Luigi Bernardi

Quali sono i ferri del mestiere, in questo lavoro, e il tuo procedimento metodologico?

Immagino la storia, la suddivido in sequenze, visualizzo le singole tavole, le descrivo più o meno accuratamente al disegnatore affinché le realizzi così come l’ho pensate. In realtà, dato che mi fido assolutamente di Catacchio, su molti passaggi gli lascio campo libero, limitandomi a scrivere i dialoghi e le didascalie.

Prepari delle bozze o fornisci indicazioni descrittive? Sai disegnare?

Mai disegnato in vita mia, sarei una schiappa assoluta. Mi limito a fornire indicazioni puramente descrittive.

Cosa c’è di affascinante per un  pensatore come te nell’idea del male?

Il male è il sentirsi diversi rispetto al senso comune, l’idea della ribellione. L’ipocrisia ci spinge a cercare il bene, non lo troviamo perché il bene si condisce via via di armamentario etico che lo allontana sempre più dalla nostra quotidianità. Il male supera le istanze etiche, ci mostra il mondo così com’è, come qualcosa con il quale fare i conti. I surrealisti, e il marchese De Sade prima di loro, sostenevano che il male della società si poteva combattere solo attraverso un male superiore: una catena di mali in crescendo, uno peggio dell’altro. Il male che racconto, il male di Fantomas è lo schiaffone definitivo, che risveglia ciò che è rimasto di risvegliabile. Niente è più affascinante dello schiaffone definitivo, del ribaltamento delle prospettive, del chiedere al male quella felicità che il bene non è stato capace di offrire, se non come ipotesi ultraterrena.

Vorrei collegarmi a una tua pagina di “Senza luce” (pp.166-167) in cui affronti il problema dell’innocenza. Secondo me c’è un legame sottile con l’idea del male affrontata in “Habemus Fantomas”, dimmi se concordi: “Domenico sa che l’innocenza è un punto di vista, viene invocata solo quando fa comodo. Nessuno può dirsi privo di colpa se accetta i parametri dell’esistenza. E’ il contratto sociale che stabilisce la perdita dell’innocenza, è l’atto di dare e ricevere la vita. Dopo, subentra il consenso, e tutto quello che avviene  appartiene a un universo dove non esistono né etica, né principi, solo una catena infinita di casualità.”

Nel momento stesso in cui noi nasciamo entriamo a far parte di qualcosa che è infinitamente più grande di noi.

Non abbiamo il libero arbitrio di decidere in che parte collocarci, siamo e basta. In quanto siamo, abbiamo perduto la nostra innocenza, nel senso che non ci è data la possibilità di esercitarla. Siamo calati in un universo nel quale non è prevista l’innocenza, siamo legati da un patto che non abbiamo sottoscritto e al quale non possiamo sottrarci: una bella fregatura.

Fantomas ha avuto una grandissima popolarità proprio dagli anni della sua nascita, nel 1911, e gli anni trenta. C’è un collegamento col clima di catastrofe di quell’epoca?

Fantomas è nato come eroe antiborghese, in un mondo che, da un lato, respirava ancora gli effluvi della bella époque, dall’altro si preparava a pagare quest’esaltazione della gioia di vivere con un bestiale conflitto: la prima guerra mondiale. I surrealisti lo identificavano come il personaggio simbolo della rivolta contro il potere che aveva portato alla rovina e, ancora prima, contro gli eccessi frivoli di una certa borghesia. Il mio Fantomas ha superato questa lettura un po’ semplicistica della vita e della storia. Non è neppure più un eroe nel senso tradizionale del termine: è l’incarnazione di una idea, l’idea che il male è la luce, la purezza, il bene soltanto una maschera di ipocrisia che indossano coloro che si mettono in testa di comandare gli altri.

Qual è la grande differenza tra scrivere per la narrativa e scrivere per il fumetto?

La scrittura per il fumetto raramente è letteraria, quindi è più semplice, non è obbligata a descrivere ma solo a parlare. È una scrittura di sintesi estrema, complicata dall’interazione con il disegno: testo e disegno non possono dire la stessa cosa, devono completarsi a vicenda. È un esercizio difficile, molto appagante quando riesce.

Una virtù di Catacchio e un suo difetto.

La virtù è che... ma ne avrà di virtù Catacchio? (ride) Scherzo. La sua virtù è la capacità di appassionarsi al proprio lavoro pur mantenendone una visione molto concreta. Un difetto… un difetto… un difetto… a volte vorrei che disegnasse più velocemente, ma se lo facesse anch’io dovrei scrivere di conseguenza, e sarebbe un bel pasticcio, con tutte le cose che faccio e voglio fare.

 

Onofrio Catacchio

Quali sono i tuoi ferri del mestiere?

Realizzo tutto ancora su carta. Disegno a matita e inchiostro con pennarelli e pennello. Poi importo tutto in digitale e rielaboro le tavole al computer.  Quest’ultimo più che estetico è un passaggio tecnico: mi consente di avere il massimo controllo su ciò che andrà in stampa.

Nel disegnare questo fumetto qual è stata la tua priorità nella scelta formale?

Volevo uno “story-telling” rigoroso. Rigore formale e bianchi e neri in costante equilibrio per visualizzare il  secco  procedere della storia di Luigi.

I grigi sono un’omaggio ai retini largamente utilizzati nei fumetti “neri” che proprio Fantomas ha ispirato negli anni 60.

Però Habemus è soratutto una storia che ci racconta la contemporaneità intrecciandola col mito di Fantomas. Per rendere questa idea ho spinto sul registro “realistico” delle immagini. In alcuni casi ho inserito vedute fotografiche dei luoghi in cui si svolge l’azione proprio per sottolinearlo. Per contro ho cercato di limitare l’uso di certi luoghi comuni grafici del fumetto: un certo tipo di espressioni facciali stereotipate, l’uso delle linee cinetiche per i movimenti o quello delle onomatopee…Ho perfino disegnato i ballon, le “nuvolette” per il testo, pur di non utilizzare quelli standard.

Nella storia c’è un sopra: il mondo che conosciamo e un sotto. Fantomas vi si annida, grazie a tecnologie avveniristiche, in luoghi, grotte, caverne, ghiacciai, terribilmente inospitali.  Un contrasto che ho cercato di sottolineare anche visivamente.

Mi dai una definizione di fumetto?

Il fumetto paradossalmente è non-visibile. Tecnicamente è un incastro di parole e immagini: ma lo sono anche le istruzioni dell’Ikea, le barzellette della Settimana Enigmistica o i libri illustrati per bambini. Nessuno degli esempi che ho fatto è, però, un fumetto. Il fumetto nasce dall’incrocio tra un “racconto” in grado di generare immagini. Ciascuna di esse effettua un salto nel vuoto per riuscire ad approdare a quella successiva. Fino alla parola fine. Se funziona è un fumetto.

“Habemus Fantomas” è un tributo all’eroe creato nel 1911 e, oltre a lui, un omaggio al fascino del male. Ma cos’è il male secondo te?

E’ cio che nascondi, ammucchiandolo, sotto il tappeto…la superficie (un po’ come gli antri di Fantomas). Prima o poi, inesorabilmente torna fuori, in modo subdolo o devastante.

Qual è il più grande ostacolo che incontri nel disegnare?

Far collimare ciò che hai in mente con ciò che trasferisci su carta. Per illustrazioni o copertine è un po’ più facile: l’idea funziona o non funziona. Nel fumetto ci sono splendide “trovate” che tuttavia non funzionano ai fini della narrazione. E allora bisogna cassarle. O tenerle in serbo per altre storie.

Qual è il tuo punto di forza?

Non fare mai ricorso al “repertorio” professionale.

Devo chiedertelo (ma l’ho chiesto anche a lui!): dimmi un pregio e un difetto di Bernardi.

Il pregio è... è mattiniero. Lui è già sveglio quando tutti gli altri ancora dormono.

Difetti? Mmmh… viaggia con un trolley. Io i trolley li detesto.