In questa rubrica ci siamo già occupati di autori che preferiscono ambientare i loro noir in luoghi diversi dal paese d’origine: ed è questo il caso di Barbara Nadel, londinese, sulla cui biografia persino su Internet circolano poche notizie, che, a partire dal 1999 proprio con La figlia di Belshazzar, ha dato inizio ad un ciclo di tutto rispetto di nove avventure dedicate all’ispettore Çetin Ikmen della polizia di Istanbul.

L’autrice, per l’esordio, non si è fatta davvero mancare nulla.

Innanzi tutto lo sfondo stupendo dell’ex capitale ottomana con i suoi quartieri che ancora conservano il ricordo della ricchezza delle ambasciate occidentali, con i ghetti ebraici, con le viuzze sporche e buie dove si annidano ubriachi, transessuali e delinquenti di ogni risma.

Poi il protagonista: l’ispettore Ikmen, infatti, sembra essere un concentrato di quanto di più politicamente scorretto ci sia nel mondo del noir. Piccolo, brutto, sgraziato, di mezza età, sgualcito come solo sa essere il tenente Colombo, ha sposato per amore Fatma che gli ha dato ben otto figli con un nono in arrivo nel corso dell’inchiesta. A differenza della moglie e, come vedremo, del suo principale collaboratore, è un musulmano molto sui generis: fuma (come un turco, va da sé), beve ed è, nonostante tutto, molto legato al padre Timür che gli ha dato una cultura cosmopolita e laica, in cui la nozione di Dio è abbastanza vaga. Ma quando si tratta di stanare il responsabile di un crimine è imbattibile: capace di non dormire per due giorni filati, cerca instancabile le ragioni personali e storiche che hanno portato all’assassinio (e in questo ricorda un po’ Maigret), non curandosi delle apparenze e degli appelli a cercare la soluzione più semplice come vorrebbero i suoi superiori.

Secondo il canone classico ha poi un certo numero di collaboratori: innanzi tutto la “spalla”, il fedele sergente Mehmet Suleyman, bello, giovane, devoto musulmano, buon partito, tormentato da una madre che vuol combinargli un matrimonio con la cugina; poi il medico legale Arto Sarkissian, capace nella professione ma anche ottimo amico; gli agenti Avci e Cohen, quest’ultimo ebreo e gran dongiovanni; a chiudere il cerchio l’antagonista, il commissario Ardiç che naturalmente non condivide i metodi investigativi di Ikmen, ma che alla fine si deve arrendere agli innegabili risultati.

Ad insaporire la vicenda concorre la morte violenta e crudele (straziato con l’acido solforico) di un vecchissimo ebreo, Leonid Meyer, del quale a poco a poco emerge la movimentatissima vita: da bolscevico negli anni tremendi della Rivoluzione russa a emigrato in Turchia insieme con una bellissima donna di cui, fino al termine del romanzo, non si conoscerà appieno l’identità; il nome infatti con cui si fa chiamare a Istanbul, Maria Gulcu, dice assai poco della sua origine e del motivo per cui appaia così strana la sua famiglia della quale fa parte, ultimo tocco di esotismo ed erotismo, la bellissima e disinibita Natalia.

Non manca infine neppure un legame con il paese d’origine della Nadel grazie all’insegnante di inglese Robert Cornelius che, innamorato perdutamente di Natalia, scende a poco a poco nei cerchi infernali della famiglia Gulcu e dei suoi accoliti, in un susseguirsi di perversioni, dall’incesto alla pedofilia.

Troppa carne al fuoco?

Forse.

Non giova certamente al romanzo rimanere ancorato troppo a lungo a un solo delitto: le altre morti che, in diversi modi e tempi, costellano il finale pirotecnico del romanzo (la Nadel pensava già a una trasposizione cinematografica?) giungono troppo tardi e alterano il ritmo pigro e levantino  dell’inchiesta.

Forzata appare pure la vicenda di Maria Gulcu, della quale non possiamo naturalmente dir nulla, ma che mira a riesumare alcune vecchie leggende sulla morte della famiglia imperiale, innestandole su temi assai più contemporanei e scabrosi (ad esempio le esibizioni erotiche di Natalia con soldati conosciuti in un parco e le loro armi).

Decisamente più azzeccate le caratterizzazioni degli investigatori anche se Ikmen rischia, in alcuni casi, di precipitare nell’abisso del ridicolo: specie quando si affida alle doti di chiaroveggenza di un suo cugino transessuale, Samsun, per avere una dritta su come finirà la vicenda o quando si lascia andare ad alcuni siparietti con la sua Fatma, sempre pronta a sfornare figli e a sopportare un uomo che in casa non c’è quasi mai.

Prima prova dunque della Nadel con luci e ombre, ma senz’altro positiva in attesa delle altre avventure, di cui un’altra sola edita in Italia, dell’ispettore Ikmen, autentico “brutto, sporco e (finto) cattivo” del noir internazionale.

Voto: 6.5