Comincia l’era Moore... siamo in piena epoca del cinema exploitation dal Kung Fu al Black e anche l’agente 007 si adegua. Per fare il verso a Shaft, testo migliore di Vivi e lascia morire non si poteva trovare. Era già un ottimo romanzo ed è un peccato che lo spunto del ritrovamento del tesoro di Morgan sia sostituito con un più attuale ma, alla fine, banale traffico di eroina.

A parte questo molte delle suggestioni del romanzo trovano una piena realizzazione nel film sceneggiato da Tom Mankiewicz e diretto dal veterano del cinema bellico Guy Hamilton.

          

New Orleans, rituali voodoo che creano atmosfera ma non si contaminano con l’azione vera che è sempre a suon di sberle, sparatorie e inseguimenti. Persino New York, nei quartieri più degradati, acquisisce un certo esotismo anche se la parte del leone la fa l’isola di Sainte Monique, tra spauracchi, rituali e squali.

A Tampa 007 compie la celebre e forse esagerata corsa sulla testa dei coccodrilli, ma i tempi cambiano. Il cinema d’azione di quegli anni ha un’impostazione diversa rispetto al decennio precedente e si vede. Per la cronaca lo stunt fu ripetuto numerose volte con coccodrilli veri da un cascatore che diede il nome a un personaggio: Ross Kananga. Un applauso per aver girato senza trucchi.

Bond si adegua alle nuove regole dell’azione. Roger Moore (era stato preso in considerazione sin dai primi film, epoca in cui era indisponibile) rispetto a George Lazenby è elegante, tirato (più di Sean Connery in Una cascata di diamanti) e, se rivela un po’ di pancetta a torso nudo, ha l’aplomb giusto in giacca e quando veste di nero è convincente... anche perché è sempre pronto Bob Simmons a doppiarlo nelle scene di lotta, che acquisiscono un loro stile particolare, realistico e cinematografico al tempo stesso.

Moore, poi, può contare su ottime capacità interpretative, una vasta popolarità televisiva. Che importa se rifà il Santo o anche Brett Sinclair di Attenti a quei due? Il suo è un Bond particolare, differente dall’originale ma accattivante, simpatico e duro nella giusta misura. Yaphet Kotto e un gruppo di caratteristi neri tra cui la playgirl Gloria Hendry svolgono il loro lavoro al meglio. Il resto è musica soul, paludi e la magnifica colonna sonora arrangiata in vari modi di Paul McCartney.

Jane Seymour dovrebbe essere nera, quantomeno mulatta, ma ha capelli magnifici e il fisico del ruolo. In seguito sarà La signora del West ma qui esordisce nel ruolo di Solitaire, amante-ragazzina-veggente di Kananga e donna trofeo tra il buono e il cattivo lasciando un segno nella memoria.

         

La storia è agile, parte con tre omicidi concatenati e non mostra Bond prima dei titoli di testa. Niente lungaggini nella presentazione del personaggio, ormai lo spettatore è abituato ai cambi e 007 entra subito nel pieno dell’azione, mostrandoci però uno scorcio della sua vita privata. M e Moneypenny vanno a trovarlo a casa, nel cuore della notte, per affidargli la nuova missione. E noi lo incontriamo lì, elegante, sfrontato e seduttore (nasconde nell’armadio un’agente segreta italiana, che da noi diventa francese...).

Poi si parte con una vicenda lineare, senza mai una battuta di troppo. Forse l’inseguimento nell’aeroporto sarebbe anche di troppo ma è ben girato e suscita qualche rimpianto in chi è cresciuto con i “veri” stuntmen e non con gli effetti digitali. Quando un’auto si schianta tra le ali di un piccolo aereo è tutto incredibilmente vero, come le acrobazie dei motoscafi, da far perdonare anche le intrusioni comiche dello sceriffo Pepper. Un personaggio questo sicuramente ideato per il pubblico americano e per strizzare l’occhio a un altro genere famoso a quell’epoca, quello con Burt Reynolds nei film tipo Il bandito e la madama.

Negli anni ’70 l’inseguimento in macchina, soprattutto con un tamponamento gigante di auto della polizia, sembra irrinunciabile e la produzione lo inserisce e fa centro.

Il nuovo Bond vince e convince.