Scorrazzando in piena libertà tra i ricordi delle mie ataviche letture e le ultime pubblicazioni mi sono reso conto che nella letteratura poliziesca le detective in gonnella stanno aumentando considerevolmente di numero mettendo in crisi i poveri maschietti. Non che in un passato più o meno remoto l’occhietto vigile e attento femminile non abbia trovato spazio tra coltelli e veleni. Un veloce excursus in internet mi ha subito messo al corrente della rispettabile quantità di miss Marple sparse un po’ dappertutto. Ne cito qualcuna per darvi solo un’idea: Loveday Brooke di Catherine Louise Pirks lavora per un’agenzia privata di investigazione; Florence Cusack di Lillie Thomasine Meade è una signora dell’alta società londinese che collabora con Scotland Yard; Robertson Kirk della baronessa Emmuska Orczy dirige la sezione femminile di Scotland Yard; Violet Strange della statunitense Anna Katherine Green è una giovane ereditiera dell’alta società newyorchese che collabora con la polizia; Sarah Fairbanks anch’essa degli Stati Uniti, è una maestra di campagna, investigatrice dilettante. E poi abbiamo Miss Pinkerton di Mary Roberts Rinehart, Sarah Keate di Mignon G. Eberhart, Miss Maud Silver di Patricia Wentworth, Harriet Vane di Dorothy Sayers e tante altre ancora.

Continuando la ricerca “de visu” ai giorni nostri, cioè andando di persona ad acquistare gialli per rendere più ricco il mio lavoro e più depresso il mio borsellino da insegnante in pensione, mi sono ritrovato ancora una volta di fronte a una sfilza sempre crescente di signore e signorine in giallo.

Più o meno giovani, più o meno carine, più o meno avvenenti, più o meno “normali”. Sulla vera Signora in giallo interpretata magistralmente da Angela Lansbury alla televisione non dico nulla tanto è conosciuta. Anche su Kay Scarpetta e Petra Delicato c’è poco da dire data la loro fama. Kay Scarpetta di Patricia Cornwell di chiara origine italiana e chiare problematiche paranoiche, lavora presso l’ufficio di medicina legale della Virginia (ultimamente si è trasferita a Richmond, mi sembra), è talmente brava da far parlare i morti. Insieme a Peter Marino e la nipote Lucy, genio dell’informatica, costituiscono proprio un bel terzetto. Petra Delicado di Alicia Gimenez-Bartlett è una quarantenne ex avvocato con due matrimoni falliti alle spalle. Femminista e nello stesso tempo dotata di una bella carica di femminilità, lavora a Barcellona, sempre alle prese con il suo vice Fermin Garzon. classico maschilista di buon cuore.

Qualche volta queste autrici straniere te ne sfornano più d’uno di poliziotti al femminile. Come Sandra Scoppettone, nome italiano ma pura figlia di New York. Per prima ha creato Lauren Laurano una detective privata ex agente federale di trentacinque anni, che non arriva al metro e sessanta ma carina lo stesso, con la fobia per gli insetti e un istintivo ribrezzo per il sangue.

Va pazza per la cioccolata e le altre ragazze. Una lesbica dichiarata, come la stessa autrice. Poi si deve essere stancata di fare l’omosessuale nella fantasia e ha creato la figura di Lucia Dove sceriffo della contea di Jefferson in Virginia, un bel pezzo di gnocca eterosessuale che deve vedersela con una società che la pensa in generale come Fermin Garzon. Non contenta ha tirato fuori dal cilindro Eaye Quick, (spero di scrivere bene tutti questi nomi stranieri) ex dattilografa diventata investigatrice nella New York degli anni quaranta. Fermatela!

E a proposito di detective o poliziotte lesbiche devo dire che stanno nascendo come funghi. Ricordo, en passant, la Saz Martin di Stella Duffy (protagonista di Carne fresca, Marsilio 2006) e la Vanessa Tullera che viene apertamente dichiarata anche nel titolo Bloody art. Il ritorno della lesbocommissaria di Pablo Echaurren, Editore Fernandel 2006. Tanto per citarne un paio. Ma la prima investigatrice privata lesbica, stando a Sacha Rosel, è Helen Keremos nata dalla penna di Eve Zaremba con il romanzo A Reason to Kill, mentre la prima poliziotta lesbica è Kate Delafield in Amateur City del 1984 di Katherine V. Forrest.

Oggi autrici donne che creano personaggi femminili in qualche modo legate alla detection riescono perfino ad attirare l’attenzione di maschietti di un certo calibro.

Vedi Una verità o l’altra di Christine Von Borries, pubblicato dalla Guanda, che il nostro Camilleri profetizza essere “destinata a imporsi tra gli autori di romanzi polizieschi”. Qui la piedipiatti è Irene Bettini la quale, dopo essere stata vicedirettrice della Decima sezione del Sisde, diventa agente operativo a Roma. Particolari sulla protagonista vengono dati con il contagocce. Solo a pagina trentacinque si viene a sapere che si veste velocemente, ha il naso piccolo, una bocca ben disegnata tendente sempre al sorriso, gli occhi grandi dal taglio leggermente orientale. Tre pagine dopo scopriamo che ha trentadue anni. In precedenza, spiluccando qua e là, ci siamo fatti l’idea che è una ragazza piena di vita, che ama il caffè e le sigarette, vive da sola e ha un padre al quale è molto affezionata (non si fa cenno della madre) che le ha trasmesso regole chiare su cosa sia giusto o sbagliato, sull’impegno da mettere nella vita, sul fatto che nulla cade dal cielo e tutto va guadagnato. E’ infine legata sentimentalmente a Roberto Taddei, uno degli agenti più esperti dei servizi segreti. Messa a recuperare con il computer i dossier raccolti negli ultimi tre anni scopre passaggi di denaro sospetti che daranno vita a una serie di colpi di scena durante i quali lei stessa rischia la vita.

Kinsey Millhone di Sue Grafton lavora nelle strade di Santa Barbara, ex santa Teresa, in California proprio sulle stesse strade dove si aggirava Lew Archer di Ross Macdonald.

Piccola, scura, si tinge i capelli in maniera vistosa, vive in un garage e si sposta su una decrepita Wolkswagen. Vita difficile, perde i genitori in un incidente stradale, abita con una zia. Entra come investigatrice nella California Fidelity ma poi si mette in proprio. Due matrimoni allo sbando. Temperamento forte, ribelle, indipendente.

Ho scoperto che J. D. Robb che va tanto di moda non è altri che lo pseudonimo di Nora Roberts che ha sfornato e sta sfornando una nutrita serie di romanzi polizieschi che hanno come protagonista Eve Dallas tenente della squadra Omicidi di New York.

Dalla lettura di Codice cinque tirato fuori dalla Tea edizioni si apprende che la suddetta Eve è sulla trentina con grandi occhi nocciola, capelli castani corti, viso triangolare con zigomi taglienti e una piccola fessura nel mento. E’ alta, snella e provvista di solidi muscoli. Sogna ancora, le piace il rumore e la gente. Un tipo aperto con i piedi ben piantati per terra in un mondo ancora da venire.  Siamo nel 2058. Un bel salto nel tempo. Codice cinque significa libertà di agire e così Eve, durante tutto il caso che le è stato assegnato, può fare in pratica quello che le pare. In maniera spiccia, mascolina ma c’è un fatto accadutole da piccola che spiega la causa di questo atteggiamento. Alla fine saprà sciogliersi.

C’è poi Paola Barbato, la sceneggiatrice di Dylan Dog che ha scritto un giallo, Bilico, con una smagliante copertina gialla, appunto, pubblicato dalla Rizzoli nel quale compare Giuditta Licari come collaboratrice della polizia.

Questa volta l’autrice ci dà subito delle informazioni precise senza farci tanto penare. Giuditta non è una di quelle sventole di ragazze che fanno voltare la testa anche ai gay. E’ “bassa, tozza, né bella né brutta” con “la pelle grassa e i capelli sempre unti e appiccicati alla fronte anche in inverno“, due mani “grassocce da bambina” e un “paio di tette solide e fianchi compatti”. Una studiosa tenace, la prima della classe, laureata a medicina e poi specializzata in anatomia patologica e psichiatria. Non ha paura di niente, non distoglie lo sguardo dalle scene più raccapriccianti. Gli uomini in un certo senso vengono affascinati da questo connubio di forza e volontà. Soprattutto Michelangelo Giglio detto Miglio il fotografo della scientifica, un ventottenne ambientalista dalla zazzera bionda che non si rende conto perché “quella donna tanto sgradevole lo attraesse così”. Forse per la sua “spasmodica curiosità innata” che la coinvolge di continuo. Deve vedersela con assassino che “Uccide per se stesso o per se stessa. Mette in piedi uno spettacolo a proprio uso e consumo, di cui è regista e protagonista”. Un suo passatempo preferito è quello di sedersi da una parte in un bar o in un pub a osservare la fauna umana che si para davanti ai suoi occhi.

In Velocemente da nessuna parte di Grazia Verasani pubblicato dalla Colorado Noir troviamo l’investigatrice privata Giorgia Cantini che lavora a Bologna e che racconta la sua storia in prima persona.

Una quarantenne bene in carne con il “setto nasale deviato, la frangia irregolare sugli occhi scuri incavati, l’aria assorta di chi beve l’ultima birra della sera e poi va a casa a disfare la valigia e a addobbare le mensole con qualche souvenir tunisino”.  Abita in una zona di periferia in un appartamento di settanta metri quadri incasinato come la sua vita. Veste sportiva, fuma e beve, fuma e beve. Caffè e liquori. Anche il vino se non c’è di meglio. Sua amica la sbronza. Ama la musica, o meglio una certa musica. Troviamo tra i suoi dischi i Blue Zero One dei Taxi, Hotel Costes di Jon Cutler e Sound Travels di Nathan Haines.  Vita sentimentale sguaiata o sfortunata come dir si voglia. Non ha mai creduto all’amore a prima vista, anzi all’amore in generale. La vita è una recita, “Aveva ragione Erasmo: la vita è teatro, tutti abbiamo battute e ruoli da recitare; difficile uscire dalla finzione”.  Ha suonato alla batteria in una band, ha frequentato l’Università ma vi ha rinunciato quando le mancava solo di discutere la tesi. Rapporto freddino con il padre, madre morta per un incidente stradale, sorella impiccata. Un bel quadretto davvero. Deve indagare sulla scomparsa di una prostituta d’alto bordo volatilizzata dopo una festa piccante.

Katy Klein, una astrologa laureata in psicologia è la protagonista de L’alba di Plutone di Karen Irving pubblicato da Robin edizione nel 2003. Lavora in un vecchio ufficio con una montagna di libri e carte sparse dovunque e con un vecchio ventilatore che sferraglia. Sulle pareti manifesti e disegni astrologici, minimo arredo con un tavolo di pino e sedia girevole. Sparpagliati sul pavimento grandi cuscini, cesti di vimini che contengono qualcosa che assomiglia a un sistema di archiviazione, un lampadario con un paralune di carta di riso. Non sembra molto ordinata. La prima cosa che fa è quella di bere caffè rovesciandolo sulla maglietta bianca appena lavata, poi spinge le molliche di pane sotto la scrivania come si faceva da ragazzi per paura delle sgridate della mamma. Svolge il lavoro di astrologa da cinque anni. Ha quarantacinque anni e vive con una figlia di nome Dawn di quattordici anni che sta sempre attaccata al telefono e l’ha costretta a una dieta vegetariana. Praticamente separata in casa con l’ex marito Peter che abita al piano di sopra con il quale ha mantenuto un buon rapporto. E’ ebrea come il marito. Ha una madre forte e dura e un padre che ha avuto un ictus. Disordinata dicevo, e distratta, tanto da dimenticarsi una cena con i suoi. Il caffè lo beve spesso se a pagina trentacinque dice “…bevvi il mio primo caffè della giornata”. Ama la vita all’aperto. E’ sempre innamorata di Brent, un vecchio fidanzato. Una ferita che non si è rimarginata.

Aperta e spigliata, dotata di una certa ironia se la deve vedere con Adam, un giovane “disturbato” che la assilla per capire l’incubo che lo perseguita. E che arriva fino al punto di rapire sua figlia pur di farsi aiutare.

Nel libro di Claudia Salvatori Nessuno piange per il diavolo Hobby & Work editore 2006, di investigatrici ne abbiamo addirittura due: Mariarita Fortis e Stella del Fante.  A dir la verità la prima fa la ghost reader (in precedenza aveva fatto anche l’insegnante) per l’onorevole Gianfrancesco Balenotti, cioè legge per uno che non ha tempo di leggere. In realtà se la cava brillantemente senza leggere nulla “sorvolando, copiando, riciclando, attingendo a ricordi, analogie e talvolta spudorate invenzioni. All’inizio pensa di cambiare casa. Vive in un bilocale lasciatole da uno dei suoi “undici ex fidanzati” tanto per non rimanere sola, suppongo. Abita a Rogoredo vicino a Milano. Fa jogging, ha due gatte, desidera che al mondo non ci sia mai nulla “di brutto e doloroso”. Le piace passare i momenti di tempo libero nell’ufficio della sua amica Stella: bello, ampio, elegante con i mobili di noce e una immensa scrivania. A pagina cinquantatre si viene a sapere che è bruna con gli occhi neri, meno alta ma più femminile di Stella. Bevicchia (si fa per dire): al bar ordina tre vodke per sé. Ha una mamma femminista storica che non è proprio nata per fare la mamma.

Stella si presenta con “pantaloni bianchi e sporchi di una tuta, scarpe da basket bianche e lerce, e la sua maglietta preferita, quella con la scritta Born to be a Winner in bianco su fondo nero”. Ha i capelli rossi, separata da Willy ha un figlio affidato al padre per la vita intensa in relazione al suo lavoro di detective. E’ ricca ma ce l’ha con un analista freudiano che in meno di un anno gli ha “prosciugato il conto in banca”. Mette i piedi sulla scrivania con i tacchi a spillo. Detesta fallire. Ha una grafia marcata che denota, secondo i grafologi, una forte personalità. Ha perso la mamma quando era all’asilo. Ama trovarsi in luoghi e situazioni in cui avverte un pericolo immaginario.

C’è anche una segretaria di nome Patrizia che fa da contraltare a Stella tanto è misurata e precisa e l’ispettore Angelo Trotta “Alto, biondo, levigato, benvestitissimo, con una faccia troppo bella, occhi di un azzurro fanatico (nazista), cravatte troppo costose, occhiali scuri da fighetto e il sogghigno un po’ debosciato che piace alle suocere”. Un tedesco Nero Haller si rivolge a loro perché si sente perseguitato dal Diavolo.

Bennie Rosato, avvocatessa con alle spalle più di 100 verdetti, la troviamo in La morte del cliente, Sperling & Kupfer 2006, di Lisa Scottoline. Struttura fisica di una amazzone con lunghi capelli lunghi e ribelli, bocca “generosa”, occhi azzurri e “niente che mimetizzasse le zampe da gallina”. Gambe muscolose dovute agli anni di canottaggio e una grossa vena che attraversava un polpaccio. Beve caffè e si depila. Niente marito ma single con un po’ di nostalgia per il fidanzato Grady Wells. Non le interessano gli uomini giovani. Molto attiva. Ha tinto la parete della sua reception e scelto le foto da appendervi, ha comprato i mobili e lamato il pavimento. Concreta e non certo una idealista, sa bene che la giustizia non è sempre giusta. Ha una sorella gemella, Alice presa in adozione subito dopo la nascita. Depressa in parte proprio per il rimorso di averla abbandonata. Ha Bear un cane di cinquanta chili di peso. “I suoi occhi rotondi assomigliavano a biglie marroni, vivaci e vigili, e pareva quasi che sorridesse mentre la guardava ansimando”. Suo padre, William Winslow, l’ha lasciata con sua madre. Apprende da una sconosciuta la sua morte e anche se non lo conosceva “la sua scomparsa l’addolorava. Era questo il mistero più grande”. Ha un incontro con un uomo d’affari, Robert St Amien che porta un bel po’ di dollari al suo studio che ne ha tanto bisogno. Poi non trova il suo portafoglio e la sua vita diventa un incubo dato che qualcuna si spaccia per lei rovinandole la reputazione.

Altro avvocato Philomena Manfreda detta Manny scovata nel libro Il silenzio delle ossa di Michael Baden e Linda Kenney pubblicato dalla Sonzogno 2006. Intanto è di origine italiana, ha ventinove anni ed esercita la sua professione a New York. Alta un metro e settanta, ha un bel viso, occhi azzurri, una gobbetta sul naso ereditata dal padre, sguardo intenso. Porta tacchi a spillo, un orecchino e un quadratino di stoffa rossa appuntato all’interno della giacca del tailleur perché sua nonna le aveva detto che portava fortuna.

Maniaca dell’ordine dato che “Era fermamente convinta che l’ordine esteriore riflettesse quello interiore”, non sopporta le folle, le code, le scarpe da pochi soldi, gli avvocati senza etica, fare tardi a una udienza. Fissata con i bei vestiti “Dai suoi genitori aveva imparato che vestirsi bene era importantissimo, a costo di mangiare minestra di fagioli tutte le sere”. E mica vestiti e “contorni” da nulla. Lungo tutto il libro ho trovato le seguenti sciccherie: accappatoio Ralph Lauren, borsone di Prada, completo Chanel, tailleur da 2000 dollari, vestito microfibra nero Donna Karan, jeans neri della Sevens e il giubbotto di pelle Gaultier. Hobby preferito, naturalmente, lo shopping “Noi donne giriamo per la città orientandoci con i negozi. Amiamo le boutique, le vetrine, i bagni impeccabili e profumati…". Detto questo non è certo una femminuccia perché, figlia unica, è stata educata dal padre come un maschio: pesca, football, dadi, arti marziali. Single, le è rimasta la madre e vive da sola con il cane Mycroft in un monolocale in Central Park South con parete coperte di scaffali modulari bianchi di betulla, su cui sono allineate diverse scatole di scarpe. Ha fax, stampante, computer e TV a schermo piatto sopra un tavolo di marmo. Suo ufficio nei pressi di Wall Street con una bella scritta sul vetro “Avv. Philomena Manfreda”. Detesta i soprusi e difende soprattutto persone emarginate e diseredate. Una forte personalità. Segue i consigli di sua madre “Mia madre dice sempre che per conoscere veramente una persona bisogna guardarle nell’armadietto dei medicinali e nel frigorifero”. Lavora con Jacob Rosen detto “Jake”, vicedirettore dell’istituto di medicina legale di New York di origine irlandese, trasandato nel vestire. Nasce una forte intesa fra i due. Temperamento forte e sicuro, dicevo, ha un momento di debolezza quando cercano di ucciderla “Lei, che sentiva sempre il bisogno di tenere tutto sotto controllo, stava cominciando a capire che si può controllare ben poco. Lei, che si batteva sempre contro le ingiustizie e la sofferenza, che aveva persino assistito a un’autopsia, aveva capito solo in quel momento, dopo avere sfiorato la morte, il senso della ribellione”.

Mary Lester è la protagonista di La città dei mastini di Jean Failler, pubblicato dalla Robin edizioni nel 2006. Su di lei, però, scarne notizie. Svolge le sue indagini a Saint-Malo in perenne contrasto con il commissario Rocca che così viene descritto “Pur essendo sulla quarantina aveva conservato la faccia da primo della classe, quale molto probabilmente doveva essere stato a dodici anni. Capelli ben pettinati, né troppo lunghi né corti, camicia bianca impeccabile e nodo della cravatta in allineamento perfetto con la giacca di tweed, indossata un po’ troppo rigidamente”.

Le piacerebbe che qualche avvenimento imprevisto “arrivasse a scuotere quella sorta di figurino”. Unghie ben curate, indossa un montgomery. Sa tenere testa ai superiori, deve superare le perplessità che questi hanno verso di lei. Non ama svegliarsi presto, guida una Austin, adora le crepes. Sa cavarsela, al bisogno, anche con baguette, prosciutto, burro e due pere che sbuccia con il coltellino Opinel. Le piace anche il “lait ribot”, il tipico latte fermentato della Bretagna. Ricca di risorse sa riprendersi subito. “I momenti di sconforto venivano presto sostituiti da una ripresa dell’attività fisica e da un periodo di frenesia intellettuale”. Suo autore preferito Dumas con I tre moschettieri e Venti anni dopo. Porta il walkman per ascoltare anche musica classica. Citato Mozart.

In Un’esca per l’assassino, Longanesi 2006 di Minette Walters non abbiamo una investigatrice di professione ma la signora Siobham Lavenham che si interessa di un delitto commesso nel suo paese. Accusato dell’omicidio di una anziana signora è il giovane Patrick con qualche conto in sospeso con la giustizia e irlandese come lei. Scarsi gli spunti sul personaggio: piuttosto alta, attraente, capelli castani che si lega con un elastico. Temperamento focoso lotta contro le ipocrisie ed i pregiudizi. Un personaggio la definisce “una giovane signora adorabile e di buon cuore”. Adorabile e tosta fino a quando non ha sciolto i fili della matassa. Per lei la religione è un supplizio più che un conforto.

Critica gli inglesi perché amano troppo la repressione, per i loro pregiudizi contro gli irlandesi e per la loro ingenuità.

Ogni tanto anche qualche autore maschile si diletta a creare poliziotte femminili, vedi per esempio Giuseppe Pederiali con Camilla nella nebbia, Garzanti 2005.

Qui abbiamo l’ispettore Camilla Cagliostri di Modena, single “con la fissazione di indagare sempre oltre l’evidenza dei fatti e delle competenze”. Si trucca poco, ha le occhiaie scure di natura per colpa del papà molisano che le danno una faccia di una “che scopa come un grillo”. Unghie al naturale, troppo corte, si mangia le pellicine. Fuori servizio si veste con “gonna scozzese plissettata, camicetta, tacchi alti, borsa a tracolla”. Prova antipatia per Marco Lombardi un “quarantacinquenne (o poco più), ricco, elegante, sicuro di sé” e nel medesimo tempo sente “una gran voglia di essere scopata da lui”. E’ un desiderio che avverte spesso insieme a quello dell’odio per le proprie debolezze. Camilla si trova a suo agio dappertutto anche nella melma dove brulicano rane, rospi, girini, bisce, vermi, larve di insetti. E’ precisa e meticolosa nel proprio lavoro. Ha fiuto e istinto come i cani poliziotto. Quando non vuole essere disturbata chiude la porta del proprio ufficio. Come sia la sua personalità ce lo dice lei stessa a pagina “Io sono una pessima poliziotta. Faccio un po’ di scena grazie alla mia testardaggine, ma niente di più. Sono individualista, disobbediente agli ordini e come se non bastasse ne faccio sempre una questione personale. Se un delinquente ha ucciso è come se avesse ucciso un mio parente, se una figlia di puttana costringe una ragazzina a prostituirsi mi sento come se la vittima fosse mia sorella. Io odio i criminali. Quelli veri, non i ladri di galline o i disgraziati che spacciano per procurarsi una dose. E non riesco a separare il lavoro dalla vita privata”.

Ha deciso di fare la poliziotta dopo che sua sorella maggiore Lisa è stata violentata.

Alexander McCall Smith ha tirato fuori dal cilindro la quarantenne Isabel Dalhousie (Il club dei filosofi dilettanti, Guanda 2005). Vive e lavora a Edimburgo nella Scozia. Laureata in filosofia a Cambridge, dirige una “Rivista di etica applicata” e riesce a risolvere i casi tra un cruciverba e l’altro. In Amici, amanti, cioccolato pubblicato sempre da Guanda nel 2006 l’azione è quasi tutta nella testa della protagonista che ricorda, guarda, osserva, medita, riflette, dubita, tentenna. E poi, magari, passa ai fatti. Intanto è ricca e generosa. Generosa senza farlo sapere agli altri perché “era convinta che non bisognasse mai parlare delle proprie buone azioni”. Addirittura mette i soldi da parte per la sua governante Grace a sua insaputa. Sa che “Se viviamo in un villaggio globale allora i confini della nostra responsabilità sono molto più estesi. La gente che muore di povertà, di malattia, chi subisce ingiustizie: tutti nostri vicini, anche se stiamo all’altro capo del mondo. Era un cambiamento di prospettiva radicale”. ”Il problema, Isabel, è che ti maceri troppo. Prendi a cuore ogni cosa. Devi essere un po’ più dura e lasciar perdere i sensi di colpa di tanto in tanto” le consiglia l’amico Jamie ex fidanzato di sua nipote del quale lei si è invaghita.  E a proposito della nipote si preoccupa di lei perché incapace di distinguere “gli uomini per bene da quelli da evitare”. Sa perfettamente di riflettere troppo “Ecco, a volte mi sento come quelli che devono controllare dieci volte di avere spento il forno, o che continuano a lavarsi le mani per liberarsi dei germi. Una delle conseguenze dei filosofi è che ci si fa coinvolgere”, ma poi non ne può fare a meno. Ama i concerti, le buone letture, va pazza per i poeti, in particolare per Auden.

Già in precedenza Alexander McCall Smith ci aveva fatto conoscere la detective africana Precious Ramotswe (Un peana per le zebre, Il tè è sempre una soluzione, ancora Guanda editore) che ha avuto un notevole successo in televisione.

Anche su questo personaggio posso offrire diversi particolari avendolo seguito con simpatia e interesse. Una signora prossima ai quaranta anni (sembra l’età giusta per fare la piedipiatti) che vive in Botswana, unica titolare dell’agenzia “Ladies’ Detective Agency N.1”, con un matrimonio disastroso alle spalle (altro elemento essenziale per fare questo lavoro). Ma gli ammiratori non mancano. Si fidanza con il miglior meccanico del paese che si rivela troppo noioso per il suo carattere. A una cena intima si addormenta. Invece si risposa con JLB Matckoni un uomo simpatico e divertente. Ha idee monarchiche, ammira re e regine. Soprattutto il re dello Swaziland perché “amava il suo popolo e perché rifiutava sistematicamente di permettere l’esecuzione della condanna a morte…”. Una donna forte, risoluta con le idee ben chiare sugli uomini che sembrano andare in giro “con gli occhi foderati di prosciutto” mentre le donne, invece, sanno osservare e cercare di capire cosa succede nella mente delle persone. Ecco il motivo per cui sono delle brave investigatrici private. Ho detto forte e risoluta e aggiungo anche generosa e positiva. Chiunque, secondo lei, merita qualcosa in più in questo mondo ingiusto e chiunque può farcela “perché è possibile cambiare il mondo quando si è sufficientemente decisi e si vede con la necessaria chiarezza cosa occorre fare”. Una bella sferzata di energia e ottimismo. Dio è stato generoso con la Botswana per la terra, per le persone che la abitano, per gli animali e, soprattutto, per il bestiame grasso. Senza contare i diamanti che stanno sottoterra. Una donna comprensiva, perdona sempre e non serba rancore neppure per il suo crudele ex marito Note Mokoti. Molto legata alle tradizioni. Il mondo moderno è “egoista, pieno di gente fredda e sgarbata” mentre nel suo, quello del passato, nessuno era sconosciuto e tutti si parlavano fra loro. Anche da un lato all’altro della strada. Ogni tanto, pure nel corso di una conversazione, affiorano questi ricordi del passato. Un passato arcadico, da isola felice, mitizzato come tutti i passati. Non ha timore dei forestieri. “C’erano molti infelici con la voglia di spostarsi. Persone che spesso desideravano andare nei paesi più fortunati, come il Botswana, per vivere meglio. Era comprensibile”. Contenta di andare a trovare la cugina e aggiornarsi sulle novità del villaggio. Fine osservatrice sa ricavare informazioni dallo “studio” di chi le sta di fronte. Ma anche il lettore apprende qualche informazioni da ciò che pensano di lei gli altri personaggi. Per esempio la signora Holonga “Rassicurante, pensò. Non una di quelle donne moderne denutrite. Bene. Ma ha un vestito un po’ stretto e farebbe meglio a mettersene uno di taglia più grande.
L’impressione, però, è amichevole: una di quelle belle facce della Botswana di una volta, di cui ci si può fidare, non come quei visi moderni che si vedono tanto spesso negli ultimi tempi”. Oppure la signora Potokwane quando rimugina che la signora Ramotswe sia fortunata a essere fidanzata con il signor JLB Matekoni ”Era proprio la scelta giusta:lei era una brava donna e meritava di condividere la vita con un brav’uomo come il signor JLB Matekoni”. Lei stessa si considera “una normale donna Motwana di corporatura tradizionale, che badava alle sue faccende come altre”. Ha due bambini in casa presi dall’orfanotrofio da Matekoni: Puso, il maschietto che si diverte con l’osservazione della natura e Motholeli, la ragazzina in carrozzella a cui piacciono le macchine e i camion. I complimenti le fanno piacere. Quando si arrabbia di solito non grida ma rimane muta a labbra serrate e con uno sguardo che è “tutto un programma”. Sa mantenere la calma. Conta fino a dieci come suggerisce Clovois Andersen autore dei Principi dell’indagine perduta, la sua Bibbia professionale. Mi sono dilungato su queste due ultime signore e signorine in giallo per il semplice fatto che l’autore ne sviscera a fondo il loro mondo interiore. Ed anche per una certa simpatia…

Che le donne poliziotto private o meno vadano di moda e siano un bel richiamo per il pubblico dei lettori lo dimostra anche il noto giallista Henning Mankell che ha deciso di congedarsi dal commissario Kurt Wallander, nel senso che non sarà più il protagonista delle sue storie.

Al suo posto la figlia Linda.

Le caratteristiche principali delle nostre investigatrici che saltano agli occhi dopo questo breve excursus sono le seguenti:

1) Età compresa tra i ventinove ed i quarantacinque anni.

2) Famiglia disgraziata (nel senso che i genitori si sono divisi) o sfortunata (nel senso che almeno uno di essi è deceduto).

3) Amore anch’esso spesso sfortunato con matrimonio o matrimoni falliti alle spalle e fidanzamenti poco o nulla riusciti. Talora single per scelta con compagnia del cane o del gatto. Per lo più eterosessuali ma non mancano, come abbiamo visto, inclinazioni verso lo stesso sesso.

4) Fumano e bevono (non tutte) come turchi (dato per scontato che i turchi fumino e bevano in abbondanza).

5) Temperamento forte, risoluto, battagliero.

Insomma tutte quante portano nelle storie il loro intuito femminile, la loro delicatezza, la loro dolcezza, il loro acume, la loro sottigliezza psicologica, la loro cultura. Oppure le loro fragilità, i loro fantasmi, le loro incazzature, la loro sessualità, le loro perversioni. Tal’altra vengono semplicemente mascolinizzate fino a perdere quasi completamente i tratti caratteristici della femminilità.

Conclusione: la donna dovrà ancora combattere per affermare certi suoi imprescindibili diritti nella società ma nell’ambito della cosiddetta letteratura poliziesca un bel posto se l’è già conquistato da sola.