Ci sono storie che giungono a noi da lontano, che mutano e ci avvolgono in forme sempre nuove e a volte irriconoscibili. Siamo circondati da idee che non ci appartengono ma che lo stesso noi contribuiamo a mutare. Se uno scrittore sapesse cogliere la profonda inquietudine della povera mente umana - costretta a subire costanti attacchi di idee dall’esterno, molte delle quali non è in grado di assimilare - sarebbe in grado di scrivere romanzi davvero paurosi. Non sono molti ad esserne capaci, nel mondo: in Italia... abbiamo incontrato Danilo Arona.

La memetica non sarà certo conosciuta (e studiata) come la genetica, ma fa parte della nostra vita in maniera preponderante. Tutti noi siamo contagiati quotidianamente da idee o pacchetti di idee, alcune delle quali hanno girato il mondo o addirittura provengono dalla notte dei tempi: mi sembra che questi concetti siano alla base della tua visione della letteratura. Ti posso definire uno “scrittore memetico”?

Con il senno del poi – un “poi” riferito a tutto quello che è successo e che sta capitando nell’Infosfera mediatica dopo la pubblicazione dei miei primi libri di narrativa (primi anni Ottanta) – direi proprio di sì. È una definizione perfetta. Io parto sempre da un “contagio” reale che poi tento di sviluppare narrativamente. Un esempio canonico: le ondate di suicidi in Giappone tra il 2004 e il 2005, che sono già di per sé esempi di virus cerebrali diffusi via rete con esiti nefasti, sono alla base di “Cronache di Bassavilla” e “Melissa Parker e l’incendio perfetto”, romanzi in cui il fantasma di Melissa è sostanzialmente una mostruosità virale che si propaga attraverso dei  canali di trasmissione che le sono congeniali (da Internet agli specchi, dai libri al tubo catodico e altro ancora...). È un’idea fortemente metaforica che non ho mai pensato di collegare ai libri di Richard Dawkins [che ha coniato il termine “meme”. n.d.c.]. Però in effetti i memi sono nell’aria, nella “Ideosfera”, girano e contagiano, replicandosi, soprattutto gli scrittori.

Leggendo un thriller in questi giorni in edicola, “Il sangue che resta” di Jennifer Lee Carrell, ho trovato questa frase: «Nell’ambiente teatrale si ritiene che la spirale del male della tragedia shakespeariana popolata di streghe sia tanto forte da non poter essere trattenuta tra le fragili mura del palcoscenico e che si riversi nella realtà». Questa descrizione del “Macbeth” non è in fondo il succo della tua poetica?

Sì. Nel mio secondo romanzo horror “Un brivido sulla Schiena del Drago” (il primo di una trilogia comprendente “La stazione del Dio del Suono” e “Le tre bocche del Drago”, quest’ultimo di autori vari oltre a me) descrivo il particolare meccanismo della Veglia: una mezza dozzina di anziani che si radunano in luoghi e in date particolari per raccontarsi a vicenda “storie di paura” - esattamente come si faceva nelle arcaiche veglie contadine - sperimentando di volta in volta che quel che narrano si materializza attorno a loro, interagendo con la loro realtà. Dal momento che non nascondo mai le mie fonti ispirative, non ho difficoltà a confessare che avevo miscelato – e shakerato... - i vecchi di Milburn descritti da Peter Straub ne “La casa dei fantasmi” e l’oceano pensante di “Solaris” con il suo potere di materializzare i mostri dell’inconscio. Del resto erano gli anni Ottanta, di memi non si parlava ancora... Ma il tema del contagio – sopratutto quel contagio maligno che dall’immaginario si riversa nella realtà, citando “Il sangue che resta” - c’era tutto e da allora temo di non avere mai smesso. La metastasi memetica che infetta il reale è la sottotraccia più solida per identificare la mia narrativa nel suo insieme... ed è una scoperta che faccio grazie a te. E ovviamente ti ringrazio.

L’occulto, di cui tu sei un esperto di lunga data, è un fenomeno vasto da cui nessuno può dirsi immune fino in fondo. Il fascino di alcune idee è troppo forte perché lo si possa ignorare: che si creda o meno a certi fenomeni, di sicuro li si reputa intriganti. Siamo forse “memeticamente” tarati ad essere ricettivi nei riguardi di determinate idee? Mi riferisco soprattutto a quelle che esulino dalla nostra conoscenza immediata della realtà.

Danilo Arona
Danilo Arona
Il tema è intrigante quanto complesso. L’umanità è cresciuta e si è forgiata nella paura – in primo luogo il buio, inteso anche come luogo, ovvero la notte... - e l’occulto è una risposta a detta paura nonché  un tentativo secolarizzato per tenerla a bada, per “esorcizzarla”, usando un termine da cattolicesimo militante trasmesso poi con disinvoltura al linguaggio quotidiano. Ovvio che lo spazio ristretto mi costringe a una risposta troppo generica, ma direi proprio che l’ipotesi memetica si può applicare alla perfezione a quelle schegge di apparente irrazionale che sembrano vagare con buona pace e tolleranza di chiunque nella bonaccia tranquillizzante di certa carta stampata che si presenta come “razionale”. Prendi gli oroscopi, stanno dappertutto e pochissimi, pubblicamente, confesseranno di crederci. Però quasi tutti andiamo a leggerci quel che racconta il nostro segno e sono certo che molti vi si adeguino, trovandovi dei modelli di comportamento per la settimana o per la giornata. Come sosteneva il sociologo William Thomas, i fantasmi non esistono, ma esistono le loro conseguenze. Tra queste ultime, c’è la legge non scritta che recita “lo fanno tutti perciò lo faccio anch’io”... Più contagio di così...

Nel 1998 hai scritto “Possessione mediatica”, un lucido e tagliente saggio in cui - fra le tante cose - parlavi di idee ricorrenti legate ad un periodo ben preciso dell’anno, veicolate ed amplificate grazie ai (per colpa dei) vari media. In fondo non è questa la base della narrazione? A parte il caso eclatante del cinema (dove stili e tematiche ricorrono e si ripropongono a ritmi serrati), non pensi che anche la letteratura in fondo si basi molto sul ciclo (e riciclo) di idee note, anche se proposte mediante altre ricette?

Idee e schemi ricorrenti legati a cicli temporali sono una caratteristica di un certo condizionamento mediatico nell’ultimo trentennio. Credo che tu ti riferisca alle “leggende di Halloween”, soprattutto quelle che, a pochi giorni dalla data in questione (la notte fra il 31 ottobre e il primo di novembre) prevedono avvenimenti luttuosi e/o catastrofici su vasta e media scala. Sono “voci” giornalistiche nutrite da eventi reali accaduti in anni precedenti e di volta in volta battezzati come “la strage di Halloween”, “il terremoto di Halloween”, “i sadici di Halloween”, “il delitto di Halloween” (Meredith), e via declinando... Chi fa giornalismo sa bene che questi approcci, che di razionale non hanno nulla, fanno vendere e tutti gli anni è sempre la stessa solfa, anzi è sempre peggio. Se ci ragioniamo, è lo stesso meccanismo del dicembre 2012 – il meme più gigantesco con cui l’umanità abbia avuto a che fare – che instilla a livello mediatico la paura per una data, che di per sé è solo una convenzione matematica e temporale. Purtroppo il contagio funziona alla grande e sovente in negativo se proprio ad Halloween decine di ragazzini, supponendo di ingraziarsi Belzebù, in tutto il mondo vanno a caccia di gatti neri. Questo è un tipico esempio di super-contagio della mente in personalità labili, adolescenti e psicopatici di turno. Sì, sono abbastanza d’accordo con il parallelo con letteratura e cinema... Ed estremizzando il discorso, credo che in prima istanza se ne siano accorti gli stregoni del marketing che, soprattutto in letteratura, riescono a creare fenomeni dal nulla – di “nulla” - utilizzando lo stesso approccio dello schema ricorrente. Non faccio esempi concreti perché potrei essere accusato di interesse privato in atti d’ufficio. Però, se il marketing s’impunta nel sostenere che “questa cosa accadrà” (il successo commerciale di un determinato libro), in molti concorreranno a far sì che accada. Altrimenti non ti spiegheresti perché Fabio Fazio riesce a determinare la classifica dei best-seller fino a quando “Che tempo che fa” va in onda (tra l’altro, in più di un caso anche condivisibile, ci sono libri che nessun comune mortale si sognerebbe di comprare...). Un altro perfetto esempio di informazione virale via tubo catodico.

Insisto sulle idee perché è un argomento raramente affrontato. In “Brood - La covata malefica” David Cronenberg immaginava una donna la cui rabbia acquisiva fisicità, si manifestava concretamente nella forma di piccoli mostri assassini; il pianeta Solaris di Stanisław Lem concretizzava le persone amate dai protagonisti; un qualcosa di simile lo troviamo in “Sfera” di Michael Crichton. Perché ci fa così paura che un’idea prenda vita, tanto da usare questo espediente in storie fanta-horror?

ID Monster da "Il pianeta proibito"
ID Monster da "Il pianeta proibito"
L’idea che prende e vita è un’ipotesi realmente terrificante. E credo che sia, dal punto di vista freudiano, disturbante, per non dire devastante, nel profondo. Sono i mostri che abbiamo dentro, citando Giorgio Gaber. E la pia illusione dell’uomo civilizzato è ancora quella di tenerli sotto chiave, ignorandoli e fingendo che non esistano. Le cose in realtà non stanno così da quel bel giorno... L’idea circola nel cinema fantastico sin dagli anni Cinquanta, dai Mostri dell’Id de “Il pianeta proibito” e “Viaggio al settimo pianeta”, film che nella loro naïveté ti sbattevano in faccia quello che allora era il mostro interno più temuto, la paura del contagio atomico e della degenerazione della materia vivente. Oggi credo che questa figura ctonia che vuole riemergere dal corpo – proprio come fanno i nanerottoli di Brood – sia la malattia, quella con la “emme” maiuscola e con il nome impronunciabile, attivata da agenti esterni reali ma diffusa anche da meccanismi memetici (dall’aviaria a Fukushima, passando per l’infezione dei germogli tedeschi, il repertorio è vasto – e c’è pure chi, come lo scrittore Scott Sigler, si aggrappa a paure serpeggianti come la pseudo-malattia di Morgellons...) ed ecco così in qualche modo spiegata l’assurda e isterica reazione di massa che d’improvviso non ti fa neppure più mangiare il cetriolo dell’orto della tua vicina. Siamo all’assurdo in certi comportamenti collettivi, ma quel che cova sotto è proprio il volto di un’idea maligna che ti può prendere “dentro” e dal dentro uscirne fuori. Su questo fronte è ancora inarrivabile, anche sul piano della metafora che diviene Carne, il film “La cosa” di John Carpenter, negli anni Ottanta troppo in anticipo...

La terribile Sadako del romanzo “Ring” di Kôji Suzuki (tradito da tutte le versioni cinematografiche) fonde la propria essenza con il vaiolo: rabbia vendicativa che si trasmette con la fenomenale contagiosità di un virus spietato. In fondo la Sadako del romanzo, il cui corpo fisico giace in un pozzo oscuro, è un virus della mente: la si può accostare in qualche modo alla tua Melissa?

Lo prendo come un complimento. Ma giuro che ho iniziato a scrivere di Melissa ben prima dell’uscita in Italia di “Ring” che è datato 2003. Io cominciai a lavorarci nel 2000 dopo essermi fatto “contagiare” dal sito http://melissa1999, ma la verità è che certe idee circolano nella Sfera Pensante (per capirci...) in più versioni e in più menti. Lo studio delle dinamiche dell’immaginario collettivo è un file ancora da aprire... Peraltro trovo affascinante, nell’interscambio dinamico tra Forma e Sostanza, che queste idee siano virali anche nella loro diffusione. Più scrittori hanno la stessa idea più o meno nello stesso momento... Perché? È per la forza del contenuto virale di quell’idea specifica? Questa è una bella gatta da pelare.

Una delle più affascinanti materializzazioni di idee è quella del falso scrittore che sfugge al controllo del suo autore. Penso al George Stark de “La metà oscura” di Stephen King, ma soprattutto a Kilgore Trout: scrittore inventato da Kurt Vonnegut ma che poi nei successivi decenni acquisì vita propria grazie ad altre penne. È imminente l’uscita del romanzo da te curato, “Malapunta”, scritto da Morgan Perdinka. Cosa ci sai dire di questo autore?...

Esiste una risposta ufficiale per la quale ti allego la sua biografia come viene pubblicata nella quarta di “Malapunta”. Ovvero, Morgan Perdinka è nato nel 1950 a Roccagrimalda (Alessandria) ed è morto suicida a Milano il 10 dicembre del 2007. Ha iniziato a pubblicare romanzi e racconti alla fine degli anni Ottanta. Dalla metà del decennio successivo i suoi lavori hanno incontrato un successo di pubblico e di critica sempre crescente. La sua narrativa weird è un personalissimo mix di horror autoctono legato alle paure del territorio, di thriller-noir basato sulla rilettura o interpretazione di reali casi di cronaca nera, di suggestioni derivanti da moderne scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche, e di temi archetipici di stampo lovecraftiano. Numerosi eventi e altrettanti “segni” preludenti alla fine dei tempi, registratisi dopo la sua morte, ammantano la sua opera di una sinistra aura profetica. La sua vita, la sua opera e la sua morte misteriosa sono raccontati nel romanzo “L’estate di Montebuio” (Gargoyle, 2009)... E, okay, abbiamo fatto un po’ di pubblicità al libro.

Ma esiste anche una sin troppo facile risposta ufficiosa, quella che tutti dovrebbero conoscere per diventare parte del gioco... In realtà non è esattamente così,  ma qui non posso ancora sbilanciarmi. Posso anticipare che c’è una lunga, obbligata, prefazione scritta da Chiara Bordoni e da me, prima del libro vero e proprio. Un documento che s’intitola “Della magnificenza delle zone di confine” e che forse fa già parte – oppure no – del testo e nel quale proviamo a dimostrare che Perdinka è un Altro e da qualche parte esiste. E, certo, Perdinka è anche Danilo Arona, ma non solo... Be’, mettiamola così. Nelle zone di confine – tanta mia letteratura si dispiega in questi territori (Bassavilla, Linee Sincroniche, Schiena del Drago. Montebuio...) - certe fenomenologie sono possibili. Io e Morgan, gli pseudo-biblia, i doppelgänger... Il problema è che, se Chiara ha ragione, tutto è confine. E, se viviamo davvero in un’unica, mastodontica zona di confine – Zona Zero, per dirla con Sergione Altieri –, il rischio reale allora è che il meme prenda sul serio il potere e che si materializzi, ovunque e nell’identico istante. Un virus di quelle dimensioni ci sterminerebbe in un nanosecondo.