Mercoledì 18 novembre 2009 alle ore 11,00 a Roma si è svolta la presentazione del libro Bersagli innocenti edito da Dario Flaccovio Editore a cura di Assovittime (trovate la notizia approfondita in notizie/8974/).

Pubblichiamo alcune considerazioni di Nicola Verde.

Non è facile parlare quando l’emozione ti prende alla gola; non è facile dare corpo a quello che si è scritto, quando vedi piangere chi quel dolore di cui hai scritto l’ha vissuto su di sé; non è facile neppure pensare, quando chi ti ha preceduto sul palco ha combattuto quel male che ha prodotto quel dolore. Chi sei, per parlare di quello che non hai vissuto sulla tua pelle? Una delle regole della scrittura è quella di parlare di ciò che si conosce. Chi sei, per caricarti sulle spalle un dolore che non ti appartiene? Che non conosci? Con quale diritto? Chi sei? Un piccolo, insignificante scribacchino. Niente altro!

Poi senti Ennio Di Francesco.

L’ex funzionario di polizia scomodo! E ti parla di “seminatori di legalità”. Parole che evocano un contadino che sparge sementi. Che bella immagine! Così ti illudi che anche tu possa appartenere a essi: un piccolo, significativo, “seminatore di legalità”.

Forse non è del tutto così. Noi scribacchini possiamo seminare soltanto parole. Ma è bello pensarlo. Pensare che le parole abbiano forza, vigore. Che possano cambiare il mondo. In verità, i veri “seminatori” sono coloro di cui s’è scritto nell’antologia. Quel libretto dalla copertina blu. Appoggiato in buon numero sul tavolo dei conferenzieri. Dieci storie di chi non si è arreso; di chi non s’è girato dall’altra parte. Eppure erano uomini che, come noi, avevano paura. Perché la paura ci DEVE accompagnare. Sempre. Chi non ha paura non è coraggioso: è soltanto incosciente.

“Lascia stare. Non t’impicciare” “Lo Stato troppo spesso dimentica”.

Voci. Voci che si rincorrono nella sala. Come brividi lungo la schiena. Di chi ricordava. In quella sala delle conferenze della Camera dei Deputati; una specie di anticamera del potere, dove per entrare occorre essere controllati. Come se lo Stato avesse paura di accogliere in sé i suoi figli. Ma è così.

In questo mondo dalle regole sbagliate.

Erano sussurri. Che fanno più male, perché chi è vittima spesso non grida; quasi mai alza la voce, ché, tanto, nessuno starebbe ad ascoltarli. Ce lo ricorda l’on. Violante nella sua bella prefazione. E’ per questo, ci dice, che una volta tanto, almeno, taccia Caino perché Abele parli! Per una volta, almeno, che i riflettori non si accendano su chi, pentito vero o falso che sia, abbia commesso dei crimini.

E’ una società dalle regole sbagliate, questa nostra!

“Perdonare chi?” s’è chiesto l’avv. D’Anna, “perdonare il delitto in sé?”  E tutto quello che c’è dopo? Che c’è attorno? Quel presente e quel futuro stracciati? Perdonare chi non ha permesso a un figlio concepito da una settimana di avere un padre? Perdonare chi non ha permesso che un marito sposato da quaranta giorni, o sei mesi, tornasse a casa?

“Lascia stare, non farmi vedova prima ancora di diventare moglie! Per favore!”

“Per favore!”

A chi chiedere quel “favore”?

Con insistenza. Con dolore.

Le voci di chi era, oggi, nella sala delle conferenze. In quel modo s’erano rivolte ai loro mariti. Quelle donne. Quelle mogli.

Gente del Sud, ha ricordato Giovanni Caso, un altro di coloro che quelle storie le ha vissute. E’ presidente Onorario della Suprema Corte di Cassazione. Quasi sempre gente del Sud. Emigranti nella polizia, gli ha fatto eco Di Francesco, nei carabinieri, nelle guardie carcerarie. Perché non si emigrava soltanto in Belgio, a  Marcinelle magari, o negli Stati Uniti, passando per Ellis Island, l’isola delle lacrime, o in Germania, dove, per confondersi, ci si poteva fare biondi, in una trasformazione da “brutto anatroccolo”.  

Non ci sono eroi di serie A o di serie B. Troppo spesso ricorriamo a questo tipo di catalogazione. Non mi piace. Perché soltanto a dirlo è come, in qualche modo, riconoscerlo. Ma è vero. Eppure il dolore ha grandezze uguali; e i drammi pure.

Raccogliamo, dunque, la nostra sacchetta delle sementi e spargiamole su questo terreno avvelenato. Bonifichiamolo. Non vergogniamocene. I contadini hanno le mani callose. Facciamocele pure noi!

Intanto, nella sala, s’era fatto buio. Ma soltanto perché s’erano spente le luci.