Gente di mare è una serie che sta facendo felice RaiUno (dal 4 dicembre ogni domenica, salvo qualche italico, inevitabile spostamento nel palinsesto) grazie ai notevoli indici di ascolto; ma, dobbiamo pur dirlo, dal punto di vista narrativo si sta rivelando un po’ debole.

Partiamo dall’antefatto: dopo le prodezze di poliziotti e carabinieri in tv, le varie case di produzione legate alla Rai e a Mediaset hanno cominciato a pensare di diversificare il prodotto. In un paese come il nostro, dove i corpi di polizia sono numerosi e abbastanza spesso in concorrenza tra loro (nonostante il tanto sbandierato coordinamento), non potevano mancare degli spunti interessanti.

La Rai ha conquistato la pole position con la serie Il capitano, dedicata alla Guardia di Finanza, di cui sembra si stia girando la seconda serie; e poi ha cercato di replicare con Gente di mare, al cui centro ci sono le vicende della Guardia Costiera di Tropea, in Calabria.

In attesa dei Vigili del Fuoco, tra poco su Canale 5, e chissà, un domani, pure delle Guardie Forestali, Penitenziarie e dei Vigili Urbani, dobbiamo purtroppo affermare che i nostri baldi marinai, se hanno conquistato il pubblico grazie anche al fascino del protagonista, il tenente di vascello Angelo Sammarco, interpretato dal tenebroso Lorenzo Crespi (già presente in Carabinieri su Mediaset), non hanno convinto affatto noi.

Gli sceneggiatori infatti dovevano affrontare un handicap di non poco conto dal punto di vista del realismo narrativo: la Guardia Costiera non ha competenze tali da poter indagare su tutti i casi che la fantasia degli autori ha inventato per i nostri eroi, pur prendendo spunto da fatti di cronaca; hanno così dovuto creare una collaborazione con il capitano Mario Zannoni dei Carabinieri di Tropea e, per suggellare questa nobile alleanza, tutta televisiva, il figlio del capitano è addirittura un maresciallo di 3ª classe alle dipendenze del tenente Sammarco!

Ma le indagini in condominio non decollano: innanzi tutto perché si è costretti a dare maggiore risalto all’azione degli uomini della Guardia Costiera, contrariamente a ciò che accade normalmente; in secondo luogo perché la brevità degli episodi non permette di sviluppare appieno la vicenda in tutti i suoi risvolti e così abbiamo soluzioni un po’ troppo facili, spesso originate da ingiustificate intuizioni del baldo tenente o da sue acrobatiche (e improbabili) esibizioni, magari alla guida dell’ineffabile Doblò (!) di servizio.

Forse proprio per sorreggere la struttura investigativa geneticamente debole, si è pensato di creare non una (come di solito accade nelle serie lunghe, distibuite in due episodi da un’ora, come Distretto di Polizia), ma addirittura due storie che, dipanandosi attraverso tutto il corso della serie, garantissero il legame tra le varie puntate: da un lato la misetriosa vicenda dei rifiuti tossici su cui indaga il tenente Sammarco, dall’altro la tormentata storia d’amore dello stesso con la dottoressa Margherita Scanò, interpretata da Vanessa Gravina (reduce dal set ospedaliero di Incantesimo). Per non parlare poi della privata avventura dei marescialli Melluso e Lo Foco, alle prese con una extracomunitaria da proteggere e a cui dar, di nascosto, rifugio!

Insomma, troppa carne al fuoco che stenta ad arrivare al giusto punto di cottura nelle sue singole componenti.

Ma evidentemente è stata proprio questa miscela, per noi non troppo ben riuscita, a incantare il pubblico di RaiUno: complici senz’altro anche gli sfondi di una Calabria da cartolina e un sano buonismo che sorvola con eleganza sulla pesante presenza della criminalità organizzata, appannaggio qui di pochi cattivi ai danni di un’umanità da presepe tutta dedita alla famiglia e al lavoro.

Che dire? I tempi del commissario Cattani, “bello di fama e di sventura”, sono lontani.

Teniamoci il nostro tenente Sammarco, bello e basta.

Siamo realisti: potrebbe capitarci di peggio.

 

Voto: 6