Credo di aver letto per la prima volta Salgari quando avevo otto anni. Riviera ligure, vacanze estive. Me lo regalò mia madre, felice di aver ritrovato in un’edizione Salani (quella che pubblicava anche ‘La Primula Rossa’ della baronessa Orczy e, sì, anche Liala) un romanzo che l’aveva appassionata da ragazzina. Era ‘Jolanda la Figlia del Corsaro Nero’. Aveva una magnifica copertina illustrata con uno stile che oggi è superato ma, all’epoca, ti sparava in faccia ‘sta moracciona con veli pizzi e uno spadone in pugno. Prima di leggerlo, il romanzo fu vagliato appunto da mia madre che, rassicurata che non c’era nulla di sconveniente, mi incoraggiò a scoprire questo autore. Il motivo di tale preventiva censura un po’ mi sfugge visto che non capivo perché mia madre avesse potuto leggerlo più o meno alla mia età (poco prima della guerra) e io... però si sa come son protettive le mamme d’Italia e poi il fatto che le ragazze siano ‘più mature dei maschietti’ è una fola alimentata appunto dalle medesime anche in età adulta, quando diventano educatrici... scherzi a parte fu un buon consiglio. Io già leggevo parecchio ma soprattutto i fumetti del Corrierino e i Bonelli. I romanzi per ragazzi, come si dice, non mi soddisfacevano, a parte forse London che, a dirla tutta, per ragazzi non era. Scoprire l’universo tropicale, traboccante di passioni anche solo accennate e sottintese, di luoghi e vegetazione dai nomi impronunciabili fu una folgorazione. Il ‘colpo del cartoccio’, i paletuvieri, cannibali, il suono del Ramsinga e pirati, daiaky e caribi... in breve divenni quello che in Francia si definisce un “mordu” della narrativa salgariana. In poco più di tre anni credo di aver letto sui 90 romanzi dell’autore veronese almeno una cinquantina di titoli. Di certo tutti i cicli malesi e dei pirati ma anche moltissimi romanzi sciolti da ‘La favorita del Madhi’ alla ‘Montagna di Luce’, ‘Capitan Tempesta’, ‘Le Pantere di Algeri’ e ovviamente il ciclo del West, quello delle Filippine oltre all’indimenticabile ‘La capitana dello Yucatan’. I romanzi sull’Asia come ho avuto modo di spiegare in ‘E nel cielo nuvole come draghi’ influenzarono moltissimo il mio immaginario e la mia propensione per l’Avventura sognata, vissuta e scritta. Una passione, quella salgariana, che attraversava un momento di felice riproposta editoriale. Ricordo a quell’epoca decine di edizioni diverse, alcune tagliate altre integrali dei romanzi di Salgari. Di certo i più belli erano quelli della collezione in cofanetto curata da Mario Spagnol per Mondadori ma c’erano anche i Fabbri con quel taglio, popolare, nel prezzo e nelle immagini, i Mursia e di cento altri editori che parevano aver scoperto che dalla biblioteca salgariana poteva nascere una quasi inesauribile sorgente per soddisfare la sete di avventure di ragazzini come me. Non leggevo solo Salgari, certo, anche perché dopo aver divorato tutto quello che c’era la mia richiesta di emozioni scritte era aumentata in maniera esponenziale. E il fatto che Salgari avesse così tanti filoni da proporre mi spingeva in varie direzioni. Scoprii i romanzi Western, quelli ‘pocket’ delle edizioni Longanesi in edicola ma anche quelli di Mino Milani (La serie ‘Tommy River’, pubblicata da Mursia) approdando poi a Segretissimo, a James Bond che, negli anni del passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza, mi parevano un perfetto proseguimento di quel tipo di avventura esotica che Salgari mi aveva schiuso. E, periodicamente il buon Emilio tornava a inserirsi nella mia collezione di sogni. Lo sceneggiato di Sollima con Kabir Bedi arrivò in un momento in cui già ero passato a letture più adulte ma mi indusse a riprendere in mano almeno il ciclo malese e, grazie alle coreografie del maestro Iwao Yoshioka a scoprire il Karate come forma di avventura ‘vissuta’. La passione marziale, i viaggi e le fotografie in Asia sono storia parallela della mia vita e formazione di cui certo siete al corrente, ma nascono da quelle pagine e da quelle emozioni. I miei primissimi tentativi narrativi (a mano su quaderni, forse addirittura non completi...) furono storie salgariane... e nel corso della mia carriera ho sempre accarezzato l’idea di scrivere non un ‘pastiche’ ma una mia versione di quel mondo. Un riflesso di ciò che avevo letto confrontato con esperienze personali e mescolato con altre letture che negli anni si erano avvicendate senza mai cancellare ciò che era venuto prima. Dopotutto ‘Pista cieca’ era una grande avventura nel Borneo con tanto di cacciatori di teste e piratesse... Fu però nel ’96 che ebbi l’occasione di pubblicare il mio primo romanzo salgariano. Uscì in Segretissimo. ‘Il Sogno della Tigre’ era una rivisitazione delle ‘Tigri di Mompracem’ in salsa moderna(ovviamente fui costretto a firmarlo con uno dei miei pseudonimi). Sandokan diventa Shen Tao Kan e al suo fianco trovavamo una fanciulla, Cruz Gomera, figlia di un suo vecchio amico. Però c’era un discendente di Lord Brooke che per estrarre il petrolio dal Kalimantan bruciava le foreste. Ero fresco di un viaggio in Malesia e nel Sarawak dove, con pochi avventurosi compagni, seguimmo controcorrente il fiume Skrang fermandoci a dormire nelle longhhouse dei daiaky Iban. Una piccola avventura che ho impressa nella menta assieme all’odore dell’Asia, alle immagini delle strade di malacca e Penang, alle dimostrazioni di Silat e molte altre cose viste nel corso del tempo. Rispetto alla serie del ‘Professionista’ risultò forse meno gradito al pubblico della collana ai tempi molto rigoroso nel format, ma ricordo che fui contattato da Felice Pozzo ancora oggi un attivo studioso salgariano che mi chiedeva un seguito. Preferii un paio d’anni dopo nel 1998 a cento anni dall’uscita del ‘Corsaro Nero’ pubblicarne una versione fantascientifica ‘I predatori di Gondwana’ che fu presentato anche a un convegno salgariano a Firenze. In questo caso c’era tutto il mio immaginario fantascientifico (che ammetto è più cinematografico e ludico che letterario) mescolato con una trama che riproponeva esattamente quella del ‘Corsaro Nero’ e dei romanzi del suo ciclo con tanto di assalto a Maracaibo. Mancava ancora qualcosa... In realtà con l’avventura pura mi ero già cimentato con due romanzi usciti per Piemme e che ricordo ancora con molto piacere. ‘Il cavaliere del vento’ ebbe un’edizione tedesca e una ristampa... ‘Inferno verde’, invece, subì una sorte poco invidiabile. Gli cambiarono il titolo in ‘Quarto Reich’, copertina stile Mein Kampf e un editing da far paura. Stava cambiano il direttore editoriale e se piantavo troppe grane rischiavo di non uscire. Così la spuntai sul testo (che poi era la cosa più importante) ma non sul titolo e la cover. Ritengo il romanzo uno dei miei più riusciti nel campo dell’avventura. Lo spirito, però, è molto ‘prattiano’.Ha avuto un seguito che è stato pubblicato su Segretissimo ‘Il sogno dello squalo’ E chissà magari un giorno vedrò di riprenderlo con lo spirito con cui volevamo rifarlo in Alacràn (quando ancora era un editore sotto la guida di Kappy) con il titolo ‘Il tatuaggio di sabbia’. Ora da molto tempo stava germinando dentro di me la voglia di scrivere un bel racconto d’avventura classica, ottocentesca, con una ricostruzione accurata di luoghi e atmosfere. Viaggiando per diversi anni in Asia avevo raccolto molto materiale e l’idea di legare la saga del Professionista a un lontano passato mi piaceva. Lavoro comune complesso perché la ricostruzione dell’Asia del 1850 non era comunque cosa da poco e richiedeva una serie di ricerche alcune sul campo, altre su testi che necessitavano impegno. Insomma un lavoro difficile da intraprendere se non motivati da una possibilità di pubblicazione. Questa si profilò, sfortunatamente, con un editore del gruppo per cui lavoravo nel 2007. Parlai con l’editor, gli sottoposti una dettagliata sinossi e feci una prova. Ci accordammo con l’impegno da parte mia di... allungare un po’ i tempi, inserendo annotazioni che nella formula Segretissimo e con i ritmi del noir moderno non mi erano permessi. Di fatto ero d’accordo. All’epoca andavano bene sia la trama che i carattere del protagonista. Mi chiedo, a volte se insistere sull’argomento sia davvero utile e, adesso che ho il volume Scudo ben realizzato illustrato non sia inutile. No, per la verità non lo è. Come dice il mio amico K noi facciamo ‘editoria di guerriglia’ ed è giusto che le cose si sappiano. E anche questa disavventura fa parte...della lotta. Non ho niente da nascondere, anzi a volte sono convinto che difficoltà e ingiustizie ( che l’autore vive sempre come tali pur ammettendo che l’obiettività non può essere totale...). Nel corso dello stesso anno misi termine al mio rapporto di lavoro con il gruppo editoriale. Dopotutto erano due che mi rompevano l’anima in tutti i modi perché ero diventato inutile come consulente esterno ma, dall’esterno, doveva sembrare che fossi io a mollare. Il destino del mio romanzo e la mia figura di editor esterno per un’altra casa del gruppo non avrebbero dovuto toccarsi. Però la collana che pubblicava le ristampe del Professionista e altre cose mie(‘Ora zero’ e‘Sole di fuoco’ giusto perché capiate a chi mi riferisco) smise di pubblicare le mie cose, salvo quelle già acquisite. Quando cercai di consegnare ‘L’Orchidea’ l’editor che me l’aveva commissionata e firmato il contrato... non si faceva trovare. Alla fine glielo consegnai di persona dopo una lunga ‘posta’ e mi rispose: ‘Lo leggerò’ mettendolo in un angolo. Inutile dire che non ero molto speranzoso sulla buona fortuna del progetto. Avevo lasciato il gruppo da più di un anno e dopo i 60 giorni stabiliti dal contratto per rifiutare l’opera (non per accettarla, cosa che si dava per scontata trascorso senza rifiuti questo termine di tempo... avrebbero dovuto pagare anche la seconda tranche dell’anticipo...) l’editore non si fece più sentire. Ne trascorsero altri 60 e a una mia richiesta di precisazioni mi disse che aveva letto 50 pagine ma che si aspettava ‘un romanzo diverso, che il personaggio era troppo volitivo e deciso, invece gli sarebbe piaciuto un eroe-anti eroe (come a dire un Commissario Cliché in salsa avventurosa..eresia...)’ insomma l’idea del romanzo ‘ salgariano’ secondo lui doveva essere qualcosa più simile a ‘Zugzwag’ che gli piaceva tanto o a Zafòn... presmessa secondo la quale mai mi sarei messo a lavorare visto che si tratta di romanzi lontanissimi dalla mia linea narrativa. Il primo contratto e le prove fatte in tal senso erano chiare. Inutile dire che se anche per contratto il romanzo potevo considerarlo accettato preferii lasciar perdere e tenermi i diritti piuttosto che incassare quattro soldi per vederlo... mandare a perdere. Perché stare a spiegare che un eroe avventuroso che si fa chiamare ‘ la pistola’ e ne ha viste di tutti i colori in ogni angolo del mondo è un tipaccio e non può avere dei contorcimenti psicologici da... eroe alla Thomas Mann? Non avrebbe capito e poi sono convinto che le ragioni di quel rifiuto, passato così sotto silenzio, fossero altre. Ho provato poi a piazzarlo con altri editori trovando un panorama sconsolante. Uno, dopo 8 mesi, non mi ha mai dato neanche risposta e un altro non ha voluto leggerlo. Mi rimane la soddisfazione di averlo dato da valutare ad Altieri che lo ha appezzato scrivendo anche un pezzo che leggere in una prossima puntata. Di fatto ‘L’Orchidea’ come molti romanzi che ho amato ha avuto vita difficile. Nondimeno è un romanzo che mi è costato sangue, sudore e lacrime (figurativamente) soprattutto nella ricostruzione. Ha un ritmo differente, più rilassato ma non privo di emozioni s’intende dei Segretissimo, perché è ambientato in un altro secolo, in un’Asia dove ogni cosa pare muoversi al rallentatore e i rapporti (d’odio, d’amore, d’amicizia) sembrano rarefatti dal calore e dall’umidità. Mi ha permesso di provare situazioni e conflitti personali differenti dal solito, ma anche di rivedere quei luoghi che ho amato nei miei viaggi con occhi differenti. Ci sono mille e mille leggende dell’Asia, dai romanzi classici orientali, persino qualche riferimento immancabile alle ‘Femmine incantate’ di Magnus, le notti calde e sature di umidità. I suoni della foresta, il grande oceano in tempesta. Ricordi delle mie non eroiche ma emozionanti avventure a vela, le arti marziali e gli odori, le musiche i visi che ho conosciuto in tanti viaggi e che sono sempre qui con me. Cosa è rimasto di veramente salgariano? Non lo so. È il ‘mio’ romanzo e sebbene rimangano certe fascinazioni recepite da ragazzo (la caccia alla tigre, i pirati, i daiaky persino i Thug) è un Oriente filtrato dal mio modo di guardare e i personaggi, le donne, gli amici, gli avversari hanno un taglio che riflette decisamente più la mia visione che quella di Salgari perché, alla fine, ogni narratore ha il suo universo che pure si appoggia ad altri, ma è unico. Alla fine è una storia di viscere, scritta, rivista più volte, curata con il cuore. Che sono felice abbia trovato questa sistemazione editoriale. E questo non è veramente più il momento di lagnarsi per le vicissitudini che ne hanno caratterizzato la realizzazione. È lì, scritta per me ma anche per voi, che avete cuore per il mare aperto, la giungla di smeraldo, la grande Avventura.

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Non ci resta che augurarvi buona lettura!