Un profondo senso di tristezza e disagio traspare dalle pagine di Appuntamenti in nero di Cornell Woolrich. Forse perché ci si aspetta il solito giallo dove un ispettore infallibile mette tutte le cose a posto, dove c’è una giustizia divina e sociale, dove l’assassino è un personaggio talmente raccapricciante da non poter in alcun caso attirare la simpatia del lettore. Ma già dopo poche pagine l’atmosfera nera avvolge il lettore, trascinandolo all’interno di un mondo disperato dove nulla è quello che sembra, all’interno del mondo noir. Perché Woolrich di questo mondo è un maestro ed è un peccato che solo in questi ultimi anni si stia riscoprendo un tale autore che, in un certo senso, è l’inventore del noir moderno. Se i maestri del giallo classico sono famosissimi (chi non conosce Arthur Conan Doyle o Agatha Christie), se hanno una loro popolarità scrittori hard boiled come Chandler e Spillane, c'è da chiedersi come mai non siano famosi al grande pubblico i maestri del noir. Forse proprio per l’essenza stessa del noir che è romanzo scomodo, che mette in luce le contraddizioni della società, la sua metà oscura, la sua mancanza di morale e ci mette sotto agli occhi le nostre paure quotidiane, le nostre inquietudini più nascoste, il nero dell’esistenza. Ed è impressionante la quantità di nero usata da Woolrich nei suoi romanzi e racconti, e non solo d’inchiostro per eliminare il bianco della carta davanti ai suoi occhi. Woolrich è certamente lo scrittore che ha più usato la parola nero, più precisamente black, nei suoi romanzi e soprattutto nei suoi titoli: The Bride Wore Black, Black Alibi, Black Angel, The Black Path of Fear, Rendezvous in Black, The Black Curtain solo per citarne alcuni. E il nero se lo è portato dentro, nell’anima, durante tutta la sua vita. George Hopley Woolrich nasce il 4 dicembre 1903 a New York City. Dopo il divorzio dei genitori passa l’infanzia in Messico per poi tornare a New York dove frequenta la Columbia University e dove comincia a farsi un nome negli ambienti letterari. Ha una certa fama con il suo romanzo Children of The Ritz, vince un premio, si trasferisce a Hollywood dove lavora come sceneggiatore, si sposa ma il matrimonio naufraga dopo poche settimane. Tornato a New York comincia il suo periodo più nero in bilico tra droga e alcolismo. Passa un periodo di difficoltà economiche e spirituali. Coperto dai debiti si ritira con la madre in una stanzetta d’albergo e alla morte di questa si seppellirà vivo in quella stanzetta, con la sua macchina da scrivere, in perfetta solitudine per undici anni fino alla morte, avvenuta il 25 settembre 1968. Vita disperata come disperati sono i suoi romanzi. Come disperato è Appuntamenti in nero nel quale un amore, un idillio, ben presto si trasforma in incubo, in un appuntamento con la morte. E quell’appuntamento tocca varie vite: quella di Johnny Marr , “un ragazzo qualunque, come ce ne sono tanti”, quella della sua ragazza innamorata, quelle di una combriccola di amici. Perché in questa tragedia tutti sono protagonisti, a cominciare dal caso che trasforma un amore puro nel suo esatto contrario. E quello che ci descrive Woolrich non è la violenza tipica, diretta, del poliziesco americano dell’epoca (ricordiamo che Appuntamenti in nero è del 1948) ma è uno scavo psicologico, è una violenza interiore ben più angosciante. E il lettore resta lì, affascinato e travolto, angosciato da una storia qualunque, con personaggi qualunque come ce ne sono tanti nella vita reale. Qui non ci sono poliziotti-paladini della giustizia o, se ci sono, sono funzionari che fanno il loro lavoro come gli altri, senza essere eroi, a volte più antipatici degli stessi assassini. Certo, la visione che esce da questo romanzo, come da quasi tutti i romanzi noir ben scritti, non è certamente una visione rosea della vita; raramente troviamo un lieto fine, e meno male, perché ormai si è stanchi del solito, banale, “vissero tutti felici e contenti”.