Giunto, con “La scelta della pecora nera” edito da Historica, al suo quinto romanzo, Gian Luca Campagna sta definendo sempre più la scacchiera sulla quale piazza le sue pedine, muovendole con l’abilità di un giocatore che rivela di aver a lungo frequentato i migliori narratori di noir, acquisendone lo stile e sposato i personaggi dei quali si è indubbiamente innamorato: il Pepe Carvalho di Manuel Vázquez Montalbán, innanzitutto, il Sepulveda più evocatore di tempi e lotte passate (“L’ombra di quel che eravamo”) e gli echi chandleriani. Questo, però, con un impasto evidentemente tutto suo, che ha, per ora, due riferimenti esistenziali propri: uno, reale, vissuto, che è la provincia di Latina, dove l’autore vive e opera, con storie che indagano su fatti di cronaca nera accaduti in quella che, per Campagna, a stare al titolo di un suo romanzo, ma anche allo spaccato che ne fa, è la “Finis terrae”; l’altra, trasognata, immaginata, visitata, certo, ma con la curiosità dell’amatore, che è il Sudamerica, in particolare l’Argentina che fa da sfondo ai due romanzi che hanno entrambi per protagonista l’investigatore privato José Cavalcanti, protagonista de “Il profumo dell’ultimo tango” e di quest’ultimo “La scelta della pecora nera”, appunto.

Se nel primo romanzo José Cavalcanti indagava sulla scomparsa di bambini che ribaltavano, anni dopo, quella dei tanti minori rapiti al tempo della junta militare, qui si trova alle prese con la scomparsa di una donna, Maria Castillo, primogenita di un grande allevatore di bestiame, Lucio Castillo, che nel passato era stato legato alla junta, uomo della P2 in Argentina, implicato in un affare miliardario che riguardava i diritti televisivi dei campionati di calcio per la cosiddetta Coppa de Oro e che vedeva implicato, allora, anche un certo, Silvio, imprenditore milanese, proprietario di canali televisivi, che si dava da fare per ottenere i diritti televisivi per la trasmissione delle partite per poi magari rivenderli a caro prezzo ad altre emittenti nazionali. E sarà proprio Lucio Castillo a chiamare Cavalcanti perché gli ritrovi la figlia, una quarantenne madre di due figli e sposata a un magistrato, apparentemente scomparsa di sua volontà, non avendo finora, nei nove giorni in cui se n’è andata, ricevuto nessuna richiesta di riscatto o altra forma di informazione sulla sua sorte.

La cura, sul piano della struttura narrativa, da parte di Campagna sarà quella di collegare le ricerche di Maria Castillo, che ben presto da Cordoba dove vive si sposteranno a Buenos Aires e, poi, soprattutto, a Montevideo in Uruguay, con quei fatti lontani, ma anche con altri più lontani, come quelli della fuga da un carcere del popolo di alcuni rivoluzionari, tra cui il futuro presidente dell'Uruguay Josè Muijca, e Mauricio Rosencof ed Eleuterio Fernàndez Huidobro e una certa Chica, che avrà la sua importanza nella storia che Gian Luca Campagna ha voluto raccontarci.

Una trama che naturalmente ha a che fare con l’eterna storia dei colpi di stato militari e guerriglieri e rivoluzioni e controrivoluzioni, corruzione, repressioni, e sangue e dolore e paura, che hanno sempre caratterizzato l’America Latina. Ed è in questo contesto, inevitabilmente di ingiustizie e soprusi, che s’inseriscono le indagini che José Cavalcanti conduce, prima da solo, poi con l’aiuto dei suoi due cani Clan&Destino e dei fedeli e scombinati Cholo e Vernaglione che lo raggiungeranno a bordo del side-car che è il tratto distintivo di trasporto dell’investigatore di origine italiana, per arrivare a una verità amara risalente ai citati eventi degli anni Settanta e Ottanta che, non a caso, a capitoli alternati, si dipaneranno per tutto il romanzo per congiungersi nel finale.

Nel frattempo, altri elementi caratterizzano la storia che, a mio avviso, testimoniano, la maturità compositiva dell’autore, rappresentando un po’ il filo che lega l’investigatore all’uomo Cavalcanti, dandogli così quello spessore che lo rendono personaggio a tutto tondo. E sono una sorta di refrain che spingono il lettore a un sodalizio con lui. Parlo delle reiterate intrusioni di una donna, Catalina, una prostituta, ex fidanzata di Cavalcanti (ma siamo a Pepe Carvalho!) che vuole assolutamente un figlio, e si è messa in testa di volerlo da lui, per cui lo perseguita, prima di persona poi, quando sta in Uruguay, con telefonate per convincerlo a cedere al suo desiderio (ma la risposta di Josè sarà sempre la stessa: “Sei tu che mi hai lasciato”, come a dire: cosa vuoi adesso da me?), dando vita a un teatrino che alleggerirà piacevolmente la tensione del romanzo; così come, altrettanto, le telefonate sempre apprensive e rimbrottanti della madre che lo vorrebbe sistemato, sposato con una donna per bene e non a star sempre con quelle “puttane” che il figlio frequenta. Infine, su tutto, la nostalgia del protagonista, quasi fosse quella il motivo del suo vuoto e della sua malinconia che lo rende insieme, chandlerianamente, romantico e cinico, per il suo vecchio amore perduto, Teresa. Ed è l’intreccio esistenziale proprio tra l’avventura delle indagini con questi elementi personali, a cui si aggiungono quelli politici e sociali, qui particolarmente marcati, che fanno de “La scelta della pecora nera” un bel romanzo, denso di motivi, quanto, per altro,vivificato da una scrittura precisa, impreziosita da dialoghi con il gusto dell’aforisma che ricordano un po’ le battute del compianto Andrea G.Pinketts, scrittore particolarmente caro all’autore che l’ha avuto per amico.