Una giornata nera, nemmeno una collanina venduta, nemmeno un CD. E dire che aveva passato tutta la sera dentro e fuori da bar affollati, tra ragazzi che spendevano sette, otto Euro per una Caipirihna o altra schifezza simile. Ma lui, Bushta Sahin Hammedd, non aveva venduto nemmeno un accendino. Serata di merda! Quello che Bushta non sapeva ancora era che la discesa nella merda per lui, quella sera, era appena cominciata. Africano, laureato, padronanza di tre lingue, questo aveva scritto sui Curriculum Vitae spediti in giro e probabilmente subito cestinati, condannato da una legge non scritta a vendere cianfrusaglie per le strade e per i locali del centro. Ma almeno per quella sera le umiliazioni erano finite; era tardi, non c’era più un cane in giro ed era l’ora di rientrare nei suoi quaranta metri quadri, suoi e di altri cinque compagni di sventura. Una pioggia di carta velina inzuppava le strade, rendendo il porfido livido e scivoloso. Bushta stava per imboccare la via di casa quando un urlo, seguito dal suono di un vetro in frantumi attirò la sua attenzione verso un via laterale. Per qualche secondo restò sospeso: fare ancora cinquanta metri e gettarsi sul letto oppure andare a vedere cosa succedeva in quella via scura. La curiosità vinse il timore: Bushta imboccò la parallela per l’inferno.  Percorse la stretta via buia, aguzzando la vista per riuscire a distinguere qualcosa. L’unico lampione era spento e la pioggia rendeva tutto indistinto. Ma lui conosceva bene la via: era un vicolo e terminava contro un muro. Stava quasi per raggiungere la fine della strada quando vide una donna seduta per terra. Restò un attimo a guardarla. Non era bella ma molto elegante, un tailleur azzurro bagnato dalla pioggia le fasciava il corpo leggermente troppo grasso. Poco distante c’era qualcosa che Bushta non riuscì subito a identificare, poi, con un po’ di sforzo e grazie anche al fatto che i suoi occhi si stavano abituando all’oscurità, distinse una scarpa di alta moda. La signora doveva averla persa, forse era inciampata, pensò Bustha mentre restava impalato a guardarla. Stava per rivolgerle la parola quando si accorse che la donna stava fissando qualcosa di fronte a lei. Con la mano la donna si asciugò la bocca e disse una sola parola rivolta al vuoto: bastardo. In quel silenzio la voce rimbombò come un tuono poi, il bastardo, fece il suo ingresso in scena. Era un uomo piccolo, pelato, vestito elegante. A Bushta fece subito pensare a un riccone, ma di quelli nati da famiglia povera. L’uomo non fece un passo, non disse una parola, estrasse solo qualcosa dalla tasca dei calzoni. Il rumore secco di una molla che scatta, poi Bushta vide comparire la lama. L’uomo aveva estratto un coltello.

“Cosa hai detto puttana?”

“Bastardo, sei solo un piccolo bastardo.”

“Stai attenta Anna, stai attenta, non insistere, non farmi perdere la testa se no questa volta ti ammazzo, ti ammazzo come vero iddio, ti ammazzo!”

La donna, appoggiandosi con le spalle al muro, si stava lentamente alzando, guardando fisso l’uomo con uno sguardo di sfida. L’uomo fece un passo verso di lei e Bushta discese nella merda.

“Si fermi” – gridò- “la lasci stare”.

Un brusco silenzio scese sul vicolo. I due si voltarono a guardare Bushta: occhi puntati sul suo viso, sui suoi occhi. Poi, improvvisamente, l’uomo cominciò a ridere con una risata nervosa, oscena nella sua sguaiatezza.

“Ecco, solo uno sporco negro poteva venire in tuo aiuto. Questo è il principe azzurro che ti meriti” – disse l’uomo con disprezzo rivolto alla donna appoggiata al muro.

“Chi sei, chi cazzo sei?”

L’uomo si stava dirigendo verso Bushta quando la donna gridò: “Lascialo stare, torna qua.”

“Lasciarlo stare? Chi è, forse uno di quelli che ti sbatti ogni sera eh?”

“Non dire stronzate, non vedi che è un vù cumprà!”

Le parole pronunciate dalla donna inchiodarono Bushta più della vista del coltello. Solo un vù cumprà, quello che la stava salvando restava ai suoi occhi soltanto un vu cumprà.

“Ah sì, per me te la fai anche con i vù cumprà perché sei solo una put…”

La donna, con uno scatto, tentò di colpire con una sberla l’uomo ma lui le assestò un violento pugno sullo stomaco che la mandò nuovamente a terra.

“Fermo, gridò Bushta, così l’ucciderà.”

“Ehi negretto, non venirmi a insegnare come devo trattare mia moglie. Sì bello, questa puttana è mia moglie, finché morte non ci separi e penso che ci manchi poco.”

 L’uomo si abbassò e con la lama del coltello incise la gamba della donna. Lei non emise neanche un suono, fissava con disprezzo quello che era suo marito: non voleva dargli la soddisfazione di gridare, di mostrare sul suo volto i segni della sofferenza, né tanto meno quelli della resa. Con un gesto improvviso sputò nella faccia del marito e si mise a ridere come una bambina. L’uomo partì per colpire la donna ma Bushta riuscì per un momento a bloccargli il braccio, prima di ricevere un manrovescio e finire a terra. La cassetta di collanine volò in avanti seminando per il vicolo anellini e perline d’avorio, mentre il pacco dei Cd finì vicino alle scarpe dell’uomo che restò a osservarlo per un istante. Poi, con una furia cieca, calò sopra i CD il tacco con forza: una, due, tre, quattro, cinque volte, sembrava non dovesse smetterla mai, sei, sette, otto, e gridava, nove dieci, undici e gridava. Alla fine, esausto, si fermò. Con il sudore e la pioggia che gli grondava dalla fronte si rivolse a Bushta e, sventolandogli davanti al viso la lama del coltello, disse: “Non metterti in mezzo negretto, non ti hanno insegnato il detto tra moglie e marito non mettere il dito?”

“Sì…stia calmo…ragioni…”

“Ragioni a me? Ma sai chi sono io? Io sono l’uomo più ricco di questo fottuto paese, ho talmente tanti di quei soldi che non so più dove metterli.”

Mentre pronunciava queste parole estrasse dalla tasca dei pantaloni il portafoglio, prese le banconote che c’erano dentro e le gettò con disprezzo sulla faccia di Bushta. Come foglie d’autunno le banconote ondeggiarono nell’aria per atterrare tra le pozzanghere e i rifiuti. L’uomo, per un minuto, restò fermo con il portafoglio in mano poi, con rabbia, lo scagliò in viso alla moglie. La donna tentò di schivarlo ma fu ugualmente colpita di striscio sulla tempia. Un rivolo di sangue le scese dal sopracciglio. L’uomo non l’aveva degnata di uno sguardo e, rivolto a Bushta, disse: “Hai visto? Sono tutte banconote da cinquecento Euro, HAI VISTO”, gridò.

Bushta fece di sì con il capo.

“Contale, CONTALE TI HO DETTO!”

 Bushta, raccolse le banconote e si mise a contarle lentamente, prendendo tempo.

“Allora quante sono?”

“Venti.”

“Diecimila euro, tu non li vedi nemmeno in un anno della tua sporca vita, mentre io li avevo portati fuori per spenderli tutti questa sera con questa stronza di mia moglie, ma no..lei deve farmi girare le scatole perché non sta mai zitta, deve sempre parlare, sindacare su tutto quello che dico, farmi una testa così…non la sopporto più…non…”

“E allora vattene, lasciami, divorzia o sei troppo codardo per farlo? Sai mio marito ha una paura fottuta di quello che potrebbe dire la gente, ha paura dello scandalo, dei giornali…”

“Zitta tu, ZITTA!”

“Mi fai schifo, sei solo un lurido impotente.”

L’uomo scattò con una velocità inattesa e Bushta restò a guardare la lama colpire ripetutamente la donna. I primi colpi le colpirono le mani protese in avanti per difesa facendo schizzare il sangue. Poi i colpi si susseguirono a raffica, in tutto il corpo. Dieci, venti, trenta coltellate caddero sulla donna prima che l’uomo si fermasse esausto, con il fiatone, sporco completamente di sangue. La donna, a terra, era ancora viva. Bushta la sentiva rantolare. Un sibilo indescrivibile usciva dalla donna insieme al sangue e alla vita. L’uomo, con gli occhi sbarrati, era rimasto come paralizzato a fissare il corpo della moglie. Subito Bushta si precipitò a soccorrere la donna. La prese tra le braccia, tentò di sollevarla, di portarla via da lì. Ma era finita, la donna gli spirò tra le braccia. Non riusciva più a sostenerla, lui esile per natura, così la pose a sedere contro il muro, delicatamente, come se potesse ancora farle del male. Appena la lasciò, il corpo lentamente si piegò verso destra fino a toccare il suolo. L’uomo la guardava, gli occhi sbarrati, era impazzito. Bushta, zuppo di sangue e pioggia, cercò di allontanarsi ma l’uomo lo bloccò.

“Vedi che cosa mi hai costretto a fare? Se tu non fossi arrivato non mi avrebbe risposto così e tutto sarebbe finito come le altre volte, con qualche sberla. Ma no, sei arrivato tu e tutto e degenerato.” Bushta era immobile. Aveva paura. Era chiaro che l’uomo non era più padrone delle sue azioni. Lentamente l’uomo si avvicinò al corpo della moglie e disse: “Vero cara che se non fosse arrivato lui avremmo risolto tutto come sempre. Hai sentito negro cosa ha detto? Ha detto di sì. E’ tutta colpa tua!”

 Con la mano l’uomo accarezzò la guancia insanguinata della moglie poi, prendendole la testa tra le mani, la baciò in bocca. Quando alzò lo sguardo aveva tutto il mento imbrattato di sangue.

“E’ tutta colpa tua” –continuava a ripetere- “è ora devi pagarla.”

 L’uomo lentamente si diresse verso Bushta che cominciò a indietreggiare.

“Si calmi, non faccia sciocchezze”- tentò Bushta, ma l’uomo inesorabile gli veniva incontro con la lama insanguinata del coltello davanti agli occhi.

“Me la pagherai, tu me la pagherai maledetto. Guarda cosa mi hai fatto fare, me la pagherai.”

 Bushta, passo dopo passo, era giunto alla fine del vicolo: un muro alle sue spalle, nessuna via di fuga. L’uomo era quasi a trenta metri quando una sirena echeggiò in lontananza. La polizia, pensò, qualcuno deve aver chiamato la polizia. Poteva scamparla, doveva solo attirare l’attenzione dell’uomo per qualche minuto ancora.

“Ritorni in sé –tentò- io non centro nulla con i suoi problemi, sono solo un vù cumprà, un VU’ CUMPRA’!”

Ma l’uomo ormai era andato, continuava ad avvicinarsi con lo sguardo fisso su Bushta ripetendo continuamente tre parole: pagherai per tutti. La sirena era sempre più vicina, l’uomo era sempre più vicino, il coltello era sempre più vicino. Tutto avvenne in un attimo. L’uomo arrivò fin davanti a Bushta e si conficcò il coltello nel cuore, Bushta si trovò l’uomo morto tra le braccia, i fari della macchina della polizia addosso, due pistole che lo tenevano sotto tiro e un agente che gli gridava: “Butta a terra il coltello negro, sei in un mare di merda!”