In un punto vago del futuro nella Provincia Autonoma di Sibilla nella regione di Nastia un dittatore Devius ed uno scienziato pazzo Gemini hanno ridotto in schiavitù gli uomini, lobotomizzati attraverso il controllo dei corpi e della mente, inebetiti dalla tecnologia. Le donne, considerate mero strumento di piacere o macchine di riproduzione, ridotte a marionette nella mani degli uomini, ritenute “cose” usa e getta, senza volontà e diritto di parola, sono zittite e depredate, sciupate e consumate, rinchiuse e torturate. Accanto a Sibilla, come in un gioco delle parti, mutanti e uomini ribelli, vivendo tra fognature e ferrovie, si dissociano da una realtà di cui non vogliono essere schiavi. Nella foresta però le donne, guidate col pensiero da Yi Lin, rinchiusa in prigione, tenaci e determinate riscoprono la loro forza e combattono contro un presente che assume le sembianze del peggiore degli incubi, decise a riappropriarsi del loro futuro.

Apocalittica e disperata, surreale e violenta la dimensione de La foresta delle idee l’ultima opera di Sacha Rosel, edita nella collana Diapason da Demian, inchioda il lettore al racconto con un linguaggio onirico ed evocativo.

Ne La foresta delle idee, l’autrice – traduttrice dall’inglese e autrice della silloge di poesie Carne e Colore (Noubs, 2008), curatrice dell’antologia erotica di autrici e autori vari L’oscura malinconia dei sensi (Demian, 2011), e autrice di Fiori nell’ombra (Demian 2012), romanzo d’esordio che mescola atmosfere horror a riflessioni taoiste e buddiste - contrappone yin e yang, sogno e realtà, passato e presente, maschile e femminile ma la scissione è solo apparente.

È Stan, donna che si finge uomo, a guidarci fra i cunicoli fino a Nox, capo dei Ribelli e alle Rane e al Fachiro, strano essere veggente in cui dentro e fuori coincidono, capace di parole affilate come rasoi che si rivelerà quasi un deus ex machina. È Stan, il filo rosso come il sangue di cui si nutre, che ci permette di non perderci nel labirinto e al contempo Pandora, la voce dal passato che ritorna, la ricordanza che pervade i sogni della donna, che protegge nascosta nel pugnale, a tuffarci nel suo flusso di coscienza. E proprio quei sogni le faranno ritrovare la propria identità perduta, le permetteranno di riannodare il filo della memoria e ritornare all’origine.

La stupidità della dittatura di cui sono emblema le sedute del Parlamento di Cumana ha il suo contraltare né la foresta delle idee dove la donna riscopre la sua sacralità e la sua forza generatrice di vita e può risorgere dalle sue ceneri.

Il romanzo, immerso in scenari surreali degni di un quadro di Salvador Dalì, lungi dall’essere solo un viaggio fisico e onirico nel cuore di Sibilla, diventa anche un atto d’accusa contro la società odierna e l’esposizione del corpo delle donne, un monito all’uomo e alla sua sete di potere, pone l’attenzione sulla mancanza di limiti e sui limiti delle biotecnologie e della manipolazione genetica ma è al contempo un inno alla natura e all’unità del tutto.

La donna come un piccolo fiore tra le macerie ha la forza dei secoli e della cultura, della parola e delle idee, ha il potere, immersa nella natura, di perpetuare la vita.

“Non c’è più tempo per scrivere o leggere – osserva con amarezza Jorge, uno dei ribelli segnato come gli altri da una malformazione – Si può solo lottare” . La lotta di Sacha Rosel, con questo romanzo dalla genesi lunga e travagliata, continua e affonda le radici de La Foresta delle idee con parole sapienti e raffinate e con immagini che hanno la forza del tempo e la solidità della materia, immagini dipinte sulla pagina con la maestria di un antico incisore.