Diario di una cameriera di Octave Mirbeau, Oscar Mondadori, Milano, 1982, trad. Roberta Maccagnani (Ora ripubblicato da Elliot Edizioni)

“Diario di una cameriera” di Octave Mirbeau, è romanzo scritto della seconda metà dell’800, considerato dalla critica come minore nel contesto della letteratura francese di qual periodo.

Il romanzo, come molti ricorderanno, ha avuto due trasposizioni cinematografiche: una di Renoir (1946) che lo ambienta nella provincia francese all’epoca degli Impressionisti, una più tarda di Bonuel (1963), ambientata nella Francia degli anni ’30 del ‘900.

Romanzo che pone l’accento sulla corruzione della borghesia, mettendone in luce le perversioni e gli aspetti più sordidi: una classe in completa decadenza morale e civile. Non manca un ritratto politico della Francia di quegli anni, con il suo antisemitismo strisciante. Siamo al tempo dell’Affaire Dreyfus.

Célestine, una cameriera intelligente e astuta, io narrante, rappresenta il trait d’union fra il mondo dei servi e quello dei “padroni”. Da vittima umiliata a causa della sua estrazione sociale, acquisirà compiacendosene, una collocazione sociale onorevole e rispettata, diventando la maliziosa e astuta proprietaria di un Cafè a Cherbourg. Tutto questo a patto di assorbire gli umori del vizio e della corruzione trasmessi dalla classe dei “padroni”. L’onorabilità le deriva anche dal matrimonio con il torbido Joseph, un tempo servitore nella stessa famiglia, vicino al clero e all’esercito, impregnato di nazionalismo e sciovinismo.

Viene commesso un orribile stupro con uccisione di una ragazzina. La giustizia non scoprirà mai il colpevole, e l’autore adombra che il delitto sia opera di Joseph. Come pure sarà probabilmente sempre lui ad aver derubato i padroni di tutta l’argenteria. Anche questo caso rimarrà impunito. Possiamo concludere che il romanzo ha gli innegabili tratti del miglior noir “sociale”, per quanto riguarda l’analisi dei rapporti fra le classi e per l’indagine profonda nel lato oscuro di tutti i personaggi.

Célestine percepisce l’attrazione sessuale nei confronti di Joseph e la forte capacità delittuosa dell’uomo ma ne diviene tacitamente complice e succube del suo fascino perverso. La loro unione è una perfetta intesa “nera”., Nessun riscatto per nessuno, borghesi o popolani, uomimi e donne, è il grido finale dell’Autore.

“L’atto criminale ha qualcosa di violento di solenne, di vendicatore, di religioso che mi fa paura, certo, ma che suscita in me … una forma di ammirazione… quello che provo io esalta soltanto la mia carne. …in me ogni atto criminale, e particolarmente il delitto, ha delle affinità segrete con l’amore… Proprio così… Un bel crimine, un crimine ben fatto, mi prende come un bel maschio…(p. 295)