Di nuovo tre piccioni con una fava con il Giallo Mondadori (il precedente esempio risale a “L’isola dei delitti”). Questa volta attraverso Le signorine omicidi colpiscono ancora di Patricia Wentworth, Mildred Davis e Stuart Palmer, Mondadori 2009.

Anzi, a ben guardare, sono quattro i piccioni che l’”Introduzione” di Mauro Boncompagni vale da sola il prezzo del libro.

Due romanzi Miss Silver e il caso Pilgrim, Appuntamento col destino e un racconto L’impronta azzurra. E tre detective: Miss Silver (appunto), Norma Boyd e Hildegarde Withers. Fermiamoci un momento su di loro che alle storie ci pensiamo dopo.

Partiamo dalla creatura della Wentworth: il primo impatto avviene attraverso gli occhi di Roger Pilgrim. La sua vista gli fa venire in mente le zie. O meglio che tutto quello la circonda nella sua stanzetta “doveva essere della stessa epoca”. Le stesse sedie di noce, le stesse fotografie in vecchie cornici d’argento, lo stesso tipo di tappezzeria floreale, le stesse stampe magari con qualche differenza di colore. Così come l’aspetto fisico: la frangetta arricciata, le calze di lana nera lavorate a coste, folta capigliatura grigio topo tenuta a posto da una retina. Completa il tutto un abito di cachemire verde oliva, un davantino di candido pizzo inamidato, un “pince-nez” fissato ad una catenina d’oro e…insomma non la faccio più lunga che avete capito il personaggio. Scontato che nel momento dell’incontro stia lavorando a maglia (un golfino per la nipote Ethel). Tipetto minuto, tosto e tenace. Preciso. “La precisione è di estrema importanza” dichiara. Allora tira fuori un quaderno “di un bel verde brillante” sul quale segna tutto. Tutto quello che le sembra importante. Non parla molto ma le domande sono puntuali e incalzanti. Anticipate da un colpetto di tosse (all’occorrenza la tosse le serve sia come stimolo che come rimprovero per gli altri). Tanto per metterle maggiormente in rilievo. Mentre Miss Marple sorride, lei tossisce (ma all’occorrenza sa tirare fuori un bel sorriso accattivante). Educata, educatissima, vive con le sue vestaglie ornate di pizzo, con le sue pantofole vezzeggiate di perline, tra i suoi adorabili servizi di ceramica, sempre attenta e composta. Difficile, se non impossibile, che alzi la voce, al massimo scuote la testa, sferruzza in continuazione (lavora anche su una calza grigia destinata al figlio maggiore di sua nipote). Talvolta il ticchettio dei ferri segue il ritmo della conversazione. Si concede qualche citazione e qualche massima personale. Per il capitano Randall March il suo segreto sta nel conoscere la gente, ha una intuizione formidabile. Percepisce un una traccia, un motivo e non lo molla fino alla fine.

Sulle altre due signorine in verità c’è ben poco da dire. Norma Boyd non è una vera detective. Il personaggio è tratteggiato dall’interno con tutti i suoi tormenti e il suo dolore per il terribile delitto sofferto quattro anni prima. Semmai c’è da osservare una lotta fra la sua ossessione e l’apertura sentimentale verso uno dei personaggi. Tratto decisamente femminile.

Anche sulla Whiters poche note data la brevità del racconto. Qualche spunto da altri lavori. Intanto è americana e non inglese. Insegnante di scuola elementare, alta, tosta, acidetta, e un particolare che mi è rimasto impresso: il volto come quello di un cavallo (sembra di sentirla nitrire quando parla). Di natura pettegola proprio non ce la fa a stare zitta e vuole mettere bocca dappertutto dando lezione anche al capo della polizia di un’isola vicino a Manhattam. Ha un amico fidato (suo corteggiatore) nell’ispettore Oscar Piper della polizia di New York che la tiene in alta considerazione (considerazione non ricambiata almeno del tutto se lei pensa che non abbia una particolare intelligenza). Con il suo modo di fare aperto e sfrontato (sempre nei limiti perché è educata) riesce a carpire i segreti altrui con la sua faccia da cavalla mattonata. Oculata nella spesa cerca di risparmiare quando è possibile, le piace fare la pennichella pomeridiana, con la lingua taglia e cuce anche con il filo dell’ironia e del sarcasmo. Ama disegnare e camminare, vedere, osservare, esplorare. Certo non è una “signorina” sedentaria adatta all’uncinetto. Il suo metodo di lavoro si basa soprattutto sul suo speciale intuito che la porta a vedere sempre qualcosa di sbagliato nelle indagini della polizia. Insomma una “vecchia gallina spennacchiata” che mette il naso dappertutto e che risolve i misteri criminosi del suo tempo.

Passiamo alle storie. La prima: Roger Pilgrim è venuto a raccontare a Miss Silver di certi sospetti, di certe brutte avventure che gli sono accadute: il tetto della sua camera crollato, la stanza bruciata, la morte sospetta di suo padre caduto da cavallo. Insomma qualcuno ce l’ha con lui.  In parallelo la storia di Judy Elliot e della nipote Penny che si ritrova a lavorare come domestica nella casa di Roger. Poi il mistero della sparizione di un uomo e il rinvenimento del cadavere nella cantina (in un baule di zinco per essere più precisi…), un paio di disgraziati che cadono dalla finestra, un bel mucchietto di intrecci familiari, un finale inaspettato (veramente inaspettato) e Miss Silver che fa la maglia, sferruzza, tossisce e risolve il mistero. Tutto questo accade perché Roger vuole vendere la casa…Prosa agile e sicura venata di un sottile umorismo.

La seconda: praticamente il tentativo di Norma Boyd di scoprire il colpevole dell’uccisione di suo figlio avvenuta quattro anni prima. Una indagine soprattutto dentro se stessa con sogni e incubi ricorrenti del passato in una atmosfera tesa e angosciante con tratti di puro gotico.

La terza: qui si tratta di un delitto particolare. Un noto collezionista viene ritrovato in un armadio di una casa d’aste insieme alla fotografia di una misteriosa impronta digitale. Hildegarde risolve il mistero con uno di quei trucchetti tipici del giallo classico.

Alla fine della sua introduzione Boncompagni ci avverte, sotto forma di presentimento,  che l’incontro con le signorine omicidi non sarà l’ultimo. Sono già in fremente attesa.