È una Bologna notturna quella che ci racconta Marilù Oliva in ¡Tú la pagarás!, una città enigmatica che comincia a muoversi quando cala il buio, fatta di ballerini, di donne conturbanti, di gemelli insidiosi. Può accadere di tutto, dopo una notte di salsa, perfino che il barista cubano Thomàs venga ucciso nel modo più impressionante. E se poi Thomàs era il fidanzato della Guerrera, risulta quasi matematico che lei sia la prima sospettata. Già perché lui era un inguaribile sciupafemmine, machista, traditore. Scatta così il meccanismo delle indagini, indagini che – si badi – rispettano i confini del noir, non prendono il sopravvento pur restando sempre in primo piano, si allineano agli eventi, si intersecano con personaggi rubati alla realtà, sempre imperfetti, viziosi, umanamente intriganti. La Guerrera, la protagonista femminile, è un’antieroina eccezionale, una dura per scelta, vera guerriera di capoeira – anche se poi non vince ogni volta che compete, ma la vittoria, si sa, non è sempre una conclusione esteriore – col suo corpo femminile ma non bellissimo, con la sua maniera poco diplomatica, scanzonata e dispettosa di rapportarsi alla vita. Di giorno lavora in una specie di redazione che assomiglia più a una topaia e il suo direttore è il prototipo dei direttori iracondi: urla, bestemmia, sfrutta i dipendenti. Che poi dipendenti sono solo virtualmente, perché nessuno ha uno straccio di contratto e tutti vengono pagati in nero. Questo è uno dei tanti aspetti belli del romanzo: si parla di tematiche sociali scottanti, attuali, dolorose. Come il precariato, lo sfruttamento, la superficialità dilagante. E lo si fa sottovoce, senza esibizioni. A volte con ironia pungente.

C’è poi Dante Alighieri e la sua Commedia pregna di significati, che accorre in aiuto della Guerrera come una pacca sulla spalla nel momento giust. Perché lei è stata obbligata a impararlo a memoria, ed ha fatto prima di necessità virtù poi di necessità amore totale.

C’è poi un discorso ricco di spunti, spiritualità versus materialismo. L’amica del cuore-coinquilina della Guerrera, Catalina, è una cartomante: «un po' sorella, un po' prestigiatrice. Una camarà, compagna di appartamento e di imprese cameratesche». Le due discutono sulla vita, sull’ultraterreno, si punzecchiano, si confutano, non arrivano mai a una conclusione. Ma l’autrice vuole solo presentare due punti di vista differenti, non elargire verità assolute. Molto interessanti le citazioni sulle divinità orishas, i santi-dei cubani e sulla loro ritualità. Si scoprirà un mondo inedito e, contro ogni aspettativa, perfino vicino a noi. Tra l’altro va un plauso alla casa editrice, Elliot Edizioni, per la notevole copertina azzurro-cielo, dove è raffigurata appunto Yemayà, «la dea madre che regna sulle acque degli oceani, dei mari e dei fiumi. È una dea amorevole e compassionevole, allegra e sanguigna ed ama la buona compagnia. Le piace cacciare e maneggiare il machete. È indomabile e astuta, se adirata può diventare tremenda come la furia del mare».

Come già nel precedente romanzo, Repetita (Perdisa, 2009), Marilù Oliva ha superato la prova più difficile: conquistare il lettore, la sua empatia, trascinarlo senza sconti nel pieno della narrazione, nel fiume nero e ritmato che attraversa le pagine, nelle sonorità cubane, negli slang delle Antille. Con uno stile paragonato da più di un critico a quello di Amélie Nothomb, questa giovane scrittrice ci fa assaporare sacro e profano alternando toni bassi a momenti quasi poetici ad altri che rasentano il realismo magico (e qui svela la sua passione per Gabriel García Márquez, sul quale ha scritto un saggio per Clueb).

Chi legge è sedotto, non c’è scampo. Quest’attrazione verso la narrazione avviene di fronte a qualunque scena: non importa che sia un’autopsia (attenzione alle persone impressionabili!), un combattimento di capoeira, o la descrizione di una liturgia religiosa cubana: voi siete lì, dentro al libro, un’ombra curiosa dietro la Guerrera, e il cuore vi batte insieme a lei.

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