Nell'ultima puntata ci siamo occupati di musica. In quella precedente di racconti. In questa, dopo due mesi, torniamo al romanzo. E lo facciamo con un'opera che ha spessore, forza e grinta: Un assasino qualunque (libri/4856) di Piernicola Silvis. Il romanzo ha vinto il Premio Franco Fedeli 2006, nella sezione scrittori poliziotti. Sì perché Piernicola è uno "sbirro", che racconta una vicenda dura con la lucidità e la determinazione di chi vive e tocca con mano quotidianamente la criminalità. Un assassino qualunque parla infatti del tema sempre troppo attuale della pedofilia, con uno sguardo in particolare ai risvolti spesso nascosti, inquetanti e radicati che essa può avere nella nostra società.

Per prima cosa il mio benvenuto e il mio grazie per aver accettatto di sottoporti al mio interrogatorio. Inoltre una precisazione. Se sei d'accordo daremo a questa intervista soprattutto un taglio letterario, un po' perché ci interessa conscerti, capire qual è il tuo rapporto con la scrittura e la tua esperienza di pubblicazione, un po' perché il tema della pedofilia è sicuramente un tema attuale e interessante, ma forse questa non è la sede migliore per sviscerarlo.

In realtà ne sono contento, perchè quest'anno sono stato chiamato a destra a sinistra per parlare di abusi sui minori, come se fossi un esperto del settore. Non lo sono. Vorrei invece essere solo uno che scrive storie. Per quanto abbia scritto il romanzo per dare una scrollata a tutti, mi sono un po' stancato di fare l'esperto, è limitante, ti etichetta troppo.

Collegandomi a quanto hai appena detto, la prima domanda è proprio relativa al motivo che ti ha spinto a scrivere questo romanzo. Sicuramente il tema trattato è un tema forte, che deve far riflettere. Ma da dove viene Un assassino qualunque? Nasce solo dall'esigenza di scuotere l'opinione pubblica su una tematica tanto terribile o c'è dellaltro?

Bella domanda. Ho sempre avuto una certa creatività da mettere in gioco, nella mia vita. Componevo musiche, da ragazzo volevo fare il regista cinematografico, insomma c'è sempre stata la voglia di condividere con altri parte della mia anima. Fra le altre cose, avevo sempre desiderato scrivere un romanzo. Dovevo scegliere un tema, e volevo una cosa forte e che facesse riflettere, non scontata e banale. Nel 2000 la polizia postale individuò quel sito russo di cui parlo nel libro (è tutto vero, purtroppo, non ho inventato niente). Rimasi sconvolto e decisi che, per quanto allucinante, quello sarebbe stato l'argomento del romanzo. Anche se scomodo. Sapevo che non sarebbe stato un best seller, la gente chiude gli occhi davanti a certe cose, preferisce non sapere …e non è stata un'impresa facile.

Quindi non è stata un'operazione naturale? Che tipo di difficoltà hai incontrato?

Dopo aver letto tanti libri, un certo giorno ho creduto di aver raggiunto finalmente la maturità per poterne scrivere uno. Ci ho provato, ma non immaginavo fosse così terribilmente difficile. Al confronto, la mia tesi di laurea fu uno scherzo. Difficoltà? Tantissime. Mi hanno aiutato le sensazioni e i suggerimenti "da profani" di parenti e amici che hanno avuto il coraggio di leggere il malloppo. Io poi sono molto autocritico, ho assemblato tutti i consigli e li ho valutati per decidere se farli miei o no. E all'editor della Fazi ho rubato un sacco di mestiere. Penso che mi denuncerà, anche se non dovrebbe: abbiamo scommesso che lo avrei fatto lavorare poco, nei prossimi romanzi!

Quindi la fase di gestazione dell'opera è stata lunga?

Un assassino qualunque ha avuto tempi di gestazione biblici. Ho cominciato a scriverlo nel '99, poi, dopo 180 pagine, mi fermai. Chi lo avrebbe mai pubblicato? Nessuno, mi dicevo, e così la demoralizzazione e la mostruosa fatica di scrivere una cosa così lunga e organizzata mi hanno bloccato. Nel 2003 una collega appassionata di letteratura noir volle leggere quella parte di testo che avevo buttato giù e mi disse. "Continua a scriverlo, è bello. Sei scemo a lasciarlo così?" E ripresi l'opera. Ma era ambientato in America, e così, per trasportarlo in ambientazione italiana, che mi sembrava più adeguata, ho dovuto cambiare tutto. Poi gli sbagli, i consigli degli amici … Una fatica, ma ne è valsa la pena.

Ma, vista anche la faticaccia di cui parli, quali sono i motivi che spingono un poliziotto a tentare l'avventura della scrittura?

Esattamente gli stessi motivi che spingono un giornalista, un programmatore elettronico, un docente di disegno o un magistrato o un medico. Perché gli piace scrivere. Non vedo grandi differenze, sinceramente. In più, forse, c'è la voglia di scrivere storie in cui vi siano indagini realistiche. E, senza voler togliere niente a nessuno, questo è piuttosto raro. In questi giorni ho visto Zodiac, il film sul serial killer che terrorizzò la California nel '69. Si vede immediatamente che quella del film fu un'indagine vera. Te ne accorgi dalle decine di nomi, dai ripensamenti, dagli sbagli, dai contrasti che ci sono stati fra i protagonisti della storia. Le indagini romanzesche e filmiche sono in genere sempre iperstilizzate e con lieto fine, quindi, purtroppo, assolutamente fasulle.

Quindi la tua esperienza sul campo ti ha influenzato nella stesura di questo libro?

Assolutamente sì. Mi ha influenzato infinitamente. Se non avessi passato circa vent'anni a fare indagini non mi sarebbe stato possibile creare l'effetto realistico che spero di aver creato. D'altronde, non è un gran merito, questo. Se mi metti un pennello in mano non sarei mai in grado di tinteggiare una stanza. E se uno non fa questo lavoro non può scrivere un "vero" poliziesco.

E' stato complicato conciliare il tuo lavoro "ufficiale" con quello dello scrittore?

Abbastanza. In pratica non ho più vita privata. E il lavoro letterario cresce sempre più. Romanzi da finire, idee da sviluppare, consulenze che mi richiedono, manifestazioni cui partecipare, richieste di racconti per antologie. E non sono nessuno! Mi chiedo cosa succederebbe se putacaso i miei libri cominciassero a vendere. Meglio non pensarci. Ma vuoi sapere una cosa? Ne valeva la pena.

Passiamo a parlare un po' più approfonditamente del romanzo. Come sai la trama mi ha molto colpito, coinvolto. Sei riuscito a creare la giusta tensione narrativa, il lettore si appassiona alla vicenda e resta incollato fino all'ultima pagina. D'altra parte, però, lo stile non mi ha convinto. L'ho trovato debole a tratti, non maturo e consapevole nelle scelte. Certo questo è comprensibile in un'opera prima, ma il divario, secondo me, tra trama e stile è molto forte. Qual è, secondo te il rapporto tra questi due elementi e, nel tuo processo creativo, uno dei due ha la priorità?

Per quanto mi riguarda, mi ritengo soprattutto un creatore di trame. Per me lo stile è funzionale alla trama, anzi, meno il lettore si accorge che quella storia che "sta vedendo" è stata scritta da qualcuno meglio è. Se proprio devo metterci il naso, direi che preferirei avere uno stile il più possibile semplice e coinvolgente. Non amo i narcisismi e gli autoreferenzialismi di cui è infarcita la letteratura, specialmente quella italiana. Probabilmente la mia è una scelta un po' suicida, perché forse lo scrivere in modo davvero semplice è difficilissimo. Ma le due cose possono essere mediate, e ci provo. Comunque, man mano che vado avanti in questa avventura mi accorgo di essere sempre più padrone del mestiere, per cui posso dedicarmi un po' più allo stile. Miro a migliorarmi sempre più.

C'è un'altra cosa che vorrei dire su questo tema. Un romanzo deve trasmettere emozioni, quindi deve essere scritto in modo non scolastico, ma arricchito di momenti a effetto, di metafore coinvolgenti, di punteggiatura particolare. È questo il punto: occorre trovare il punto di equilibrio. Il lettore lo devi emozionare senza annoiarlo o, al contrario, stressarlo. Ma non c'è una regola, dipende anche dal tipo di storia che narri. Una storia lacrime e sangue dovrebbe essere scritta con stile lineare, altrimenti diventa troppo carica e va sopra le righe, mentre una storia semplice dovrebbe essere scritta con una narrazione più emotiva, altrimenti annoierebbe. Quello che voglio dire è che, come in tutte le cose, anche nello scrivere romanzi ciò che conta è trovare il giusto equilibrio. Ed è qui che entra in gioco il cosiddetto mestiere, l'abilità. Per alcuni, forse, l'arte.

Se avessi la possibilità adesso, forte di questa esperienza, di riprendere in mano Un assassino qualunque, cosa cambieresti? Lo scriveresti alla stessa maniera o sarebbe, per così dire, un altro romanzo?

Sarebbe lo stesso romanzo. Modificherei un po' lo stile, questo sì, alla luce dell'esperienza successiva. Modificherei anche uno degli snodi del romanzo. Ma sarebbe lo stesso romanzo, non c'è dubbio

Un aspetto interessante del libro è la commistione di alcune caratteristiche tipiche del genere noir ad altre tipiche del thriller: sei stato abile nell'unire la discesa nell'animo perverso del pedofilo alla tensione narrativa tipica del thriller. Tu come ami considerare Un assassino qualunque?

Mah, non amo troppo le divisioni in generi. Non so bene cosa distingua un noir da un giallo, la cosa più noir di tutte è la vita di tutti i giorni, no? So solo che ho cercato di costruire un meccanismo che tenesse incollato il lettore alla pagina, quindi forse thriller è la definizione più giusta.

Cambiando discorso, parliamo del titolo: Un assassino qualunque. Riflettendoci dopo aver letto il romanzo si comprende appieno il significato profondo e inquietante che esso contiene. Per essere assassini non bisogna necessariamente essere "speciali"…

Sono pessimista sulla natura dell'uomo. Dentro ognuno di noi può nascondersi il "mostro", nessuno escluso. Basta studiare la storia del '900, per rendersene conto. O magari seguire i telegiornali, che è anche più semplice. Novi ligure, Cogne, Erba, Marsciano… onestamente, come potrei essere ottimista? Guardiamoci dal prossimo, insomma. Io sono convinto che la società stia ancora insieme perché per fortuna esiste un codice penale che ti sbatte in galera se commetti un reato, sennò sai che casino.

Questo discorso meriterebbe una trattazione a parte, ma entreremmo in questioni che esulano dal romanzo. Tornando invece a noi, secondo me il titolo richiama anche un altro aspetto importante dell'opera: la sua coralità. Non esiste un unico protagonista, un eroe senza macchia, intorno a cui ruota la vicenda.

Ho vissuto molte indagini in prima persona, e vuoi sapere la verità? Non c'è mai un protagonista solo, un eroe o qualcosa di simile. Le indagini si snodano in fasi in cui si alternano più persone interessate, ed è sempre, comunque, il gioco di squadra che vince. Il Maigret o il Montalbano non esistono.

D'altra parte, però, esistono i Mario Alessi, i Donato Bilancia, i mostri di Firenze….Così come nel tuo romanzo esiste Emanuele Rode, che forse è l'unico personaggio ad assumere i panni del protagonista, ad essere sondato a fondo. Per scrivere certi passaggi immagino ti sarai dovuto immedesimare nella mente dell'assassino: come è avvenuto questo processo, è stato complicato?

È stato drammatico. Odio i pedofili, ma dovevo entrare nella psiche di un tipo di pedofilo fra i peggiori, il sadico. Io, che ho due figli che adoro, ho dovuto imparare a pensare come uno che si eccita guardando i bambini. Ma per fortuna sono uno che quando si alza dal computer sa staccare. Tutto sommato, comunque, immedesimarsi in lui è stato un fatto abbastanza tecnico. Mi sono chiesto cosa piacesse a me, in una donna e nel sesso, e una volta chiaritemi le idee, ho cercato di trasportare queste normali sensazioni sull’oggetto del piacere di un pedofilo

Poco fa abbiamo parlato del tuo pessimismo nei confronti del genere umano. Pessimismo che emerge dalle pagine del libro, che sono pervase da un senso profondo di impotenza, di ineluttabilità del male e del suo compiersi, nonostante ci sia chi si impegna in questo senso.

Infatti questo è un po' il concetto che ho espresso prima. Se vogliamo, occorrerebbe un'educazione sociale molto più penetrante di quella che attualmente ci viene impartita. E parte di questa educazione comprende la conoscenza del male. Ecco perché ho scritto il romanzo: volevo dare un pugno nello stomaco a tutti quelli che se ne fottono delle sofferenze altrui.

Un personaggio che apre forse un piccolo spiraglio è Peter Pan, che secondo me, rappresenta e diventa icona di un piccolo ottimismo. Tu come lo vedi?

Sinceramente di ottimismo ce n'è poco, in quel romanzo. Probabilmente se ci hai visto dell'ottimismo dipende dal fatto che la mia indole è, almeno credo, un'indole buona. Ribelle, se vuoi, ma buona. Certo, uno spiraglio di luce c'è. Ma per spiegare la cosa dovrei svelare parte della trama, e non mi sembra il caso...

Prima mi hai detto che in una prima fase di stesura del romanzo ti era venuto il dubbio che nessuno lo avrebbe pubblicato. In realtà quindi, come sei poi arrivato a pubblicare?

Ho avuto la fortuna di incrociarmi con uno scrittore che, senza che io lo sapessi, faceva scouting per Fazi. A lui è piaciuta, bontà sua!, la prima edizione "basica" di Un assassino qualunque, che avevo chiamato Quell'inutile cielo. A mia insaputa mandò il manoscritto all'editore insieme ad altri settanta. A quanto mi è stato riferito, io sarei stato il fortunato.

E come hai reagito?

Quando avevo perso ogni speranza una domenica mattina ricevetti una telefonata di Massimiliano Governi, editor di Fazi, che in pratica mi convocò a Roma. Ed è iniziata l'avventura, che spero continui. Come ho reagito? È stato come vincere un concorso importante, con la differenza che inventare storie è stato il sogno che mi ha accompagnato per tutta la vita. Sono stato felice, a dire poco.

Sei soddisfatto del risultato?

Non sono mai soddisfatto di me. Se un manoscritto non me lo tolgono dalle mani potrei continuare a cambiarlo all'infinito. Perciò, come dicevo, se avessi ancora fra le mani Un assassino qualunque sicuramente ritoccherei alcune cose. Quello che mi ha però fatto contento è stato lo stupore di molti critici, anche illustri, che si sono chiesti come abbia fatto uno che non ha mai scritto niente, neanche un racconto di due pagine (vero, mai scritto niente prima, mai un corso o un libro di narrazione letto) a tenere desta l'attenzione del lettore fino all'ultima pagina con un ritmo piuttosto incalzante e omogeneo. La risposta, vera e senza alcuna presunzione, è stata: non lo so.

Quindi, vista la tua esperienza, cosa consiglieresti di fare a chi ha un libro nel cassetto?

Piernicola Silvis ai microfoni di Radio2
Piernicola Silvis ai microfoni di Radio2
Molti che ci provano sono un po' presuntuosi: credono tutti di aver scritto un capolavoro, non amano i consigli, non amano correggersi. Male. Se c'è una cosa da fare è proprio quella di mettersi sempre in gioco. Fare leggere il romanzo a persone estranee e fare come me, ascoltare i consigli. Poi direi di non mandarlo agli editori a pioggia, ti rispondono tutti di no, loro ricevono 200 manoscritti a settimana. Occorre invece riuscire a entrare in contatto con esperti, anche agenti lettarari seri – ce ne sono – che leggono la storia e se ne sono convinti la sottopongono agli editori.

Chiudiamo con una domanda di rito. Stai lavorando a altri progetti? E, soprattutto, c'è la possibilità di scoprire che fine farà Emanuele Rode?

Proprio in questi giorni sto per mandare all’editore il manoscritto del secondo romanzo, una storia autobiografica che narra l'estate del '92 e le stragi di Falcone e Borsellino fino all'inizio della riscossa dello stato con la cattura, il sei settembre dello stesso anno, del numero due della cupola di Cosa Nostra Giuseppe Madonia, detto Piddu. Si chiama L'epilogo. Poi manderò l'altro romanzo che nel frattempo ho scritto, L'affare Ksenofont, in cui torna Antonio Lami, già protagonista di Un assassino qualunque. Se ne avrò la forza, nel prossimo che vorrei scrivere tornerà anche lo psichiatra Gregor Pozza. Non è mia intenzione creare dei seriali, ma perché cercare personaggi da calare in ruoli perfetti per personaggi già esistenti e spero noti? Pedofili basta, per il momento, anche se forse scriverò il seguito di Un assassino qualunque, che ho tutto già in testa. A ottobre il romanzo uscirà in Germania e fra qualche mese andrà nei Gialli Mondadori. Se ci sarà qualcuno cui interesserà sapere come va finire Emanuele Rode, in qualche anno glielo diremo.

Altro da dichiarare?

Chiudo con una battuta "da Oscar": nato il quattro luglio (nda: del 1954!)