Una donna che non è riuscita a fare i conti con il proprio passato, segnato da un episodio terribile, viene progressivamente portata sull’orlo della follia dalle persone, conoscenti o meno, che fanno parte della sua vita quotidiana…

Recupero dovuto per questo bellissimo thriller, diretto da Francesco Barilli nel 1974 e imbevuto di atmosfere polanskiane. Il regista gioca allo scoperto già dalla prima immagine, una foto di famiglia con una bambina che guarda il padre, rivelando il proprio “debito” nei confronti di Repulsion; poi, nel corso del film, ci saranno numerosi rimandi a Rosemary’s Baby, mentre, curiosamente, l’Inquilino del terzo piano, che ha molti punti in comune con Il profumo della signora in nero, è invece uscito due anni dopo la pellicola di Barilli. Ci piacerebbe pensare a una sorta di “contaminazione incrociata”, reciproca…

Comunque, al di là delle fonti a cui si è ispirato il regista, e alle sequenze che sfiorano la “citazione” di umori e vicende narrati altrove, Il profumo della signora in nero è un film per certi versi eccezionale, caratterizzato da un clima di minaccia impalpabile, dall’accumulo di elementi apparentemente indecifrabili (fino allo sconvolgente finale), ma che costruiscono un’atmosfera angosciosa e segnata sempre di più da una componente onirica e quasi surreale, man mano che la fragile mente della protagonista viene portata alla deriva. Mimsy Farmer interpreta in maniera molto credibile la tormentata Silvia, connotandola come un personaggio diviso in due: da un lato, infatti, la donna sprofonda in una regressione infantile che la rende una vittima sempre più indifesa di strani eventi, dall’altro essa diviene – almeno nella sua testa – una folle capace di uccidere con freddezza. Il tutto è impreziosito dallo stile di Barilli, dalla cura certosina per l’aspetto visivo e dall’eleganza formale che il regista - pittore infatti prima che cineasta – ha saputo donare al film. Il profumo della signora in nero è un’opera girata soprattutto in interni – importantissime le scene nell’appartamento di Silvia – e il décor diventa assolutamente parte integrante del racconto: sembra addirittura che i colori degli oggetti, le luci dei diversi ambienti partecipino degli stati d’animo della protagonista, dell’atmosfera straniata che le si costruisce intorno, man mano che i toni del film prendono una piega sempre più inquietante. Un’opera da riscoprire, arricchita tra l’altro da una splendida e malinconica colonna sonora di Nicola Piovani che aggiunge un ulteriore tassello a questo particolare mosaico fatto di contrasti, in cui candore infantile, ingenuità, morbosità e violenza si fondono mirabilmente.

Extra

Documentario Ritratto in nero - Biografia e filmografia del regista