A distanza di poco più di un anno dalla pubblicazione de Il passato è una bestia feroce, primo romanzo thriller di Massimo Polidoro, personaggio noto come conduttore e consulente scientifico di trasmissioni televisive di successo oltre che come uno dei maggiori esperti internazionali nel campo del mistero e della psicologia dell’insolito e scrittore da 300.000 copie vendute, esce, stampato come il precedente da Piemme Edizioni, Non guardare nell'abisso.

Questa seconda avventura, dalla trama avvincente e ricca di suspance, vede il ritorno di Bruno Jordan, cronista per la rivista Krimen, ironico segugio e piantagrane supremo, è ambientata sullo sfondo degli eventi che, ai giorni nostri, hanno riportato in auge gli anni di piombo ed è popolata da una moltitudine di personaggi che non sono quello che sembrano ad una prima occhiata.

In occasione del lancio del libro l'autore ha voluto rispondere ad alcune domande che gli ho posto.

Quindi senza indugiare oltre lascio a lui la parola.

Cofondatore e Segretario nazionale del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale), docente di “Metodo scientifico, Pseudoscienze e Psicologia dell'insolito” presso la Facoltà di Psicologia dell'Università di Milano Bicocca, autore di libri e di articoli sui rapporti tra scienza, paranormale e pseudoscienza e infine scrittore di romanzi per ragazzi e thriller avvincenti e ricchi di suspance.

Oltre a questo chi è Massimo Polidoro?

Non è mai facile parlare di se stessi.

Credo tu abbia già detto molto circa quel che riguarda il mio lavoro, per il resto posso dire che sono una persona molto curiosa e che ama scoprire cose nuove.

Per questo adoro viaggiare, amo leggere, mi piace moltissimo la musica, il cinema, il teatro, l’arte… insomma, tutte cose normali come vedi.

Dal saggio critico sullo spiritismo “Viaggio tra gli spiriti”, il tuo primo libro uscito nel 1995, com'è cambiato, sempre che lo sia, il tuo approccio alla scrittura?

È cambiato moltissimo.

Parliamo di 21 anni fa, voglio sperare che il mio modo di scrivere sia cambiato!

Allora non avevo mai scritto un libro, era il mio primo tentativo di mettere su carta, in una maniera completa e coerente, un argomento vasto, ma per me decisamente affascinante, come la storia dello spiritismo.

Quaranta e passa libri dopo, ho attraversato tantissimi modi diversi di scrivere: l’articolo, l’inchiesta, l’indagine, il memoir, la biografia, il saggio, il manuale, la docu-fiction, il romanzo per ragazzi, il giallo, il romanzo storico, il thriller…

Ogni volta l’entusiasmo è lo stesso, ma l’approccio e il modo di scrivere devono essere necessariamente diversi.

Cose che ho imparato strada facendo, sbagliando e migliorandomi.

Perché ad un certo momento della tua carriera hai sentito l'esigenza di scrivere thriller?

Perché è il tipo di letteratura “di svago” che preferisco.

Li leggo da sempre e, quando sono scritti bene, li trovo uno strumento straordinario per immergermi, anche solo per qualche ora, in un mondo totalmente diverso e lontano dal mio.

Da sempre sognavo di scriverne anch’io, ma mi rendevo conto che era qualcosa che non si può improvvisare.

O, meglio, c’è anche chi lo fa, ma io volevo arrivarci sentendomi pronto, dopo un lungo tirocinio fatto di studio ed esercizio.

Il frutto di questo lavoro è stato “Il passato è una bestia feroce”, il mio romanzo uscito lo scorso anno (e disponibile ancora per pochi giorni a 3.99 euro: http://amzn.to/28VYjyP).

È andato bene, ha vinto il Premio Nebbia Gialla per il miglior libro poliziesco e io ci ho preso gusto.

Così quest’anno ci ho riprovato con “Non guardare nell’abisso”.

Che differenze trovi nello scrivere pubblicazioni scientifiche e narrativa?

E quali analogie?

Per entrambi bisogna prepararsi a fondo prima di iniziare e, almeno per il tipo di romanzi che scrivo io, condurre ricerche e approfondimenti come farei per un saggio.

Cambia invece il modo di scrivere: se nel saggio è importante essere chiari, esaustivi, spiegare e documentare, nel romanzo – e nel thriller in particolare – funziona la velocità.

Non ci si può dilungare troppo nelle descrizioni o dare spiegazioni troppo lunghe.

O, meglio, si può anche fare ma poi non bisogna stupirsi se i lettori lasciano il libro a metà.

Come molti che, al giorno d'oggi, si occupano di narrativa la scrittura non rappresenta la tua occupazione principale.

Riferendoti alla tua esperienza personale puoi raccontare come riesci a conciliare questa passione con il tuo lavoro?

Per mia fortuna, la scrittura è proprio la mia attività principale.

Non ancora la narrativa, questo è vero, ma l’insieme del lavoro che produco con la scrittura, che naturalmente comprende gli articoli e i saggi, è ciò che mi dà da vivere.

Dico subito che non si diventa ricchi scrivendo, ci riescono davvero pochissimi, ma di certo si ha la possibilità di far coincidere passione e lavoro.

I tuoi romanzi sono ambientati prevalentemente nella provincia lombarda.

Questo perché essendoci nato sono ambienti che conosci o che altro?

È vero, i due romanzi di Bruno Jordan, il protagonista de “Il passato è una bestia feroce” e di “Non guardare nell’abisso”, sono ambientati prevalentemente a Milano e provincia.

Certamente perché sono zone che conosco bene, ma anche perché essendo Bruno un giornalista era logico farlo vivere e lavorare nella capitale dell’editoria, che in Italia è appunto Milano.

Altri romanzi che ho scritto, invece, erano ambientati nella Berlino nazista (Il profeta del Reich) o nella Londra vittoriana (la serie della Squadra dell’impossibile).

Il luogo in cui si svolge una storia è anch’esso un protagonista, dev’essere efficace, credibile e va scelto sulla base della vicenda che si deve raccontare.

Fanno da sfondo alla tua ultima opera, “Non guardare nell'abisso”, alcune vicende della storia dell'Italia degli anni '70.

Hai deciso di servirti di questi elementi perché consideri l'ambientazione storica una cornice insolita o c'è dell'altro?

Sono appassionato di storia e in molti libri me ne sono occupato.

In alcuni, poi, ho voluto approfondire proprio certi aspetti drammatici della storia del nostro paese.

Questa volta, volevo fare in modo che Bruno si trovasse a fronteggiare gli anni più bui attraversati dalla nostra Repubblica, scoprendo come certi mostri non scompaiono mai veramente del tutto ma possono rialzare la loro orribile testa in qualunque momento.

Perché pensi, sempre che per te sia così, che la storia sia una materia che di per se non riscuote molto interesse da parte del grande pubblico?

In effetti, non lo penso.

La storia riscuote tantissimo interesse presso il pubblico, basta vedere il successo dei programmi e dei libri di Alberto Angela, per esempio, o dei saggi di Alessandro Barbero, di Marco Ciardi e di tanti altri bravissimi storici capaci di coinvolgere i lettori.

La storia, quando è raccontata bene, abbandonando cioè gli approcci paludati e freddi di una volta, e cercando invece di renderla viva e tangibile, non può che incantare chiunque la ascolti.

Nel romanzo si esprime una connotazione negativa della politica e degli uomini che la esercitano e una forte dicotomia tra ideologie e persone.

Questo perché funzionale alla trama o è anche un pensiero dell'autore?

La connotazione negativa nel libro non riguarda la politica in sé, che dovrebbe essere semplicemente l’arte del governare, ma piuttosto gli eccessi a cui può condurre l’ideologia, di una parte o dell’altra.

È contro l’idea che l’unico modo per migliorare la società sia attraverso la violenza e la prevaricazione che va la storia raccontata nel mio romanzo.

In questo volume ritorna Bruno Jordan, cronista per “Krimen”, ironico, segugio e piantagrane supremo già protagonista della tua opera prima “Il passato è una bestia feroce”.

Quanto di te c'è in lui?

Quanto d'inventato?

Siamo coetanei, è vero, ed entrambi giornalisti.

Forse abbiamo qualche interesse in comune, ma le somiglianze credo si fermino qui.

Probabilmente andremmo d’accordo, se fossimo amici, ma abbiamo caratteri e approcci alla vita piuttosto diversi.

Dunque, direi che può esserci un 10% di me, tutto il resto viene da lui.

A quale personaggio di questo libro sei più affezionato? Perché?

Non ce n’è uno solo.

Bruno naturalmente occupa un posto speciale nel mio cuore.

È grazie a lui che sono nati i due romanzi.

Però, sono molto legato anche agli altri.

Gip, il compagno taciturno e affidabile di Bruno, ha qualcosa di speciale.

Chi non vorrebbe avere un amico così, sempre pronto ad aiutarti quando sei nei guai?

Mi piace anche Linda, la capa affascinante e tosta del protagonista.

E poi in questa storia ci sono alcuni personaggi di “contorno”, come si dice, a cui ho finito per affezionarmi: Peter, il papà di Bruno, malato di Alzheimer e convinto di essere ancora nel 1966, “Elvis”, Phasma e ovviamente i cattivi, su cui non dirò assolutamente nulla.

A quali fonti ti sei documentato per scrivere i tuoi thriller?

Oltre ai libri che sicuramente usi per documentarti quali altre letture fai?

Per il mio lavoro leggo tantissimo e, dunque, è inevitabile che ciò che leggo finisca nelle mie storie.

Per “Non guardare nell’abisso” ho dovuto naturalmente approfondire in maniera molto rigorosa diversi aspetti legati agli anni di piombo.

Per questo, in coda al libro ho voluto indicare le fonti principali, per chi volesse approfondire e documentarsi a sua volta.

Tra i protagonisti della vicenda narrata ci sono due personaggi che in realtà non sono quelli che appaiono: l'ex senatore Publio Virgilio Strazzi, uno dei nomi più quotati per l'imminente elezione del presidente della Repubblica Italiana, con molti scheletri nascosti nell'armadio e sua nipote Lara Martin, ragazza dal passato torbido, che gravita in un ambiente vicino alle nuove BR.

In quali di questi si riconosce di più l'autore Polidoro?

In nessuno dei due.

Ciascuno di essi può credere di avere buoni motivi per fare ciò che fa, ma come dicevo prima io non credo che la violenza o il terrore siano i sistemi più efficaci per risolvere i problemi.

Tutt’altro!

Anche per questo libro, come per il precedente, hai scelto un'inedita forma di lancio: hai deciso di farlo leggere in anteprima a 100 lettori e di coinvolgerli in una campagna di promozione dal basso.

Come mai questa scelta?

Perché ha funzionato molto bene la prima volta!

I lettori che hanno potuto leggere in anteprima il romanzo mi stanno ora aiutando a farne parlare, generando curiosità intorno al libro.

È un’esperienza molto intensa e parecchio divertente: per me sicuramente, ma credo proprio che anche chi fa parte della Squadra si diverta non poco.

Da autore ormai affermato che consigli daresti a chi si volesse affacciare al mondo della scrittura?

Non so se mi definirei un autore affermato, ma un po’ di esperienza me la sono fatta di sicuro.

Il consiglio principale è sempre quello di leggere tanto: non si può sperare di diventare scrittori se non si legge tanto e di tutto.

Sarebbe come se qualcuno dicesse di volere diventare un pianista e, alla domanda: “Che musica ascolti?” rispondesse: “Musica? Non mi piace ascoltarla, ma vorrei lo stesso diventare un pianista famoso”.

Non credo farebbe molta strada uno così.