Arriva anche in Italia - nella versione internazionale più corta di circa venti minuti - 13 assassini, il remake dell’omonimo film del 1963 diretto da Eiichi Kudo: alla regia troviamo il celebre Takeshi Miike che sembra volare di genere in genere, dall’azione all’horror, dalla commedia alla fantascienza... fino a cimentarsi ora nel film storico venato di chambara (film di combattimenti con la katana).

 

Siamo nel Giappone di metà Ottocento, in un’età di transizione: stanno tramontando i valori del passato e sta per iniziare una nuova burrascosa èra per la Nazione. Siamo al tramonto dell’istituzione dello Shogun così come dei combattenti professionisti al suo servizio: i celebri samurai. In quest’età di declino la casata Akashi accoglie a sé Naritsugu, figlio del defunto Shogun ma non di sua moglie: l’attuale Shogun al potere si ritrova quindi con un fratellastro molto scomodo. Naritsugu è infatti un sadico e un malvagio - che però se la prende solo con gli inermi! - che non vede l’ora di salire al potere al posto del fratellastro per instaurare un’èra di guerra e di violenza. Lo Shogun incarica quindi il consigliere Doi di “occuparsi” in modo discreto della questione: così viene ingaggiato il samurai Shinzaemon Shimada perché organizzi ufficiosamente un attentato alla vita di Naritsugu. Shinzaemon ingaggia undici uomini e comincia a studiare un piano; quando si accorge che in dodici la storia diventa troppo uguale a Quella sporca dozzina, raccatta strada facendo un tredicesimo invitato - che non è neanche un samurai! - e può andare avanti senza rischiare parallelismi imbarazzanti. (Visto però che la storia originale è del ’63 e la storia del film americano è tratta da un romanzo del ’65, e visto che gli Americani hanno sempre attinto a piene mani al cinema giapponese, chi ha copiato chi?)

Il film 13 assassini è diviso in due parti distinte: la preparazione alla battaglia finale e la battaglia finale. Da Miike ci si aspettavano fuochi d’artificio, invece si ottiene giusto qualche stella filante: il film è ottimo ma è talmente superficiale che poteva essere diretto da chiunque. A parte alcune trovate visive degne di nota (le prime trappole a scattare nella battaglia finale) il film non sembra portare da nessuna parte la firma del celebre regista.

Ci siamo concentrati e non abbiamo pensato ad Akira Kurosawa - i cui film erano di un livello talmente superiore a questo che è ingiusto tirarlo in ballo - così si è tentati di paragonarlo a film simili statunitensi, come il già citato Quella sporca dozzina e I magnifici sette. Dopo la scena in cui Hirayama combatte con più katane, raccogliendole da terra, si è pensato anche ad una scena simile nel finale di Fong Say-yuk (1993) - ma Jet Li coreografato da Corey Yuen era uno spettacolo che è impossibile da ripetere. Tutti questi paragoni sono pugnalate al film di Miike, che risulta davvero inferiore ad ogni seppur piccolo film simile.

Ci spiace notare che il regista giapponese è caduto nella trappola statunitense degli effetti speciali: le trovate scenografiche del combattimento nella città sono roboanti e spettacolari, tanto che lo spettatore non può impedirsi di arricciare le labbra e fare ohhh... Ma poi l’effetto passa e ci si ritrova ad aver visto un film piatto, privo di spessore se non addirittura superficiale. Ci si ritrova a veder morire gente che non si sa chi sia: come si può provare empatia?

I tredici assassini del titolo non sappiamo chi siano: appaiono e dicono solo che sono talmente contenti di morire per il loro signore che si strozzerebbero da soli. Non c’è il minimo scavo nei personaggi, non c’è nessuna storia raccontata intorno al fuoco - luogo archetipico in cui i personaggi americani parlano di sé - l’unica cosa che viene detta di questi sconosciuti è che stanno impazzendo dalla voglia di morire. Stranamente però quando poi muoiono lo fanno gridando, con gli occhi spalancati e addirittura stupiti: ma non è quello che stavate cercando con tutta la forza? Perché non stanno ballando dalla felicità? Forse è questo il messaggio del film, che morire fa schifo anche se credevi il contrario?

Veder morire personaggi sconosciuti non crea legami empatici: li si guarda cadere come cadono svanendo le decine di cattivi senza volto. E questo è il maggior difetto del film: personaggi stereotipati che agiscono in modo stereotipato, e quindi non si crea alcun legame con lo spettatore e non si prova nulla fino alla fine.

Ripeto, è un film ottimo con ottime scene d’azione, ma piatto - e scontatissimo! - come non ci si aspettava da cotanto regista.