Prendete un piccolo paese del Texas della prima metà del ‘900, dove “non c’è posto per i nuovi arrivati”. Metteteci dentro un vice sceriffo amato da tutti, integro moralmente e modello per tutti. Inserite quindi l’arrivo di una prostituta che sconvolge la quiete del paese. E concludete con la prostituta che sconvolge anche il precario equilibrio che il vice sceriffo, Lou Ford, si è costruito con gli anni, relegando negli angoli più bui del suo io la bestia che ha dentro. Ecco L’assassino che è in me.

Lo splendido romanzo di Jim Thompson, dato alle stampe nel 1952, è la consacrazione della freddezza di una mente omicida che destabilizza le certezze della società.

Un uomo, Lou Ford, malato nell’animo, corrotto da un istinto violento e omicida che lo accompagna dai primi anni di età. Un uomo che vive, grazie al sacrificio di altri (il padre e il fratello adottivo), in una tranquillità apparente esercitando in modo impeccabile il lavoro di garante della legge ed esplicitando il suo sadismo nel modo più innocuo: tediando gli altri con lunghi e noiosi discorsi. Ma c’è dell’altro nell’animo di quell’uomo buono. C’è un mostro.

Con una narrazione in prima persona, Thompson bandisce ogni sentimentalismo ed entra, prepotente, nella mente del killer svelandoci quei processi perversi che premeditano, organizzano e mettono in pratica l’omicidio.

Omicidi imperfetti, ma “difesi” dall’esecutore in maniera maniacale, fino ad autoconvincersi di aver fatto la migliore delle cose possibili. 

Lou Ford è uno dei primi assassini seriali che la letteratura ci regala descritti con profondità - e forse mai come in questo romanzo di Thompson una mente omicida è stata analizzata così a fondo - fino a cogliere i buchi neri del cervello, dove le immagini si sovrappongo e i ricordi dell’infanzia e le cause della “malattia”, vengono sfumate e cancellate, come cancellati sono i rimorsi e i sentimenti verso delle uccisioni che servono a vendicarsi, salvarsi o forse semplicemente redimersi dall’aver assassinato prima di tutto se stessi.

Il finale, poi, è un inno alla follia, la splendida esplosione dell’epilogo senza resa di un uomo. E del suo mondo.