Ricordate il "Blob" maleodorante che diffondeva i suoi effluvi nella quarta puntata di questa rubrica, lungo i nascenti binari dell’Alta Velocità veneta? Obbligando gli abitanti di un quartiere di Spinea - provincia di Venezia - a costituire un Comitato contro le puzze nauseabonde che li perseguitano, facendoli svenire o vomitare, fin dallo scorso autunno?

Purtroppo siamo stati "profeti" di qualcosa di peggio, esploso come un colossale bubbone di malaffari inquinanti a Nordest della Ragione. "Sequestrato il cavalcavia Camerini" titola Il Gazzettino di Padova del 23 febbraio. Avete proprio capito bene. A coronamento di un’inchiesta durata mesi, gli investigatori del Corpo Forestale di Treviso hanno messo sotto sequestro l’"Arco di Giano", faraonico viadotto costruito per collegare Padova con la vicina Ponte di Brenta. Non solo: i sigilli dell’autorità giudiziaria sono stati posti anche su 4 Km di cantiere dell’Alta Velocità, dalle parti di Dolo, nel Veneziano. In entrambi i luoghi di lavoro - ecco la tesi di accusa - sarebbero stati utilizzati, per "fare cemento", tonnellate di rifiuti inquinanti provenienti da un’unica azienda di di trattamento rifiuti, la "C & C", con sedi a Pernumia (Padova) e Malcontenta (Venezia). L’allarme partito da Spinea trova puntuali conferme nelle prime analisi eseguite sul materiale edilizio sequestrato. Si parla di un micidiale cocktail fra scarti industriali di varia tossicità e immondizie selvaggiamente riciclate (quintali di posate, ad esempio).

Quando - come riportato da tutti i media nazionali - nella notte fra il 20 e il 21 febbraio una folle sparatoria alla periferia di Verona porta alla morte di due poliziotti, una prostituta ucraina e un detective privato con passato da body guard di Umberto Bossi, Gotico Padano non può certo inventarsi risposte agli interrogativi di un Paese intero su un demoniaco enigma chiamato Nordest. Si limita piuttosto a fornire le "coordinate" del territorio, a indicare le mappe di una follia diffusa, a segnalare le identità assunte da un Armageddon che di società, ambiente e cultura locali sembra voler fare un unico e immondo boccone. A pochi chilometri dai paesi impestati, nell’atmosfera e nelle fondamenta, dai cantieri dell’Alta Velocità, si trova una veneziana Scorzè dove una bambina di 11 anni, appartenente a una famiglia di Testimoni di Geova, viene avvicinata sulla via della scuola da uno sconosciuto con passamontagna che ne copre il volto. L’energumeno aggredisce la piccola marchiandola sulla giacca a vento con lo stesso triangolo verde usato dai nazisti per distinguere i seguaci di Geova dagli ebrei. Non contento di ciò, le segna sul polso il numero 1961, come si trattasse di una deportata nei lager della Germania di oltre sessant’anni fa (La Nuova Mestre del 27 febbraio).

Passando dal primo piano della piccola vittima atterrita a una panoramica ripresa dall’alto, come non indovinare, lungo le arterie del Trevigiano le tracce lasciate da un furgone del Ceis - Centro per il reinserimento sociale - di Belluno? Su quel mezzo, protetta dalla più insospettabile delle sigle, e ovviamente all’insaputa dei sacerdoti e dei volontari della struttura, avrebbe scorrazzato per mesi una feroce banda di rapinatori, prendendo di mira banche e centri commerciali dell’intera regione. Alla guida si sarebbero alternati un ex fiancheggiatore delle Brigate Rosse e un parricida, "sempre solerte nell’eseguire ogni tipo di commissione" racconta don Gigetto Bortoli, responsabile del Ceis, al Gazzettino del 22 febbraio.

D’altra parte, liberare dal Male queste terre disastrate sembra difficile all’osservatore che, sorvolandole un’ultima volta, sa di non poter violare lo spazio aereo della base Nato di Aviano. Dove, come si legge nel rapporto "Armi nucleari in Europa" (a cura del Natural Resources Defence Council di New York, notizia riportata dal Gazzettino del 15 febbraio) giacciono tuttora "pronte al tiro", vent’anni dopo la fine della Guerra Fredda, non una, ma cinquanta testate nucleari.