Latour crede nell’esistenza di quattro tipi di dolore. Uno quotidiano, uno che viene dal cuore, uno profondo e uno che nasce quando si pensa troppo. Tutti dolori che lui non riesce a provare. Perché lui, Latour, è incapace di provare dolore.

Nato da una donna che in paese (Honfleur sulle coste della Normandia) viene considerata un mostro nelle fattezze e nell’animo, e uno sconosciuto delinquente uscito di prigione e finito nel letto della donna per una sola notte, Latour ha gli occhi azzurri ma il corpo deforme, una mente assetata di conoscenza e l’istinto alla violenza.

Prima allievo di un impagliatore, poi apprendista a Parigi presso un famoso anatomista che analizza il cervello umano, Latour studia gli uomini e le loro sensazioni, alla ricerca disperata della sofferenza. Fino alla svolta della sua vita, arrivata grazie all’incontro con il marchese De Sade, di cui diviene valletto, scrivano, ombra e confidente. E con il quale condivide l’esperienza del sesso e della fuga dalle istituzioni, e a cui consacra gli ultimi giorni della sua vita.

Nikolaj Frobenius ci regala un romanzo storico imbevuto dall’inquietudine del thriller, la storia di un serial killer ante litteram ossessionato dall’enigma del dolore e dalla voglia di vendicare se stesso e la madre uccidendo una per una tutte le otto persone segnate su una misteriosa lista.

Assassinii senza fretta, macabri e precisi, operati secondo i criteri perfetti della dissezione.

La freddezza e la meccanicità con cui avvengono le uccisioni sono le caratteristiche della stessa prosa di Frobenius, tagliente nei momenti decisivi, ma banale durante la narrazione d’intervallo. L’autore pecca in alcuni particolari narrativi, risulta un po’ brusco il cambio di lettura psicologica degli eventi (dalla terza alla prima persona), e purtroppo suicida il suo romanzo con un finale che demolisce la tensione che aveva portato all’epilogo della storia.

Nel complesso, comunque, Il Valletto di De Sade è un libro gradevole, che dal 1996 è stato tradotto in undici paesi e che segna comunque una tappa della carriera di questo scrittore (e sceneggiatore) contemporaneo (classe ’65).