La donna della 'ndrangheta, è il nuovo ambizioso thriller di Michele Giuttari, già Capo della squadra mobile di Firenze, ma anche autore affermatosi sia come saggista – Compagni di sangue (1999), e Il mostro. Anatomia di un’indagine (2006) - sia come narratore, mi riferisco a Scarabeo (2005), La loggia degli innocenti (2006) e Basilisco (2007) tutti usciti per Rizzoli come quest’ultimo.

É sera, a Manhattan, quando vengono uccisi il portiere di un grattacielo e sei  persone che si trovavano al diciannovesimo piano, in un lussuoso appartamento, e tra le vittime figura il padrone dello stesso, un emigrato da un paesino calabrese dall’evocatività che richiama le cronache nostrane: San Piero d'Aspromonte. Il tenente Reynolds, forse al suo ultimo anno di servizio, grande conoscitore della criminalità newyorkese, capisce, insieme alla sua squadra, che le indagini si devono indirizzare alla “mafia di esportazione”. Si snoda un filo oscuro tra gli States, l’Italia e la Colombia del narcotraffico, tra commerci di droga, criminalità e 'ndrangheta, un filo che l’FBI tenterà di dipanare con l’aiuto della polizia italiana. Torna così in scena il commissario Michele Ferrara, funzionario della Direzione investigativa antimafia, che i lettori di Giuttari conoscono già in quanto suo personaggio, suo omonimo ma anche sua proiezione, come l’autore stesso ha dichiarato in un’intervista (http://www.thrillermagazine.it/rubriche/7535): « In Michele Ferrara c’é molto di me. Mi somiglia perfino fisicamente e ha il mio stesso carattere un po’ chiuso, il mio senso del dovere, la stessa fedeltà alla propria donna, e anche la stessa determinazione a raggiungere la verità anche a costo di scontrarsi con le istituzioni.»

Questo si può definire un romanzo di ampio respiro, sia letterario che geografico. Evidentissima la penna di un addetto ai lavori: le indagini vengono descritte con cognizione di causa, precisione, estrema competenza. Pur chi non conoscesse il corposo curriculum di Giuttari, capirebbe al volo che chi scrive di indagini ne ha fatte parecchie, sia che il lettore si trovi di fronte a un luogo del delitto o a una logica investigativa o a conclusioni autoptiche o tanatologiche. La trama è fitta e avvincente, la piaga sociale dell’associazione eversiva si allarga in maniera tentacolare sul narrato, i personaggi sono descritti con intensità ma senza eccessi, pochi tratti essenziali, qualche colore, tinte caratteriali, cosicché ci si immagina solo sulla scia di ciò che lo scrittore vuol lasciare intendere. E quando questo avviene significa che siamo davanti ad un ottimo libro.