare a fare un giro al centro sociale dove era di casa Luca.

Entriamo e, paradossalmente, sembra di stare in un oratorio alle tre del pomeriggio. Regna sovrano un silenzio quasi di preghiera. I ragazzi e le ragazze presenti sono seduti di qua e di là, tutti con una nera maschera di lutto disegnata in volto. Prendiamo qualcosa da bere e ci appartiamo.

 

Come vedi questi ragazzi rispetto alla generazione (70’s) di cui parli in Robinia Blues? Credi esistano differenze e/o punti in comune?

Sono più disincantati, meno disposti a farsi esaltare da uno slogan: è la loro forza ma anche la loro debolezza, rischiano l’abulia.

 

Voi, più trent’anni fa volevate cambiare il mondo: ci riusciranno loro?

Prima di cambiare il mondo bisogna amarlo. Altrimenti si è solo presuntuosi, si prendono cantonate. Basterebbe impegnarsi a non lasciarlo peggiore di come lo si è trovato, sarebbe già una conquista, rispetto agli ultimi cento anni.

 

Per attirare la mia attenzione, Valter mi dà di gomito diritto nello stomaco. Mi fa notare qualcuno nei pressi del palchetto per i concerti – è Chiara, la ragazza di Luca – dice.

Lo seguo quasi piegato in due. Lui mi blocca – guarda, forse è meglio che vai ad aspettarmi in macchina – mi porge le chiavi - con te accanto non mi prenderebbe troppo sul serio: sei vestito come un cazzo di Sherlock Holmes!

- Beh, ho sempre preferito Ellery Queen. Ma se lo dici tu...

Così mi avvio verso l’uscita ed entro in macchina.

Accendo lo stereo e una sigaretta. Dagli altoparlanti spunta fuori John Martin con Solid air. Seguono, accompagnati da altrettante cicche, B.B. King, John Lee Hooker e Ry Cooder.

Dopodiché torna Valter, mi scrocca una sigaretta e snocciola il resoconto della chiacchierata con la giovane vedova sui generis – sarò breve: secondo lei, e tutti lì dentro, è stato Benny il Fascio ad uccidere Luca. È evidente dal nome come la pensasse politicamente e si dice che stravedesse per Chiara.

- Doppio movente, politico e passionale. Se lo acchiappano lo inchiodano alla croce – dico prendendo l’ultima paglia dal pacchetto.

Tiro qualche boccata di fumo, poi sparo:

 

Politica, gioventù e delitto: uè Valter, sembra proprio il tuo romanzo!

In effetti Robinia Blues è anche il mio modo per fare i conti con la mia generazione, chi aveva vent’anni nel ‘77 ci ritroverà parecchio di sé. Ma non direi che è un libro politico, se non nel senso che si rimpiange una passione politica oggi impossibile, data la pochezza delle idee e le facce impresentabili che se ne fanno interpreti.

 

Ci avviamo verso l’albergo, in sottofondo Little wing di Jimi Hendrix.

- Valter, com’era visto Luca là dentro?

- Sostanzialmente bene; qualche scaramuccia con qualcuno, roba di correnti politiche differenti nello stesso movimento e, al solito, roba di donne, lo hai visto anche tu, Chiara è una gran bella ragazza, ha ammiratori bipartisan...

 

* * *

 

Nuovo risveglio in albergo. La notte prima mi sono coricato vestito. Ho un mal di schiena feroce, come se avessi dormito su una pietra. Mi alzo e scopro la bottiglia di whisky vuota sprofondata tra le coperte.

Forse ero sbronzo. Forse (?!)...

Mi preparo, metto su indumenti da essere umano quasi normale, faccio colazione ed esco.

Ho appuntamento con Valter in piazza. Compro un giornale aspettando che arrivi. Nella pagina della cronaca niente di nuovo: la polizia brancola nel buio per risolvere un delitto che ha sempre di più l’aria d’essere l’opera occasionale di un folle di passaggio. Credo a quest’ipotesi quanto credo in Buddha.

Intanto arriva Valter in compagnia di un tizio che non conosco.

Mentre ci incamminiamo verso la fermata del bus scopro che si chiama Andrea e che è un alunno di Valter, cugino di primo grado della vittima. Dice che ci porterà dallo zio, a casa di Luca.

Sull’autobus sbatacchio in faccia a Valter la classifica dei libri più venduti; in testa c’è Dan Brown e il suo Codice da Vinci

 

Che ne pensi di questa letteratura thriller angloamericana da classifica?

Nello specifico il Codice da Vinci è una sola, come dicono a Roma. Esoterismo d’accatto, rubacchiato qua e là. La storia dei Merovingi generati da Gesù e dalla Maddalena è vecchia di decenni, paccottiglia basata su documenti falsi. Poi scritto bene, per carità, col ritmo giusto, ma se si devono raccontare bugie è meglio inventare di sana pianta.

 

Il mercato editoriale è un bel casino eh?

In Italia c’è poco coraggio. Se non fingi di scrivere gialli o noir non ti pubblica nessuno. Preferiscono tradurre best sellers stranieri.

 

E tu, col tuo piccolo ma dignitoso Robinia Blues, come ti senti di fronte a questi colossi delle vendite?

Ogni libro ha il suo destino. Quello di Robinia Blues comincia da un editore piccolo ma coraggioso, che ha amato la storia più della fedeltà pedissequa a un genere. Spero che i risultati lo premino.

 

Scendiamo dal mezzo pubblico e Andrea ci fa strada a piedi fino al palazzo dove abitava Luca. Troviamo il portone aperto, saliamo fino al terzo piano e suoniamo il campanello. Andrea è davanti a tutti. 

Aprono la porta.

- Oh Andre’ ... – mugola un uomo che ha passato la cinquantina, il volto devastato dal dolore e dall’insonnia.

- Zio Ignazio...

Andrea spiega che siamo venuti a dare le condoglianze da parte di tutto il liceo. Vengo spacciato per professore ed entriamo.

Ci accomodiamo in soggiorno.

- Una tragedia – dice lo Zio Ignazio – ancora non ci credo.

Andrea gli si avvicina e lo abbraccia affettuosamente.

- Mio figlio era una testa di cazzo, ma gli volevo bene porco d...

Ex-poliziotto/No Global: una bella accoppiata.

Comprensibilmente, il discorso va avanti tra ricordi e lacrime affrante. Vorrei vedere la camera di Luca, cercare indizi. Ma come? Perdo il filo del discorso e mi chiudo nei recessi della mia mente per elaborare un piano. Poi me ne esco con un geniale – scusate, posso andare in bagno?

Ignazio, asciugandosi le lacrime, mi fa cenno di sì.

Andrea precisa – nel corridoio, seconda porta a destra.

Mi alzo e sgattaiolo via. L’appartamento non è molto grande, escludo il bagno e cerco la camera di Luca. A culo, la trovo di fronte il cesso. Apro delicatamente la porta. Do una rapida occhiata in giro. Se mi scoprono sono fottuto. Sbircio tra le foto attaccate all’armadio. Soffoco un’esclamazione – cazzo! – stacco una foto, la intasco. Vado in bagno, tiro lo sciacquone, mi lavo le mani e torno in soggiorno, dove trovo un silenzio, è proprio il caso di dirlo, di tomba.

Dopo qualche minuto rinnoviamo le condoglianze e smammiamo. 

 

* * *

La sera sono a cena in una trattoria con Valter. Lui mangiucchia qualcosa, io divoro tutto con appetito pantagruelico. Mi confessa che la realtà, i delitti veri, sono di tutt’altro peso rispetto a quelli di carta. 

Vero, ce lo rammenta Dürrenmatt; ricordi quel suo romanzo, La promessa, sulla distorsione del reale a opera dei romanzi gialli?

Si, è uno degli scrittori che ho amato di più in un certo momento della mia vita, in particolare La panne. Ultimamente ho trovato interessante la scrittura “gialla” ma sobria, purissima, di Carofiglio.

Intanto un cameriere accende il televisore. In onda c’è un telegiornale: “Arrestato Benito Mingozzi, militante d’estrema destra, con l’accusa di aver ucciso il No Global Luca Monti. La polizia ha trovato in casa del ragazzo, detto anche Benny, un mazza da baseball nuova di zecca con tracce di sangue.”

- Cazzo! – dice Valter.

Comincio a pensare che Archimede non esclamasse esattamente: “Eureka!”. Tirerei fuori i miei super-indizi. Ma non mi sembra proprio il caso. Per il momento...

 

* * *

 

All’uscita dalla trattoria ci fermiamo davanti ad un bancarella di libri usati. Spulcio in mezzo alle cataste caotiche di volumi. Tiro fuori: Twain, Ellroy, Scerbanenco e Sciascia. 

 

Cosa ne pensi di questi quattro? Qualcuno di questi rientra tra le tue preferenze/influenze?

Mark Twain, per tutta la vita. Robinia Blues non esisterebbe senza Tom Sawyer, e forse neanche il mio amore per la letteratura. Scerbanenco, grandissimo in tutta la serie del Duca Lamberti: ho messo una sua citazione come sottotitolo del romanzo. Di Ellroy ho apprezzato particolarmente I miei luoghi oscuri: è un libro bello e terribile. Sciascia lo conosco troppo poco.

 

C’è qualcun altro nei tuoi sogni-guida di scrittore di provincia?

Uno che c’entra molto col mondo poetico di Robinia Blues è John Fante. Mentre scrivevo Robinia era il mio punto di riferimento fisso, per la qualità della voce narrante. Un titolo in particolare? Full of life.

Tra gli italiani, due titoli: Io non ho paura di Ammanniti, La strategia del caso di Alberto Ongaro e Lo stato dell’unione di Tullio Avoledo: sono libri che, in modo diverso, sento molto vicini al mio modo di vedere uomini e cose.

 

Compro i quattro libri in blocco. Poi Valter mi riaccompagna in albergo con la macchina. Maybellene di Chuck Berry fa da colonna sonora al tragitto.

Ci salutiamo, scendo dalla macchina e, prima di chiudere lo sportello, spiffero sibillino – comunque, non è Benny il Fascio l’assassino di Luca.

- Eh?! Cosa?

- Buonanotte Valter. A domani. Eccolo qua, il colpo di teatro che aspettavo da una vita. 

 

* * *

Solito risveglio, solita bottiglia conficcata nella schiena, solito appuntamento in piazza, solito giornale. 

 - Oh-oh! Buone nuove! – dico ad alta voce.

Intanto è arrivato Valter – buone cosa?

- Leggi! – gli porgo il giornale.

- Benito Mingozzi ha un alibi di ferro: per togliersi di dosso l’accusa di omicidio premeditato, ha dovuto confessare che con quella mazza da baseball, la stessa sera del delitto Monti, aveva pestato a sangue un nordafricano. Il reato è scabroso, ma “almeno non è un omicidio”, ha dichiarato il suo avvocato. Interrogato dalla polizia, l‘extracomunitario in questione ha confermato l’aggressione. 

- Entro stasera, spunta fuori il vero assassino – sentenzio – anzi, accompagnami in commissariato va’.

Mentre Valter mi accompagna gli mostro gli indizi. Lui mi da sonoramente del coglione e mi chiede – sicuro che vuoi andare in commissariato?

- Vai, vai. Tranquillo.

 

* * *

Mi sono preso del testicolo deambulante perché mi accuseranno di occultamento di prove, ma tant’è, avrò la mia fetta di gloria.

Poche ore dopo, il padre di Luca confessa di aver ucciso il figlio in preda ad un una rabbia repressa da tempo: lui, ex-celerino, non riusciva a sopportare oltre la vista di suo figlio come un No Global – comunista come quella troia della madre – uno che solo pochi anni fa avrebbe preso a manganellate. Ha riversato su di lui tutto l’odio per la moglie che lo aveva abbandonato.

Sono arrivato alla soluzione meditando sui due indizi raccolti; la scheggia di legno: per quanto Luca avesse la testa dura, dubito che il suo cranio potesse scalfire un mazza da baseball “nuova di zecca” come quella di Benny, una vecchia e logora sì, magari quella della foto di un assolato giorno della sua infanzia, quando giocava maldestramente a baseball col papà. Per il resto ho atteso che la polizia mi aiutasse parallelamente nelle indagini.

Da Valter ho solo parole di stima – bravo! Hai fatto tutto da solo! Hai voluto fare l’eroe. E adesso ti becchi una bella incriminazione per occultamento di prove! Coglione!

Aveva ragione Dürrenmatt? Forse le investigazioni dei romanzi gialli non corrispondono sempre con la realtà... 

 

* * *

 

Sono in stazione con Valter.

- Dai, tanto ci rivedremo presto, mi chiameranno a testimoniare, poi, boh, ci sarà il mio processo? – butto lì, la frase sbagliata al momento sbagliato: mi sembra di rassicurare un amante.

- Te l’ho detto, sei un coglione.

- Grazie per la stima.

Valter sorride bonario, ha capito che effettivamente un po’ coglione lo sono sul serio.

Mi tolgo qualche sassolino dalla scarpa, tre o quattro domande che, vista la concitazione degli eventi non ho posto:

Hai scritto: “oggi che non distingui una bestemmia da uno spot pubblicitario l’unica controcultura sarebbe il silenzio”. Questa frase rivela l’aspetto, come dire, duro e fortemente critico del romanzo. Cosa mi dici a riguardo?

Il mezzo è il messaggio, come diceva Mac Luhan. Andare in televisione per parlare contro la TV spazzatura è semplicemente ridicolo. La tv tritura tutto, è un re Mida alla rovescia: trasforma tutto in merda. L’unica televisione buona è quella spenta.

 

In Robinia Blues c’è anche parecchia (e a volte amara) ironia.

Non sono un fustigatore dei costumi: ho pena delle debolezze umane, anche perché ne ho molte. Cerco di vedere cose e persone con simpatia, perché ognuno di noi riesce a essere malvagio senza essere il male. Ecco, a differenza degli anni Settanta, non mi riesce più così facile giudicare e condannare. Sarà saggezza o rincoglionimento senile?

 

Curiosità: quanto c’è di autobiografico in questo romanzo?

Troppo. Non nei fatti raccontati, ma nei sentimenti che li accompagnano. Certamente la scrittura è sempre una forma di autocoscienza, ma qui in particolare. E’ stata una faticosa necessità: se non l’avessi scritto mi avrebbe ucciso.

 

Ciuf, ciuf! È arrivato il treno. 

 

In conclusione, come nella più scontata tradizione giornalistica, hai qualche dichiarazione da fare?

Leggetelo, carissimi.

 

Dopo questo saluto con un retrogusto papalino, salgo lo scalino e via col trenino...

Alla fine di ‘sti giorni ho il cervello fuso, si vede?