L’antologia Giallo in città propone due romanzi brevi: Camilla e il gioco del delitto di Giuseppe Pederiali e Perché i cinesi non muoiono di Roberto Barbolini.

 

Camilla e il gioco del delitto 

"Tutti gli scrittori si odiano mortalmente… ma nessuno di loro ha il coraggio e la fantasia necessari per un vero delitto."

Una sequenza di delitti inspiegabili scuote il mondo dei cultori del giallo. Modena, Club del Canarino. Trovato morto il più noto scrittore italiano di polizieschi, Antonello Barlenghi. Due proiettili in corpo, riverso per terra nella biblioteca del ritrovo esclusivo per gli affezionati del genere. Milano, Teatro Ronchi. Strangolata in camerino, l’attrice Federica Mancini, fra il I e il II atto della commedia “Trappola per topi” di Agatha Christie. Un nesso fra i due omicidi: entrambe le vittime frequentavano abitualmente il Club del Canarino. Quasi a dire, freddati entrambi dalla passione comune per il delitto e il thriller.

Il commissario Lanza della Questura di Modena affida le indagini all’ispettore Camilla Cagliostri. Un delitto da film o da libro,  per la cui soluzione l’intraprendente poliziotta mette in atto il proprio fiuto,  dietro le quinte di librerie, editori e teatri. Una ricerca ad ampio spettro fra i retroscena dell’universo letterario noir.

Camilla e il gioco del delitto è una storia appassionante, pervasa di umorismo e scritta con tono leggero. Giuseppe Pederiali, emiliano di nascita e milanese di adozione, ci regala il terzo episodio della serie di gialli dedicati all’ispettore Cagliostri, dopo Camilla nella nebbia e Camilla e i vizi apparenti.

 

Perché i cinesi non muoiono 

"Ho sempre odiato la cucina cinese… davvero insopportabile tutta quella mucillagine in salsa di soia. Però la locanda della Sesta Felicità è proprio sotto casa, costa poco e non è troppo sporca…"

Due avventori al tavolo di un ristorante cinese (uno, discendente omonimo della contessa ungherese Bàthory, che nel 1600 faceva il bagno nel sangue di fanciulle vergini). Una conversazione oziosa sulla presunta usanza cinese di mangiar cani, finché si inserisce un terzo interlocutore, mister Wu, figlio di un boia che sognava di emigrare in Occidente.  Quanto basta per trasformare la conversazione in un moltiplicarsi di storie e aneddoti incredibili sulla Cina e le comunità cinesi sparse per il mondo. Che sia infatti la Chinatown di San Francisco, dove si aggira l’inquieto detective Samuel Dashiell Hammett, il whisky a portata di mano come antidoto alla TBC, o  quella di Milano dei nostri giorni, dietro l’angolo s’annida sempre un potenziale aggressore.

Narratore, saggista e critico teatrale, Roberto Barbolini dà vita con il romanzo breve Perché i cinesi non muoiono a una storia gialla a tutto tondo, agile e coinvolgente. In cui si interroga anche sul duro mestiere del segugio, perché, come fa dire ad Hammett, "noi detective somigliamo a un povero bastardo. Campiamo rovistando nella spazzatura. Dove la gente butta gli avanzi e i cocci di bottiglia."