Con grande piacere ospito su COLPO IN CANNA Piernicola Silvis e il suo ultimo romanzo Gli anni nascosti che, mi si consenta il paragone appartiene alla stessa famiglia di ‘Montecristo’ e sicuramente piacerà a chi ha apprezzato questa trilogia. Piernicola parte da presupposti e posizioni professionali diverse dalle mie che sono ‘solo’ un narratore e costruisce un romanzo ‘politico’ di fortissimo spessore.

A lui lascio la parola per introdurvi nell’intreccio di ‘Gli anni Nascosti’:

Anni '80 e '90, Italia: per poter attuare con successo un colpo di stato minuziosamente programmato che instaurerebbe nel Paese una dittatura di tipo argentino, un gruppo di potere formato da militari, imprenditori e alte cariche dello stato deve assolutamente entrare in possesso dell'inquietante dossier Ksenofont, il documento che contiene lo sconvolgente segreto che, se svelato, riscriverebbe completamente la Storia d'Italia dalla seconda guerra mondiale in poi. I golpisti lanciano sulle tracce del dossier Ksenofont una spietata appartenente alla Gladio, ma a sorpresa entra in scena Antonio Lami, del Sismi, un uomo senza scrupoli però determinato a far sì che l'Italia continui a restare un paese democratico e senza campi di concentramento. E' la storia che volevo scrivere da sempre, una vicenda che trattasse della guerra fredda e dei misteri insoluti del Bel Paese. Esce per Cairo Editore nel marzo 2010.

In questo romanzo ho trattato quasi cinquant'anni di storia italiana, dal '46 al '92. La mia ambizione è di far sì che il lettore si chieda come sia davvero nata l'Italia di oggi e come è diventata quella che sappiamo. E questo con un solo scopo: in un Paese dove è normale che succeda tutto e il contrario di tutto, chi può davvero affermare con certezza che le cose non siano andate come nel romanzo? Chi può davvero dirmi: "Silvis, ti sbagli, le cose sono diverse da quello che vuoi farci credere."? Non molti, ritengo. La mia è una sfida a riflettere su quello che quotidianamente ci viene propinato da televisioni, giornali e politica. Ma a questo punto preferisco non dire di più: non voglio togliere ai lettori il gusto di assaporare il fascino di questa storia.

Preferisco raccontare come è nata l’idea della vicenda.

Berlino era in bianco e nero, quel pomeriggio. Era un sabato di novembre e faceva freddo. Sbiadito nel pallore di un sole coperto da un manto uniforme di nubi, tutto quello che mi circondava era spento, tetro. L'odore dell'umidità mi penetrava nelle narici, mentre passeggiavo da solo lungo il maestoso Unter den Linden, che l'autunno aveva trasformato in un immenso tappeto di foglie ingiallite cadute dai tigli. C'era silenzio, in giro, un silenzio irreale, solo il rumore di qualche auto che correva nella nebbia grigia. Sentii sottopelle la metallica solennità della situazione, e in un attimo la Storia mi avvolse. Come potrebbe non avvenire, a Berlino? Pensai che in Italia il regime della Democrazia Cristiana era nato nel 1948, due anni dopo l’inizio del blocco sovietico, e si era concluso nel 1992, due anni dopo la fine dell’Unione Sovietica. 44 anni l’uno, 44 anni l’altro, due fasi storiche diversissime ma perfettamente sovrapponibili. Avevo davanti a me la Porta di Brandeburgo, e dietro la Porta il muro non c’era più, abbattuto anni prima. Fu in quel preciso istante che mi chiesi: questa sovrapposizione storica è davvero solo una coincidenza o sotto c’è altro che non so, che nessuno sa? Qualcosa si era mosso nella mia mente. Preso dal demone del sapere, decisi di andare a visitare il palazzo in cui ai tempi della DDR aveva sede la famigerata STASI, il Ministero della Sicurezza della Germania dell’Est. Con cautela mi informai dove fosse - ancora oggi i berlinesi sono spaventati da quella parola - e, mappa alla mano, in Karl Marx Allee presi la metro – completamente deserta - e arrivai in Normannenstrasse, angolo Magdalenenstrasse. Nella vecchia Berlino est, oggi drammatica e spettrale quasi quanto lo era allora, senza auto in giro, i parcheggi deserti e sotto la pioggia gelata di un tardo pomeriggio autunnale, mi ritrovai davanti al palazzo della STASI. Era come lo descrive Le Carrè, quattro piani di cemento grigio e finestre, senza anima. Oggi è chiuso da anni, con le sbarre alle porte. Sulla facciata c’è un’iscrizione in quattro lingue che spiega che in quell’edificio aveva sede quella che molti storici ritengono essere stata la più potente macchina repressiva della storia dell’umanità. Nelle due ore in bianco e nero trascorse fra la passeggiata in mezzo alle foglie ingiallite dell'Unter den Linden e la visita alla STASI, la mia testa aveva lavorato molto e aveva partorito una trama, una trama che mi piaceva. Ci pensai su ancora un po' e, continuando a camminare da solo sotto la maledetta pioggerellina gelata, quella trama prese una forma compiuta e una dimensione spazio-temporale, e nella mia mente si affacciarono improvvisamente volti di personaggi, nomi, dialoghi. Un titolo. Lì, in un pomeriggio di una tragica Berlino ancora grondante sangue per le ferite della Storia, era nato "Gli anni nascosti".