Da fine settembre sta andando in onda la quinta stagione di Distretto di polizia, la fiction poliziesca di maggior seguito prodotta da Mediaset, l’unica vera rivale, in quanto ad ascolti, del Commissario Montalbano e del Maresciallo Rocca della Rai.

Qui la filosofia produttiva è completamente differente, molto più simile a quella che ispira il lavoro dei colleghi statunitensi.

Innanzi tutto, a differenza delle due serie Rai appena citate, dal 2000 a oggi sono stati trasmessi oltre 120 episodi della durata di 45’-50’ minuti circa: peccato poi che, fedeli alla tradizione italiana di proporre in prima serata due episodi assieme per raggiungere la lunghezza più apprezzata dal pubblico, i responsabili del palinsesto Mediaset abbiano perso un’occasione magnifica per imporre una lunga serialità; in ogni caso il telespettatore risulta sufficientemente fidelizzato grazie alla cadenza annuale delle varie stagioni.

La lavorazione impegna il cast per circa nove mesi per cui, nonostante un appezzabile stabilità in alcuni ruoli-chiave, ci sono però stati importanti mutamenti nel corso degli anni: il più evidente è stato quello riguardante il ruolo del commissario capo del Decimo Distretto del Tuscolano nel quale si sono succedute Isabella Ferrari (le prime due stagioni) e Claudia Pandolfi (le successive tre) prima di passare il testimone, per il prossimo anno, con conseguente “promozione” sul campo, a Giorgio Tirabassi, finora fedele e competente vicario delle due dirigenti.

A differenza quindi di Montalbano e Rocca, qui c’è una minore identificazione tra attore e personaggio: forse, non ce ne vogliano le pur pregevoli Ferrari e Pandolfi, per l’eccezionale bravura di Zingaretti e Proietti.

In ogni caso il prodotto ha raggiunto alcuni pregevoli automatismi seriali per cui, giunti alla quinta stagione, le vicende vengono abilmente strutturate su tre livelli per venire incontro alle variegate esigenze del pubblico.

Per collegare tra loro gli episodi vi è infatti un filo conduttore (quest’anno un’inchiesta sull’ecomafia) che di solito chiama in causa la criminalità organizzata e che fornisce il più alto tasso di drammaticità. Questa inchiesta viene diluita nell’arco dei tre mesi della programmazione e ha la funzione di invitare il telespettatore a una fruizione continua della serie. Protagonisti di solito sono il trio investigativo di punta: il commissario capo (ora Giulia Corsi interpretata da Claudia Pandolfi) e i suoi più diretti collaboratori, gli ispettori Roberto Ardenzi (Giorgio Tirabassi) e Mauro Belli (Ricky Memphis)

A un livello inferiore vi sono i casi che costituiscono l’oggetto della singola puntata: numerosi agganci con la cronaca (in alcuni episodi di quest’anno sono stati affrontati temi come le baby gang, la pedofilia, lo sfruttamento della manodopera extracomunitaria) garantiscono la presa sul pubblico anche se, per consentire la soluzione del caso nell’arco dei 50’, gli sceneggiatori indulgono spesso a violente semplificazioni. Stessi protagonisti del livello precedente con maggiore presenza dell’agente Luca Benvenuto (l’attore Luca Corrente) e (da quest’anno) della collega Anna Gori (Giulia Bevilacqua).

Al livello più basso troviamo infine quell’ingrediente, la commedia, che abbiamo già visto ineliminabile nelle fiction poliziesche italiane, ma che qui trova forse meno spazio che altrove: ogni puntata infatti presenta un caso minore (liti tra coniugi, la scomparsa di un anello nuziale durante un addio al nubilato, furti di vario tipo), anch’esso risolto in breve tempo, che dà modo ai comprimari di dare spazio alla loro verve comica: qui regna incontrastato il quartetto formato dal centralinista Lombardo (ora alle prese col suo matrimonio), dall’archivista Parmesan e dalla coppia, anche nel privato della fiction, Ingargiola-Guerra.

Naturalmente viene dato ampio spazio alle vicende sentimentali e affettive dei vari componenti del Distretto anche se spesso, fors’anche per esigenze di sceneggiatura, fidanzate, mogli, mariti e amanti dei protagonisti finiscono per gravitare, professionalmente o no, sul medesimo Distretto (per esempio Roberto Ardenti, nelle prime stagioni, aveva come compagna la psicologa della polizia, sostituita, dopo la sua morte, da un medico, sempre della polizia; Mauro Belli, dal canto suo, recentemente, ha pensato di bene di farsi coinvolgere in una storia d’amore con una giornalista che, guarda caso, si interessa ai casi più scottanti presi in carico dal suo compagno).

Oltre alla strutturazione su tre livelli (nelle stagioni precedenti il secondo e il terzo non erano così nettamente definiti), quest’anno un’altra importante novità è costituita dalla collaborazione, professionale ma più avanti dovrebbe diventare anche sentimentale, tra il commissario Corsi e il capitano dei Carabinieri Davide Rea (l’attore Giampaolo Morelli): idea già sperimentata, seppure a un livello di gerarchia più basso, nel Maresciallo Rocca in cui un poliziotto collabora alle indagini del valoroso sottufficiale dell’Arma fino a sposarne la figlia.

Da qualche tempo invece, in nome della collaudata professionalità del prodotto che deve piacere ad una platea il più possibile vasta, sono stati “sterilizzati” alcuni temi potenzialmente dirompenti: primo fra tutti quello dell’omosessualità del poliziotto Benvenuto che forse non deve aver trovato buona accoglienza non solo tra il pubblico, ma anche tra gli alti vertici della Polizia di Stato.

Eppure questa oliata macchina da guerra quest’anno ha duellato a lungo con la concorrenza rappresentata da Rocca-Proietti e, come spesso succede in Italia, la programmazione ha subito dei repentini spostamenti di data che hanno mandato su tutte le furie le redazione dei settimanali di programmi tv e più di un telespettatore.

Sulle alterne vicende dell’Auditel non drammatizzeremmo troppo: in effetti Proietti è di un altro pianeta e perdere talvolta con lui ci può stare.

Sulla contraddizione invece che attanaglia un “format” che vuole proporsi come innovativo in Italia (lunga serialità e appuntamenti ravvicinati) e che poi si piega ad alcuni compromessi (la doppia puntata, ad esempio, e il palinsesto ballerino) sarebbe meglio che si aprisse una riflessione.

Sarebbe proprio così rivoluzionario proporre in prima serata un solo episodio di Distretto di polizia (la stagione quindi occuperebbe non tre, bensì sei mesi) magari facendolo seguire da un altro di una serie affine per genere e successo di pubblico (penso a Carabinieri, ma si potrebbe trovare e produrre di meglio)? 

 

Voto: 7.5