Giovedì 22 settembre è tornato in tv Luca Zingaretti e il suo commissario Montalbano per il penultimo appuntamento. Infatti, dopo questi due film tv, Giro di boa e Par condicio (che andrà in onda il 29), sarà la volta l’anno prossimo (ma le riprese inizieranno a ottobre 2005) degli ultimi due episodi, La strategia del ragno e Il gioco delle tre carte.

Se si trattasse semplicemente di recensire questa nuova puntata delle avventure dell’intrigante commissario siciliano, potremmo cavarcela con poche battute e un voto molto alto: impossibile, infatti, dopo il diluvio di articoli che hanno vivisezionato l’intera serie, riuscire a dire qualcosa di originale sulla bravura di Zingaretti e del cast di ottimi comprimari, sull’efficacia della regia, sulla sostanziale fedeltà (garantita dall’intervento in prima persona nella sceneggiatura di Andrea Camilleri, inventore del detective popolare d’Italia) della fiction tv nei confronti dei romanzi ai quali si ispira.

Più interessante è invece, a nostro avviso, tentare di offrire al telespettatore attento alcuni spunti di riflessione su ciò che è tacitamente sotteso a un’operazione di successo che si ripete negli anni.

Aldo Grasso, sul Corriere della Sera, ha posto per esempio l’accento sulla problematica fidelizzazione del pubblico di casa, debolmente sollecitato da queste miniserie che si protraggono, nel migliore dei casi, per poche settimane.

Eppure in Italia, nel campo del poliziesco, le produzioni migliori hanno legato le fortune del personaggio alla straordinaria interpretazione dell’attore chiamato a impersonarlo: si pensi ad esempio al Gigi Proietti del Maresciallo Rocca. Ma, appunto perché si tratta di artisti bravi, versatili e ambiziosi, non è possibile imprigionarli per sette-otto mesi di fila su un set televisivo; nella più fortunata delle ipotesi garantiranno (come stanno facendo Proietti e lo stesso Zingaretti) una presenza costante ma diluita negli anni. E non si può fare altrimenti perché, a differenza per esempio di Distretto di polizia, dove si possono alternare nel ruolo di protagonista diversi attori senza che il pubblico soffra di particolari crisi di astinenza o di disaffezione, un maresciallo Rocca con un volto diverso da quello di Proietti o un commissario Montalbano che non avesse le sembianze di Zingaretti difficilmente raggiungerebbe gli stessi livelli di ascolto. Quindi ci dobbiamo rassegnare ad avere più o meno dignitosi prodotti industriali, che possono continuare per parecchie stagioni, e brillanti capolavori artigianali di cui possiamo degustare una tantum l’impeccabile fattura.

Altro aspetto interessante, a margine dell’intera serie, è l’incredibile fortuna turistica che hanno avuto le location del Commissario Montalbano. La bellissima casa sul mare dove vive da solo con la sua governante è diventata infatti un minialbergo per viaggiatori danarosi; peccato che questo crei una singolare contraddizione con il basso profilo che il personaggio di Camilleri ha nei romanzi e in tv. Crediamo infatti che siano rimasti solo lui e pochi altri a girare in Italia con una Fiat Tipo: ma all’auto da dipendente statale con stipendio al limite della sussistenza si contrappone la casa da sogno con vista sul mare di Sicilia.

Come molti sanno poi, Camilleri è stato nella Rai colui che ha seguito, negli anni d’oro, importanti produzioni come per esempio quella del Commissario Maigret dell’indimenticabile Gino Cervi. E di quella tv in bianco e nero, pesantemente condizionata dalla vocazione pedagogica, sembra essere rimasto più di qualcosa.

Quando Montalbano, nell’episodio andato appunto in onda il 22, critica pesantemente i colleghi che si sono macchiati delle violenze a carico dei manifestanti durante gli scontri per il G8 a Genova; o quando si schiera apertamente dalla parte dei profughi che sbarcano quotidianamente sulle coste della Sicilia; o quando mette un po’ sulla graticola un trevigiano calato al sud con qualche pregiudizio e con una pistola che non sa usare: ebbene, chi negherebbe che gli autori non vogliano trasmettere un messaggio politicamente corretto utilizzando il fascino della fiction?

Certo, rispetto alla tanto deprecata tv democristiana degli anni Cinquanta e Sessanta sono cambiati i valori condivisi e le modalità di trasmissione del messaggio, ma la vocazione sembra rimasta la stessa; d’altra parte, anche nei celebratissimi Stati Uniti E.R. può porre il problema (e risolverlo felicemente) dell’affidamento di un bambino a una omosessuale, a danno della famiglia della sua compagna morta prematuramente.

Ma, direte voi: dopo tanto girovagare attorno a Montalbano, a quali conclusioni si vuol giungere? Poche ma semplici.

Bravo, bravissimo Zingaretti.

Quando se ne andrà, il commissario Montalbano morirà con lui ed è giusto che sia così in barba alle leggi dell’auditel.

Ma per favore, risparmiateci qualche lezioncina annidata nelle pieghe della sceneggiatura: sappiamo leggere correttamente la realtà italiana senza le piccole prediche di don Montabano.

Voto 8-