Giunto alla sua terza prova narrativa, lo scrittore Franco Limardi (romano di nascita e viterbese d’adozione) si cimenta con una raccolta di racconti (sette, per la precisione) che, però, si potrebbero definire un “quasi romanzo” vista la continuità che li lega. Tutti più o meno ambientati “lungo la stessa strada” (che comunque torna accidentalmente nei percorsi di ognuno di loro) sono accomunati dal destino tragico dei protagonisti, da un tono cupo del racconto e dallo stile appartenente alla scuola “noir”.

Nello schema narrativo e nella sua prospettiva collettiva, il libro richiama il primo romanzo di Limardi discostandosi, invece, dal secondo concentrato su un unico disperato protagonista.

Sono racconti sul male di vivere di personaggi senza speranza destinati, fin dalle prime righe, alla disfatta.

Il rappresentante di lingerie, il giocatore fallito di calcio, l’autista del furgone blindato, l’adolescente insoddisfatto, il capo cucina di una birreria del litorale, il video-noleggiatore indebitato e il barista Quinto (anello di congiunzione tra i personaggi) sopravvivono ai margini della normalità: le loro vicende raccontano come in un attimo si può scegliere di cambiare il proprio destino (in peggio) per smettere di rincorrere l’ideale che ognuno aveva costruito intorno a sé.

Alla fine si ha l’impressione di aver letto un romanzo corale in cui la provincia, degradata e sbiadita, incombe sugli uomini e li travolge in un’ondata di desolazione. Dentro i sette racconti (scritti tutti in terza persona tranne uno, Sabbia) c’è tutta la solitudine della provincia e dei suoi abitanti: un luogo squallido, senza ideali, senza prospettive, dove si sopravvive nell’incomunicabilità reciproca, riproponendo un tempo sempre uguale a se stesso, senza via d’uscita.

Dentro questo “quasi romanzo” c’è tutta la sua provincia, quella di Limardi: Viterbo, con il suo linguaggio, la sua visione limitata della vita, i suoi personaggi semplici e grossolani, legati, per l’eternità, alla paralisi, alla possibilità di allungare lo sguardo verso un prospettiva che li salvi.

Fin dal suo primo romanzo, l’autore è stato etichettato “scrittore noir”: lo è fino in fondo in questa sua visione scura della vita, senza un briciolo di speranza e nella disperazione dei personaggi. Il suo sguardo, quello di chi in provincia ci vive ma non ci è nato, taglia in due luoghi e persone senza, però, ombra di giudizio per chi giace, inerme, nella disperazione in cui si è trovato a vivere.

Lungo la stessa strada è un piccolo capolavoro di narrativa che potrebbe insegnare molto ai viterbesi su Viterbo e, per esteso, a tutti coloro che vivono in provincia sulle loro città.