Mi chiamo Danilo Arona e credo di essere morbosamente attratto dalla paura. La mia, quella degli altri, quella che scaturisce energeticamente ogni giorno dai media, quella fittizia, quella ricreata da cinema e libri, quella che si prova sul lettino dell'analista quando scendi giù nel profondo. Il nostro è un pianeta fondato sulla paura collettiva e sul suo sfruttamento in quanto indotto: con la paura diamo forma e sostanza all'economia, alla cultura, alla religione e all'ateismo, alla medicina. La storia dell'umanità è materiata da paure. Tra vicini di casa e di nazione, tra i sessi, nei confronti dell'Altro e dei "diversi". Le malattie del corpo, dell'anima e della mente: paure. Gli esami che non finiscono mai: paure quotidiane di non essere all'altezza. Una ragazza troppo bella con la quale non ci hai neppure provato: paura pure questa, anche se sembra uno spot...

Viviamo immersi, ogni attimo della nostra vista, dentro un invisibile bagno di paura palpabile. Di questo scrivo, divertendomi. E ci riesco: a divertirmi, dico. Perché, con la gigantesca, immane cupola energetica di paura (intossicante spazzatura in forma larvale) che abbiamo creato "addosso" al pianeta e che a sua volta ricicla l'angoscia di chiunque, non ci resta che riderne. Scrivendone, almeno da parte mia. E, magari in una forma paradossalmente "fantastica", tentare di snocciolare qualche brandello di verità. La verità dietro la facciata, quella che più si teme. Di questo si nutre la mia vita, quella psichica che si tramuta in letteratura. Non si tratta di un esorcismo, ma di una presa di coscienza.

Tento di mantenere un buon rapporto con il cibo, anche se la paura ormai dilaga per colpa di pochi furbastri anche dentro il piatto e sulle tavole imbandite. I costi ogni ora più crescenti, la grande truffa dell'OGM e i veleni sempre più presenti negli alimenti: a questo sto attento, sempre più attento. Una volta mi piaceva molto mangiare, accompagnando con un bicchiere del buon vino che in Piemonte - dove vivo - non manca proprio. Spesso mi ci lasciavo pure andare: negli anni Settanta e Ottanta esistevano nutrite compagnie e amicizie (persino trans-politiche, rossi e neri uniti nel nome del bollito misto...) che si cementavano in nome di una grande bouffe catartica. Oggi assistiamo un po' tutti e un po' inerti al trionfo dell'individualismo sfrenato (pure qui, mi sa, è storia di paura...) e, causa il tramonto delle "tavolate" (che, forse nel mio caso, è anche una storia generazionale), mangio di meno e bevo di conseguenza.

Non cucino, non sono particolarmente goloso e preferisco il salato. Non ho piatti preferiti e di sicuro sono un caffeinomane, anche se poi di notte la pago... Una paura profonda, vibrante, anzi primaria, la provo tuttora nei confronti del gorgonzola e della maggior parte dei formaggi puzzolenti: colpa di un trauma che mi sono beccato a sei-sette anni di età in terra piacentina (per la precisione, frazione Castagnara di Pietra de Giorgi), dove in una casa colonica vidi un gigantesco blob informe e maleodorante - oserei dire, lovecraftiano - venirmi contro, strisciando sul pavimento e sulla base d'appoggio della carta oleata... Si trattava di un grosso pezzo di gorgonzola, animato dai vermi che lì vanno per la maggiore. Una volta Vittorio Curtoni mi confessò di esserne ghiotto (dei vermi).

Il mio corpo, dato che nel 2008 avrò 58 anni, non si trova più al centro delle mie attenzioni. Un jeans e via, ma con un occhio a quel minimo di "diversità" che deve contraddistinguere un chitarrista rock (ci gioco ancora, perché la musica è stata la mia prima ossessione, e oggi è solo scesa al secondo posto...). Mi concedo, quando posso, un bel bagno rilassante in estratti di pianta (non da fumare). Insomma, sostanzialmente, gli voglio bene (al corpo, intendo...).

Vivo e lavoro in Alessandria, dove sono nato nel 1950. Giorno 28 maggio, del segno dei Gemelli (e, infatti, Gemini Killer di Blatty è uno dei libri horror che ancora oggi preferisco...). Alessandria è Bassavilla, per capirci: il "nom de plume" è funzionale alla trasfigurazione fantastica (qualcuno sostiene che si tratta di una ridicola forma di provincialismo - si vede che non ha mai letto un certo scrittore del Maine che ambienta parecchie sue storie a Castle Rock...). E' una città che conosco nei suoi aspetti più nascosti. Purtroppo sta cambiando troppo velocemente e sta diventando un'altra cosa... più aliena, meno nostra. Gli alessandrini puri sono ormai pochissimi: mi dicono 12.000 su una popolazione di quasi 100.000.

E' un mondo che sta scomparendo - proprio quella vecchia Alessandria da cui ho attinto un sacco di leggende e di storie, qualcuna ambientata sulle sponde del Tanaro. Se ne va lentamente, con sorniona autoironia da par suo, e la mia generazione se ne va con lei. Non c'è proprio nulla da fare, nulla per opporvisi: i vecchi sopravvissuti, quelli che parlano ancora il nostro straordinario dialetto (quelli che uno scrittore come Giorgio Bona tenta di mantenere vivi e vitali nel suo mondo poetico), scrollano la testa e dicono con rassegnata amarezza che non c'è più nessuno in giro con cui condividere e discutere la filofofia del "cü sgarà" (alla lettera, "culo sprecato", sottigliezza mandrogna che si riferisce alle signorine racchie, ma dotate di favolosi fondi schiena isolabili dal resto...). Un'altra città importante, quasi una sorta di seconda patria per la quale provo tuttora una sorta di spleen, è Genova, dove ho studiato per cinque anni, dal '70 al '75. Anche lei è molto cambiata, ma ogni volta che ci ritorno, ritrovo la sua anima. In parte ci ho ambientato Black Magic Woman. Ad Alessandria e a Genova, come ovunque in realtà, mi piace camminare, e a lungo.
Solo così, marciando e metabolizzando gli input esterni, lo spirito della città entra in te... E, poi, sono un mezzosangue ligure, per via di discendenze varie. Senza dubbio, tra mare e montagna, scelgo il mare: mi piace la vita un po' frivola che si conduce al mare, anche perché - quando mi ci trovo in vacanza - leggo un sacco, mangio pesce, sbircio "cü a mandulén" incorniciati da eccitanti perizoma, nuoto, suono, mi abbronzo... Insomma, il necessario cazzeggio per decomprimere le sinaspsi, negli ultimi anni sottoposte a infame violenza per colpa della scrittura.

Già, la scrittura... Ormai divenuta il primo amore. Non mi pare di seguire particolari rituali quando mi ci dedico. Sono anarchico, ogni momento è buono. E, se il pc non si trova nelle vicinanze, vanno bene anche carta e biro. Per me il computer è una macchina da scrivere con lo schermo, però la rete è divertente. E utilissima per rapporti umani e di lavoro. Sostanzialmente a livello informatico sono un tremendo imbranato e francamente avrei bisogno di uno sciamano programmatore personale, ma neppure pagandolo lo trovo. Amo scrivere e, se mi arrivano le idee e la forma fisica giusta, posso andare avanti ininterrottamente per 7-8 ore. E' quasi una sorta di trance nella quale non sono proprio certo di essere io a governare la situazione: mi arrivano idee, immagini, appunto visioni, e più d'una volta mi è successo di scrivere cose - per quel che mi riguarda, del tutto immaginate - che poi si sono materializzate nella cronaca a venire. Potrei fare degli esempi, ma con il senno del poi nessuno sarebbe disposto a credere che ne ho scritto prima... Ci sono in giro due romanzi che vedranno la luce nel 2008 e nel 2009 che hanno dentro queste visioni: se si avverano, poi per forza la gente dovrà dire che ho copiato dalla cronaca.

Ma non è così: due curatori editoriali in Italia ne potranno dare conferma... Però è meglio che certe pseudo-previsioni non abbiano mai ad avverarsi: sono troppo brutte.

Non so che sia la "pagina bianca". Ho la fortuna - sarà per la schizofrenia insita nel mio segno zodiacale "doppio" - di poter condividere all'interno di me stesso tanto la dimensione saggistica che quella narrativa. Se il giorno tale non mi arriva nulla dal magazzino delle idee per l'invenzione letteraria (succede, anche se non spessissimo), mi rifugio in una recensione, un articolo, un saggio, in una "cronaca di Bassavilla", in una prefazione... Su questo fronte, le richieste non mancano. In ogni caso, rispetto sempre le scadenze editoriali: ho la sindrome del "buon soldato" e, se è il caso, sto alzato la notte o salto i pasti. Solo nei primi anni Ottanta, "bucai" più volte l'editore Armenia con mancate consegne per una rivista che si chiamava Gli Arcani. Questione di sesso sfrenato (bel periodo, mannaggia...), sulla quale stenderei un signorile velo non pietoso. La scrittura ci rimise... vorrei un po' vedere. Anche perché - ancora oggi - la scrittura è importante, ma non è tutto. C'è dell'Altro nella vita (lo scrivo maiuscolo) ed è necessario talvolta staccare per vivere, lasciar andare avanti l'istinto, abbandonarsi alle stupidaggini... Ho ancora un sacco di amici, nonostante l'individualismo dilagante cui accennavo prima: quando mi sono sposato con Fabienne, c'erano 500 persone (450 amici, 50 imboscati...) e mi reputo tra quelli che hanno la fortuna di possedere una congrua lista di persone cui telefonare alle 5 del mattino, se per caso mi trovo nei guai o devo parlare dei cazzi miei. Citando un antico disco di Celentano, "quando mi guardo allo specchio sono un simpatico" e di certo mi reputo capace di stare in un gruppo, soprattutto per l'autodisciplina del musicista: oggi suono con i Western Comfort, un gruppo rock "west coast" di sei persone... sono l'ultimo arrivato e accetto con gioia i compiti da fare. La musica e il palco... grandi scuole di vita.

C'è un sacco di gente che mi è cara. Intanto verifico un buffo particolare, che non so se sia vero soltanto per me, che quando arrivi a quest'età - puro riscontro anagrafico, non mi sono assolutamente vecchio -, scopri di essere affettivamente legato a tutte le "morose" che mi sono transitate nei paraggi. Boh, sarà la terza età... Poi, al di là degli affetti canonici (i genitori, mia moglie, insomma, quelli di tutti o, perlomeno, di tutti quelli che hanno la fortuna di averli...), ribadisco la preziosa bellezza dell'amicizia. Nel 2006 ho attraversato un pessimo momento, scoprendo tramite un'analisi di routine di essermi preso l'epatite C: una bella botta al morale per uno che in vita sua non ha mai fatto un ago, neppure di antidolorifico. Mi sono curato, ne sono uscito (e, per inciso, la testimonianza letteraria di quegli otto mesi non proprio piacevoli è proprio Melissa Parker e l'incendio perfetto, che è la storia di un fantasma virale che infetta la realtà e si replica proprio come fanno i virus "normali"...) e l'esperienza, utilissima devo dire, mi ha fatto riscoprire - e discriminare - le vere amicizie e quelle di facciata. Forse tutto ciò è un po' banale, lo ammetto, però la gente di fronte ai malati - soprattutto coloro che cambiano aspetto per colpa della malattia e/o della terapia - scappa... E' così, e anch'io qualche volta forse sono fuggito. Bene, mia moglie a parte, confesso ancora una volta l'esistenza di quest'appagante quantità di amici (e di amiche - ah, che belle che sono le amicizie tra uomo e donna, soprattutto quando sguazzano nell'ambiguità consapevolmente vissuta...) che hanno fatto a gara per darmi una mano, nei modi a volte più impensati. E' stata, a suo modo, una bella lezione, che mi ha reso, spero, più disponibile nei confronti del prossimo. E poi quando ti fai un amico "vero" nel bosco editoriale, è un'altra bella storia: Edoardo Rosati, Sergio Altieri, la Catellona di Roma (Daniela Catelli, ma ne dico tre a rappresentanza di tutti gli altri che sono molti di più di questi magnifici tre)... con costoro interagirei indipendentemente dal loro ruolo e mestiere.
Per come sono "dentro", perché l'amicizia non intrattiene alcun rapporto con i mestieri, il gioco delle parti, o il fatto che uno sia uno scrittore e l'altro un editor...

Il passato è importantissimo. Per tutti, anche per chi sostiene il contrario. E' un concetto che ribadisco con forza in quest'epoca di revisionismi e false memorie. E lo è, soprattutto per chi scrive thriller e horror, perché sovente questi generi usano come "sottotesto" narrativo proprio lo scontro culturale tra passato e presente, vedi King e un sacco di altri americani (McCammon!), ma anche parecchi italiani. Io dal passato e dal rapporto con i "vecchi" che riescono a conservarne lucida memoria traggo idee e ispirazioni: un mio "personaggio" che forse avrebbe meritato maggior attenzione (Pippo, l'aereo disturbatore della seconda guerra mondiale a cui ho dedicato Il vento urla Mary) arriva totalmente da lì... dai racconti di mia madre e da altre persone di quella generazione, le cui notti erano scandite dalla presenza terrorizzante di Pippo (o Pipetto), che assolveva alla missione - quanto mai "gotica"- di tenere sveglia una nazione... Pura paura. I miei nonni li ho conosciuti e me li sono goduti. Il padre di mio padre, una volta, mi portò per funghi nell'entroterra ligure e si perdette: fummo salvati dai pompieri, bloccati su uno strapiombo... Il padre di mio padre, in realtà, non era il "vero" padre, ma una sorta di patrigno dolcissimo. Il mio vero nonno fuggì di casa all'inizio degli anni Trenta, abbandonando mia nonna e le sue due figlie. Lo scoprirono alcuni anni dopo, in Lombardia, dove si era rifatto una vita e una seconda famiglia con altre tre figlie. Lo arrestarono, dal momento che esisteva una denuncia per abbandono del tetto coniugale, e durante le indagini saltò fuori una terza famiglia a Napoli con ancora tre figlie. Sempre femmine, un seme fatale! Lo accusarono di "trigamìa" e ne scaturì un processo piuttosto famoso per quegli anni: mi hanno raccontato persino di una copertina dedicata al fatto e al personaggio pubblicata su La Domenica del Corriere, dove tre donne puntano il dito accusatore contro un uomo chiuso nel gabbiotto dentro una gremita aula di tribunale... Lui si fingeva smemorato e non riconosceva nessuna delle tre... Questo era mio nonno e non mi dispiacerebbe scriverci un libro, anche perché la storia continuò ancora alla grande: lo condannarono, finì in galera, scappò dal carcere in tempo di guerra e raggiunse, chissà come, l'Argentina.

Mi ricordo di un concitatissimo giorno degli anni Cinquanta, in cui giunse dall'America Latina una lettera indirizzata a mia nonna (allora si viveva tutti assieme...), nella quale quell'incredibile faccia di bronzo pregava la sua seconda ex-moglie di raggiungerlo in Argentina perché "era stata la vera, unica donna della sua vita"... Fantastico! E nel mio DNA girano i suoi geni...

La morte non mi fa paura. Anche perché credo nella reincarnazione. Ci credo perché ho toccato con mano: senza dilungarmi (perché non posso...), nella mia precedente vita sono stato un commerciante di stoffe, in qualche nazione non meglio specificata del medio Oriente e nella prima metà del secolo scorso, morto a cinquant'anni per consunzione sessuale. Andai a defungere in riva al mare - ecco perché mi piace ancora tanto - in preda a una devastante sindrome priapica... Uno dice: comunque una bella vita... Perché non conosce la precedente ancora, ovvero la penultima... Tutto il contrario, una sfiga cosmica: guardiano di capre in una solitaria isola delle Cicladi, morto giovanissimo - pare - causa una rivolta delle capre stesse che mi hanno scaraventato in mare, caricandomi in gruppo, stufe di essere molestate sessualmente... C'è poco da ridere. La malattia ovviamente mi fa paura, come fa paura a tutti. In ogni caso tento di vivere il meglio possibile: in pace con me stesso e senza pensarci troppo, ma il mondo purtroppo sta diventando un luogo senza pace.

Il sonno, il sogno, gli incubi... sono importanti, e spesso sono oggetto dei miei scritti. Perché Vien di notte l'Uomo Nero, come recita il titolo di un mio libro su Stephen King.

In realtà dormo poco, perché mi sento sempre il cervello in ebollizione, soprattutto quando devo "quagliare" una trama. Sogno sempre e quasi sempre non ricordo (per fortuna, forse...). Alcuni anni fa usavo un medicinale ayurvedico per migliorare la qualità del sonno: su di me quelle pastiglie avevano un effetto strano, ovvero sognavo catastrofi terribili, conservandone il ricordo ad libitum. Ho smesso perché al risveglio, che non è mai un bel momento, mi sentivo un po' provato... Il risveglio è un momento desolante e, rubando la battuta a Andrew Masterson, è la prova della presenza del Male nel mondo. Metto la sveglia mezz'ora prima perché mezz'ora è esattamente il tempo che mi ci va per connettermi con il reale quotidiano: poi scendo dal letto, colazione, Tiggì, doccia... Non è proprio il massimo, c'è di meglio, lo so bene. Ma questa, nelle sue tremende fasi iniziali, temo sia la vita di quasi tutti.

Io non vivo di scrittura. Ma mi risulta che si può viverne, perché ne conosco diversi che ci campano. Faccio l'imprenditore, lavoro in proprio, con mia moglie e mia cognata. Però sono anche giornalista pubblicista. E musicista. L'emolumento e il nutrimento mi arrivano dall'imprenditoria... So che qualcuno, romanticamente legato all'idea dello scrittore un po' "maudit", ci resterà deluso. Però un dato di fatto è che io con la scrittura ho un approccio professionale. Scrivo tutti i giorni, poco o tanto, dipende dalle circostanze ambientali. E in queste condizioni riesco a essere - così raccontano i miei recensori - celere e prolifico. Sono arrivato a scrivere perché nell'estate del 1961 ho scoperto in una vecchia casa dove abitava un mio zio prete sull'Appennino Ligure, a Montemaggio di Savignone, una gigantesca macchina da scrivere di marca Continental con una pila di fogli ingialliti accanto... Aspettava me, credo. Ho cominciato a giocarci ed è nata la mia prima bozza di racconto che s'intitolava Nelle fauci del mostro. In quell'occasione è successo qualcosa di strano, forse di soprannaturale: un evento che, per essere descritto, necessita di un certo numero di pagine... Non è improbabile che quanto prima ci scriva su un racconto. Però è di certo qualcosa di anomalo... una serie di eventi che sembrano una versione infantile di La metà oscura di King.

Se il mio percorso può definirsi "carriera" (ad altri la sentenza...), qualcuno da ringraziare esiste: da Vittorio Curtoni a Franco La Polla, da Marco Tropea a Edo Rosati, da Raffaella Catalano a Luigi Bernardi, da Valerio Evangelisti a Giuseppe Genna, da Piergiorgio Nicolazzini a Sergio Altieri.

I ricordi belli sulla strada di uno scrittore sono, a parere mio, quelli che precedono immediatamente l'uscita di una tua opera: l'editing, la creazione della copertina, il lettering, le frasi di lancio sulle ali o sulla quarta... E' una bella sensazione, tipo i sintomi del pre-parto. Ci sono state anche delle incomprensioni, di sicuro: se si lavora in team, può capitare. Io presumo di avere un buon carattere e, se posso, lascio perdere... ma ho constatato a più riprese che in editoria girano dei "caratteracci", come dicono in Toscana, "fumini". A Bassavilla siamo più sornioni e, se possibile, la buttiamo in burla. Rimpianti? No. Ma i rimpianti, in genere, non stanno nel mio DNA. Tranne che per un paio di tipe, ma queste sono altre storie. E, nei casi in questione sono il vero, unico colpevole.

Dalla Terra farei sparire quelli che in certa letteratura chiamansi "Agenti del Male". Perché credo - rubando la frase a Tullio Avoledo - di far parte della grande famiglia dei Rabdomanti del Male. Lui, nella prefazione a un libro di Binaghi, ha usato un'immagine bellissima, quella del Male (maiuscolo...) come un fiume sotterraneo, non visibile quindi sulla crosta del Reale, che scorre nascosto ai nostri occhi e del quale i "Rabdomanti" riescono a percepire il rumore, le vibrazioni. Forse questo è anche in grado di spiegare la faccenda delle premonizioni in letteratura... Moderni Van Helsing che, invece dell'acqua santa e del picco di frassino, usano le parole e la carta. Non è facile scoprire i Rabdomanti, ma gli Agenti sì, perché - come i Demoni Meridiani di Roger Caillois - agiscono sempre alla luce del sole, ben consapevoli che è una luce che occulta e che confonde. Costoro dovrebbero sparire. Ma è un sogno, forse... Esiste una logica anche alla loro presenza sul pianeta.

Io però non vorrei sparire, nel senso dell'invisibilità... Intanto perché è una condizione "da morto" e, in qualche modo, ci passiamo tutti quando arriva la Grande Vecchia. E, per essere un vero uomo invisibile, bisogna girare nudi, altrimenti il "trucco" non funziona.

E, nelle lande di Bassavilla, se è la stagione sbagliata, fa un freddo becco.

Non coltivo nessun passatempo, perché considero tutto un passatempo. I miei lavori, la scrittura, la musica, mia moglie: con loro mi rilasso e mi godo la vita, anche... Secondo me è la chiave giusta per non alienarsi: lo consiglio a tutti. Infatti non so che sia la depressione, non l'ho mai conosciuta nemmeno nei lunghi mesi di terapia interferonica, quando mi curavo per l'epatite. Il sesso pure... Nella hit-parade dei passatempi dovrebbe stare al primo posto. E l'erotismo dovrebbe dispiegarsi in ogni momento della nostra vita e su ogni centimetro della nostra pelle, con il logico e previo accordo della controparte. Uso il condizionale, va da sé: se vai in banca a chiedere un mutuo e dall'altra parte della scrivanìa c'è un direttore di filiale che sembra Bela Lugosi, mi sa che non c'è spazio per l'erotismo... che però è e resta importantissimo, soprattutto per chi scrive di paura. Erotismo e terrore sono quasi sempre inscindibili. Al cinema lo hanno insegnato grandi maestri: Bunuel, Hitchcock, De Palma... Sulla carta è un po' più difficile. Ed è un terreno sul quale pochi in Italia riescono ad avventurarsi. Claudia Salvatori, una donna che non ha paura di niente e di nessuno, lo ha fatto e con risultari straordinari. Forse lo scandalo, quello autentico, potrebbe essere una delle vie di fuga del noir contemporaneo, sempre più stereotipato. E forse anche dell'horror.

Danilo Arona, classe 1950, giornalista, scrittore, musicista, ma anche ricercatore sul campo di "storie ai confini della realtà", critico cinematografico e letterario, instancabile "nomade" editoriale e forse qualcos'altro su cui si può tranquillamente sorvolare. Al suo attivo: un incalcolabile numero di articoli disseminati qua e là tra giornali locali (Il Piccolo di Alessandria, Notes, La Stampa e La Guida della Notte, creazione del compianto Nico Seminerio) e riviste varie (Robot, Aliens, Cinema&Cinema, Focus, Primo Piano, Carmilla, HorrorMania e Il Corsaro Nero); saggi sul cinema horror e fantastico (Guida al fantacinema, Guida al cinema horror, Nuova guida al fantacinema - La maschera, la carne, il contagio, Vien di notte l'Uomo Nero - Il cinema di Stephen King e Wes Craven - Il buio oltre la siepe) e saggi sul Lato Oscuro della Realtà (Tutte storie, Satana ti vuole e Possessione mediatica). Da anni si dedica stabilmente alla narrativa, elaborando un personale concetto di horror italiano, legato alle paure del territorio, forse in grado di dimostrare che la nostra solare penisola è uno dei più vasti contenitori mitologici del pianeta: ormai decine sono i titoli dei suoi romanzi, che potete visionare alla sezione "Libri". Nel campo della narrativa breve, numerosissime sono le sue partecipazioni alle più prestigiose, e innovative, antologie degli ultimi anni: L'hotel dei cuori spezzati, Spettri metropolitani, Jubilaeum, In fondo al nero, 14 colpi al cuore, Duri a morire, ALIA - l'arcipelago del fantastico, Se l'Italia, Le tre bocche del Drago, Anime nere, Borsalino - un diavolo per cappello, Colpi di testa e Tutto il nero del Piemonte. E suoi interventi sono reperibili in diversi lavori critici a più mani quali Note di paura (Granata Press), La congiura degli Hitchcockiani (Falsopiano), L'esorcista - 25 anni dopo di Daniela Catelli (PuntoZero), Il cinema degli alieni di Roy Menarini (Falsopiano), 2001 odissea dell'uomo (Besa), Le nuove leggende metropolitane (Avverbi) e Contact! Tutti i film su UFO e alieni (Corrado Tedeschi Editore). Collabora, quando può, alle riviste online Carmilla diretta da Valerio Evangelisti e a Horror.IT di Andrea G. Colombo. E' stato membro, con Marco Tropea e Laura Grimaldi, del Comitato Scientifico di ChiaroScuro - Tutti i colori del libro, il primo festival di letteratura italiano che si è tenuto per sette indimenticabili anni in Asti, ed è oggi parte attiva delle due iniziative alessandrine Equi-Libri (rassegna multimediale e itinerante di musica, libri e altro), coordinata da Enzo Macrì e Angelo Marenzana, e Brivido Café, partnership fra Studio 60 e la casa editrice Il Molo di Viareggio.