Dal 12 settembre su Canale 5 ogni martedì in prima serata sta andando in onda la fiction poliziesca di maggior successo della scuderia Mediaset, Distretto di polizia, giunta a tagliare il prestigioso traguardo della sesta serie.

Squadra che vince (quasi) non si tocca: in effetti finora gli avvicendamenti non sono stati numerosi né traumatici se si considera l’allergia degli attori italiani alla lunga serialità tv. Se n’è andato il commissario Giulia Corsi (interpretato da Claudia Pandolfi) e con lei hanno lasciato il set la sorella Sabina, la sua nuova fiamma, il capitano dei Carabinieri Davide Rea (il Giampaolo Morelli visto di recente nei panni dell’ispettore Coliandro) e il magistrato Marco Altieri che dopo cinque serie ha pensato bene di trasformarsi nel cattivo di turno. Sono entrati due nuovi ispettori, un uomo e una donna in omaggio al “politically correct” televisivo, e un pm donna: anche qui per bilanciare l’ascesa al rango di commissario capo del X Tuscolano di Roberto Ardenzi (quel Giorgio Tirabassi che non molti ricordano allievo della grande scuola di teatro di Gigi Proietti).

Apparentemente dunque tutto fila sui consueti binari industriali e non appena questa serie terminerà, la settima – da gennaio 2007 – entrerà in produzione; nel frattempo anche gli ascolti hanno premiato subito questo “87° Distretto de noantri”, uno dei punti di forza della stagione del Biscione.

Ma se si riflette con attenzione sui punti di forza della serie ci si accorge che saranno proprio quelli, a medio termine, a determinare la disaffezione del pubblico.

Innanzi tutto c’è la collaborazione con la Polizia di Stato che assiste la produzione sia da un punto di vista delle consulenze che da quello del dispiegamento di uomini e mezzi: questo, se da un  lato garantisce sicurezza economica e visibilità istituzionale alla serie, dall’altro spinge gli sceneggiatori ad una sorta di conformismo non sempre subliminale: i ruoli maschili e femminili assegnati col manuale Cencelli, il buonismo imperante, i finali consolatori, la progressiva emarginazione delle poche novità (per esempio l’agente Benvenuto, gay, ha visto negli anni sbiadire assai questa sua connotazione).

C’è poi un problema tecnico: ogni appuntamento settimanale comprende (tranne poche eccezioni, per esempio quella della puntata d’esordio, Un giorno perfetto) due episodi da 45 minuti effettivi che non solo hanno l’ambizione di sviluppare il “leit motiv” di serie (questa volta un segreto nella vita del commissario Ardenzi), ma anche di risolvere ben due casi, uno più serio, affidato ai detective in borghese, e l’altro più leggero, in cui prevale la coppia da commedia all’italiana Ingargiola-Guerra. Questo induce a schizzare un po’ alla brava i personaggi, a tralasciare l’approfondimento psicologico, a dare per scontate certe conversioni buoniste dell’ultimo minuto (padri terribili che chiedono scusa ai figli dopo averli maltrattati per anni e sono anche perdonati; mariti fedifraghi che tornano all’ovile con la moglie pronta a dimenticare tutto; criminali con tanto di pelo sullo stomaco che si sciolgono come mammolette nel breve volgere, appunto, dei tre quarti d’ora di prammatica).

C’è infine un problema di contenuti: il privato, che nelle fiction italiane ha uno spazio sconosciuto alle serie tv statunitensi, finisce per essere il vero traino; sembra anzi che i casi polizieschi diventino il pretesto per poter parlare del nuovo figlio del commissario Ardenzi, di quello adottivo dell’ispettore Belli (peraltro ottimisticamente “ritirato” all’ospedale con pochi giorni di vita), della vita sentimentale di Ugo Lombardi, l’addetto alla guardiola del X Tuscolano, e via dicendo con un grande spreco di effetti e (spesso) effettacci altamente lacrimogeni.

Che questi problemi siano ben presenti alla produzione lo testimonia il fatto che per la settima serie sia stato interpellato un importante autore per imprimere una svolta a una macchina narrativa sin troppo oliata; considerando anche il fatto che dal prossimo anno Distretto di polizia perderà del tutto o in parte anche Ardenzi e Belli finora sempre presenti ai massimi livelli operativi. Ma l’imperativo del “politically correct” (quello, naturalmente, di prima serata sulla rete ammiraglia di Mediaset) ha fatto abortire innesti rivoluzionari su un organismo collaudato sì, ma un po’ logoro.

E così, dopo aver certificato la professionalità di un prodotto che si avvicina, più di altri concorrenti interni ed esterni alla serialità d’Oltreoceano, attendiamo con una certa trepida impazienza le solite anticipazioni di stampa che guideranno il pubblico a Distretto di polizia 7: basterà purtroppo poco per capire se correrà in discesa o dovrà riconquistare, uno a uno, i telespettatori in fuga.

 

Voto: 7