Contrariamente al solito, stavolta abbiamo aspettato la fine della prima stagione di Squadra Mobile, 16 episodi in 8 prime serate su Canale 5 ogni lunedì dal 20 aprile all’8 giugno, prima di esprimere un giudizio.

L’idea iniziale non sembrava male, quantunque facesse sospettare una certa pigrizia produttiva: prendere un personaggio amato dal pubblico, l’ispettore capo e poi commissario Roberto Ardenzi (interpretato dal bravo Giorgio Tirabassi), transitato per le prime sei stagioni di Distretto di polizia, serie poi abbandonata con un tipico escamotage (promosso e trasferito), e riproporlo dopo nove anni in uno spin off, Squadra Mobile, appunto. Dopo gli omaggi di rito ad alcuni personaggi della serie madre, quasi tutti concentrati nel primo episodio, si è partiti dunque con la nuova avventura, con colleghi nuovi di zecca e il tentativo di differenziare il nuovo prodotto dal precedente.

Stavolta infatti, sin dall’inizio, l’antagonista del nostro eroe, vicequestore aggiunto a Roma, è l’amico e collega Claudio Sabatini (l’attore Daniele Liotti), prima capo della Narcotici e poi promosso suo superiore: corrotto e violento, usa le persone per i suoi fini criminali aiutato da una focosa amante sudamericana e manipolando la dirigente della Mobile Emanuela Zaccardo a cui concede i suoi richiestissimi favori erotici.

E già qui non ci siamo più: Sabatini infatti, che all’inizio sembra essere certamente un personaggio negativo, ma con una buona dose di chiaroscuri esistenziali, puntata dopo puntata si trasforma in un Cattivo di puro stile appendicistico, ammazzando senza pietà chi gli si para davanti e infliggendo per soprammercato ai telespettatori, nell’ultimo episodio, con la complicità del suo ex amico Ardenzi e naturalmente degli sceneggiatori, un dialogo infarcito dei luoghi più comuni che si possano immaginare in tv: per intenderci, una tirata (im)moralistica del tipo che piace molto agli americani prima della sconfitta del Male da parte del nostro immacolato Eroe.

Sorvoliamo sulle minigonne e i tacchi a spillo della vicequestore Zaccardo (a che serve l’omaggio di facciata alla parità di genere se poi la “capa” deve rispondere ai più vieti cliché maschilisti?) e passiamo agli altri poliziotti, selezionati con un bilancino degno del responsabile di un casting del Grande fratello secondo una logica però che risale almeno alla Commedia dell’Arte: l’alcolizzato in seguito alla tragica perdita del figlio; il separato tirchio con figlio adolescente (naturalmente “adottato” dall’alcolizzato in crisi di astinenza da mancata paternità); la nubenda che ama a tal punto il suo futuro sposo da concedersi fino all’ultimo a un collega di pattuglia; la protettrice delle donne malmenate dai loro partner che naturalmente ha avuto un rapporto conflittuale col padre manesco (ma non vi preoccupate: lo perdonerà sul letto di morte di lui). Cosa c’è di diverso rispetto a Distretto di polizia, direte voi? Ben poco, in effetti: semmai un’accentuazione dei toni più cupi e un deciso ridimensionamento della commedia all’italiana, immancabile ingrediente di ogni fiction poliziesca di prima serata. Anche se Ardenzi, con la sua Mauretta, figlia non più bambina come nella serie madre, ma ormai universitaria, costruisce siparietti niente male…

Sugli episodi si sconta invece la scelta produttiva ormai standard per la serialità lunga italiana: due episodi di 45’/50’ minuti ciascuno, trasmessi di seguito con la pretesa di trattare in ognuno un grande fatto di cronaca, debitamente riadattato per la tv, che ha colpito l’opinione pubblica. Ma come si fa a parlare di problemi complessi come, ad esempio, la pedofilia in ambito scolastico o la tratta delle cinesi da parte dei loro connazionali e offrine la soluzione in tre quarti d’ora?

E poi c’è tutto il corredo di situazioni inverosimili da ammannire al pubblico tv: della detective coscia lunga abbiamo già detto; ma poi appostamenti segretissimi con auto civetta rosso fiammante in mezzo alla campagna assolata; boss zingari cattivissimi che si fanno fregare dal nostro Sabatini come dei polli; narcos sudamericani da operetta. Un frullato di lepidezze per palati buoni, insomma.

Il finale aperto, col Cattivo in fuga che minaccia un ritorno alla Conte di Montecristo, e il Buono che si prepara a diventare Capo della Mobile, fa capire come la produzione speri nel sequel: gli ascolti non sono da buttare: sui 4 milioni di spettatori e uno share attorno al 15%; superiori certo all’undicesima e ultima serie di Distretto di polizia, ma inferiori – di almeno due punti di share – ad esempio a Squadra Antimafia, ormai giunta alla sesta stagione.

Staremo a vedere. Per il momento ci sentiamo di assolvere solo la prova di attore di Giorgio Tirabassi (anche se comincia pure lui a cedere al manierismo interpretativo): all’80% la sufficienza complessiva è merito suo.

Voto: 6