Qualcuno potrebbe dire che sono di parte. Perché l'autore non solo è un mio amico, ma è anche una sorta di pre-consulente editoriale, quando ha la pazienza di sottoporsi ai miei infiniti scritti. E, di fatto, l’affermazione potrebbe anche essere vera. Se non fosse che io ho letto  e apprezzato Imperfetto prima di conoscere Alessandro Zannoni, anzi, Imperfetto è stato probabilmente il tramite di questa conoscenza, dopo è venuto Biondo 901, romanzo del quale, sbagliandomi, pensavo sarei rimasta insoddisfatta. Insomma, Imperfetto è oggi stato leggermente rivisto e rieditato da Perdisapop - con una nuova cover firmata da Onofrio Catacchio - perché Luigi Bernardi vi ha creduto, ma è una creatura nata nel 2006, in edizione autoprodotta e autogestita, come Alessandro aveva precisato in dedica e a mano, nella copia che mi aveva spedito: «Questo libro è stato scritto, impaginato, graficamente studiato e pubblicato da me solo.» E con questa frase, l’autore aveva già spiegato quello che intendeva, quando affermava nelle interviste di essere un autore indipendente.

Le pagine del romanzo presentano fin da subito, pur lasciandolo in penombra nonostante la concessione della narrazione in prima persona, un assassino spietato ma con un senso altissimo dell’arte: la sua prima vittima è un ragazzo legato a una colonna di mattoni rossi, il carnefice uccide con la lentezza dell’osservatore, si pasce del dolore, contempla il suo capolavoro. Le indagini passano dalla polizia al detective Merisi, s’incrociano con le incertezze del quotidiano e con un destino beffardo, con un senso dell’amore strappato alla vita reale e innalzato a una dimensione che investe le scelte. Imperfetto è l’amore, quindi, nei suoi aneliti mancati e in quelli riusciti, nei colpi bassi, nei desideri. Ma l’imperfezione lambisce tutto, in primis l’uomo.

Il detective Merisi è ben caratterizzato, sanguigno, schietto, con debolezze e dubbi riconoscibili. Il lettore non solo ci si affeziona, ma tende a prendere pure le sue parti perfino laddove quello è in preda ai suoi attacchi peggiori di bastardaggine. Il fatto che questo meccanismo scatti addirittura nel lettore al femminile (la sottoscritta) è eloquente sul successo empatico del personaggio.

Ci sono delle belle immagini e delle scene memorabili (come quando Marta incalza Merisi col classico: Ma tu mi ami o no?  E lui, messo alle strette, in difficoltà estrema,  conclude con: Eeh, bella domanda!). Del resto, il protagonista si potrebbe definire una sovrapposizione dello scrittore, come lui stesso ha ammesso: «Ti confesso che tutto quello che è Merisi io sono; l’ho scritto e descritto sulla mia persona, pregi e difetti compresi. È stato un dazio che volevo pagare a una persona e un po’ a me stesso: la storia d’amore che vive Merisi è vera, è la mia, e questo è stato l’unico modo per spiegare ad una persona come sono andati i fatti, cosa è accaduto; di persona non sono riuscito, ho dovuto scriverlo, sapendo che lei avrebbe letto il romanzo.» 

I dialoghi, realistici ma non banali, assecondano lo svolgimento delle storie, il testo è sciolto, intenso.

L’autore è abile nel riproporre con semplicità la complessità del baratro maschio/femmina e, in generale, le altre situazioni della vita, sia nel contenuto che nello stile. E con questo chiudo perché altre eventuali conclusioni, per dirla alla maniera di Zannoni,  potrebbero essere solo fumo negli occhi.