Il marito di una donna scomparsa, non osando confessare alla polizia il vergognoso segreto della partecipazione a un giro di orge sadomaso, si rivolge all’Alligatore, l’investigatore che della conoscenza degli ambienti dell’illegalità ha fatto il suo mestiere. Inizia una spaventosa discesa in un mondo di gente sola e ricattata dove predatori feroci si aggirano e colpiscono in modi efferati. Nel venire a contatto con il perverso mondo del sadomaso e della pornografia hard-core, nelle menti dei tre protagonisti verranno risvegliati ricordi che avrebbero preferito dimenticare per sempre. Ricordi legati al carcere, e alle violenze osservate in silenzio, a testa bassa, facendoli arrivare a pensare che dalla galera si può uscire materialmente, ma mai psicologicamente. Mentre gli echi del passato tornano a stridere nella sua mente, l’Alligatore fa fatica a concentrarsi sul caso per via di una storia d’amore “congelata” con Virna, la donna che ama ma che non approva il suo lavoro d’investigatore senza licenza. L’investigatore è disilluso come sempre - forse anche più del solito – e sente più forte che mai il desiderio di fare giustizia, quella giustizia che lui non ha mai avuto. A fianco dell’Alligatore ci sono i due fedeli soci: Max la Memoria e Beniamino Rossini. Max ritrova e rinnova il suo impegno politico: è a Genova durante i drammatici fatti del G8, ancora convinto che abbia un senso lottare per cambiare il mondo. Beniamino Rossini ci stupisce con la sua personale etica di gangster della vecchia guardia, quando discute su cosa è giusto fare e non fare, sulle regole di una “criminalità sostenibile”.

Il maestro di nodi (Premio Scerbanenco 2002) è un’avventura criminale col ritmo e la velocità “illegale” con cui l’autore padovano ha fatto scuola.

I libri sono come delle prigioni. Imprigionano i personaggi. Gli danno vita. Gli fanno vivere avventure. Ma la loro vita è limitata alle pagine del libro. Una volta che finisci il libro, purtroppo, quei personaggi che hai amato non esistono più. Non li puoi incontrare al bar. Non puoi chiamarli per farci due chiacchiere. Loro non possono uscire dai libri. Sono prigionieri della carta. Le copertine sono le sbarre della loro prigione, e il prezzo che paghiamo per comprare il libro è il prezzo che si paga ad una guardia carceraria corrotta – lo scrittore – affinché prolunghi un po’ di più il colloquio con il carcerato – il personaggio – che siamo venuti a visitare in prigione.

I personaggi sono eroi d’inchiostro che vivono solo dentro i libri e dentro di noi.

I personaggi sono prigionieri.

Eppure, a volte i personaggi riescono ad evadere da quella prigione. A volte la guardia carceraria è così corrotta, o così incurante del suo ruolo istituzionale, che fa scappare i prigionieri.

Apre le porte della prigione.

Li rende liberi.

Li rende vivi.

Questo accade raramente. Accade quando lo scrittore è molto bravo. Accade quando lui e il suo personaggio sono in completa sintonia. Si parlano l’un l’altro. Si raccontano segreti inconfessabili. Sono in contatto perenne. Sanno perfettamente come agirebbe l’altro in qualsiasi situazione. Condividono amori e rabbia. Condividono gioie e malinconie. Si conoscono così bene che potrebbero scambiarsi i corpi e nessuno se ne accorgerebbe. Allora il personaggio diventa vivo. Sfugge dalla prigione d’inchiostro, sfugge allo scrittore stesso e buca la pagina, diventando reale. Ti sembra d’incrociarlo per strada. Ti sembra di sentire la sua voce in mezzo alla folla. Pensi a lui ed hai come la sensazione che lui stia pensando a te. Lo senti.

Certi scrittori riescono a liberare i loro personaggi e infondergli Vita. Massimo Carlotto l’ha fatto col personaggio dell’Alligatore.

Di tutta la serie dell’Alligatore, Il maestro di nodi è forse il meno bello dei sei romanzi. Questo non vuol dire che non sia un buon romanzo; basta pensare che quest’opera ha vinto il premio Scerbanenco nel 2002. Come intreccio e come ritmo della narrazione, altre opere della serie (come Il Mistero di Mangiabarche, o Nessuna cortesia all’uscita - menzione speciale della giuria al premio Scerbanenco 1999), risultano più trascinanti rispetto a Il Maestro di Nodi. Però, la sua lettura è indispensabile. Per varie ragioni. Primo: qualitativamente, l’intera serie ha un livello molto alto, quindi affermare che un libro della serie sia migliore di un altro non ha molto senso, soprattutto perché, essendo tutti i romanzi legati in fondo l’uno all’altro, essendo in fondo la vita di un uomo, si deve giudicare l’intero operato, non la singola avventura.

La seconda ragione è la più importante, ed è profondamente legata alle parole d’apertura. I libri sono come delle prigioni. Imprigionano i personaggi. Questo, però, non è sempre vero. Alcuni scrittori riescono a liberare i loro personaggi e a renderli vivi. Carlotto ci è riuscito. Ha dato vita a Marco Buratti, alias l’Alligatore. I suoi libri piacciono così tanto perché il personaggio creato dallo scrittore cagliaritano d’adozione è perfettamente credibile. Si muove con scioltezza tra realtà e fantasia. Non so come, ma Carlotto ha iniettato l’anima nel protagonista dei suoi romanzi. I suoi lettori attendono con ansia l’uscita di ogni nuovo romanzo della serie. Attendono con apprensione notizie dell’Alligatore, come se fosse un loro amico di lunga data partito per un lungo viaggio e di cui non hanno più avuto notizie. Sanno che tornerà, perché torna sempre. Ma non sanno quando. Quando poi torna, però, è come se non fosse mai andato via, e la storia che gli racconterà, le storie dei suoi viaggi, dei suoi amori, delle sue indagini, dei suoi graffi nell’anima, li avvolgeranno come sempre.

La poetica di Carlotto è strettamente legata alla poetica del noir. L’autore vede nel noir un grimaldello con cui scassinare le serrature di tutte quelle inchieste scomode che non finiscono più sui giornali. Vede il noir come il genere più adatto a raccontare gli intrecci sempre più stretti che vanno a formarsi tra ricchezza, potere e malavita. La società sta cambiando, ma, soprattutto, sta cambiando la “società criminale”. Non esistono più regole nella malavita. L’unica regola è quella del profitto. I confini tra legalità ed illegalità sono sempre più labili. Questi cambiamenti sono importantissimi per i cittadini, che spesso si trovano prigionieri di una società che non riconoscono come tale, dove le leggi della mala di qualche decina d’anni fa non esistono più, dove a volte i veri criminali sono persone insospettabili, dal viso affidabile, che siedono nei posti riservati alle persone “arrivate”. I cittadini hanno bisogno di capire cosa sta succedendo intorno a loro. Ecco perché il noir si è fatto largo come un lampo di luce nel buio. Ecco perché Massimo Carlotto ha creato il suo personaggio. Per raccontare dal di dentro i cambiamenti di una società malata di cancro. Un cancro che l’ha colpita dritta al cuore, avvelenandole il sangue e ottenebrandole la mente. Chi meglio di un uomo che è stato fottuto dalla giustizia, può descrivere e scandagliare nel torbido della giustizia, dove la legge è solo un fantasma? Chi meglio di un ex carcerato può descrivere gli ambienti malavitosi, e gli intrecci che vanno a formarsi tra malavita e potere? Chi meglio di un vecchio gangster può raccontare i cambiamenti tra la malavita di un tempo e la nuova “criminalità globalizzata” senza più regole?

Nessuno.

Questo fa Carlotto. Descrive il torbido. Indica le pozzanghere affinché non ci passiamo sopra. E lo fa in un modo tale che il lettore, inizialmente, non si accorge dell’ “anima del libro”, perché è trascinato dalla storia, dalla vicenda criminale, dall’intreccio, dai dialoghi serrati, e della narrazione scarna, ma a tratti lirica. Poi, una volta finito il libro, ripensa inevitabilmente al contesto in cui è maturata la storia che ha letto. Ripensa alle contraddizioni messe in evidenza dallo scrittore. Ripensa allo scenario prospettatogli, e trae le sue conclusioni.

Il noir è un bisturi. Viviseziona la società con occhio clinico. Descrive la puzza delle interiora malate con obbiettività, senza usare eufemismi. Fa autopsie sulle vittime di questa società, chiarendoci di cosa sono state fatte vittime, perché, cosa le ha fatte diventare vittime, e cosa rimane di quelle vittime. Spesso non rimane niente. Nemmeno il ricordo. Non c’è da stupirsi. Il noir è il genere letterario meno consolatorio che esista. Racconta le cose come stanno. Punto.

Questo è un dato molto importante, che si lega a Il Maestro di Nodi. Il noir non è quasi mai consolatorio. I libri di Carlotto non lo sono mai. Spesso l’autore ci prospetta realtà veramente buie, dove non c’è il minimo sentore di un’alba nascente, e quindi di un po’ di luce. Eppure, in questo romanzo, Massimo Carlotto accende un fiammifero in un buio assoluto. Fa vedere che forse una consolazione ad una realtà marcia esiste. Quella consolazione è l’amicizia. L’amicizia vera.

Un vecchio adagio recita che le amicizie migliori si fanno in guerra e in galera. È maledettamente vero. Se ci si pensa su, sia la guerra che la prigione sono situazioni estreme, al limite, dove non si può fingere, dove gli atteggiamenti sono essenziali, scevri di tutte quelle dinamiche che verrebbero a formarsi in situazioni e contesti normali. In guerra e in carcere, invece, si deve sopravvivere seppur in misura diversa (ma non ne sono troppo sicuro), ad un ambiente ostile, dove la tua vita è messa costantemente in gioco. È chiaro quindi che le amicizie raggiungano legami molto più stretti di quelle che avvengono nella società normale. Quando ci si guarda le spalle a vicenda, quando si vede la paura l’uno negli occhi dell’altro, quando si è costretti a dividere gli spazi stretti di una trincea o di una cella, ci si sente più vicini, si creano dei legami destinati a durare per molto tempo. Se poi da queste situazioni si riesce ad uscirne insieme, l’amicizia non finirà mai.

Questo avviene tra Marco Buratti e il suo grande amico, (e in un certo qual modo padre o fratello maggiore), Beniamino Rossini. La loro amicizia è maturata nelle carceri. Buratti ha salvato la vita al malavitoso milanese, e da quel giorno Rossini, con quella sua inossidabile etica da gangster del passato, copre le spalle all’amico in qualsiasi situazione. Non lo abbandona mai. Se Buratti avesse mai intenzione di lanciare un candelotto di dinamite dentro Palazzo Madama, Rossini gli accenderebbe la miccia con il suo accendino Dunhill d’oro. In questo libro l’amicizia tra i due e più che mai evidente. Ma lo è ancora di più verso il terzo personaggio principale del libro, il ciccione Max, la Memoria che, incurante dei consigli dei due amici, si reca a Genova durante il G8. Le cose si mettono male, e il ciccione si trova in mezzo tra la tensione furiosa dei poliziotti e l’ira ribelle dei Black Bloc. Il risultato è drammatico. Le condizioni del ciccione sono parecchio serie, e Buratti e Rossini, che non possono recarsi a Genova per via dei loro precedenti penali, fanno di tutto per riportare l’amico a casa e sottoporlo a cure mediche. Nell’attesa di notizie su Max, che per alcuni giorni non s’era fatto più sentire, Carlotto descrive con maestria tutta la preoccupazione e la rabbia di due amici veri, preoccupati per un amico altrettanto vero.

Nell’intera serie il tema dell’amicizia tra i tre ex galeotti era stato trattato più volte, ma in questo romanzo viene affrontato e descritto in maniera più incisiva ed evidente. Forse il fine di Carlotto era quello di lanciare un messaggio ai suoi lettori. Per una volta voleva confessare che forse una consolazione esiste. Forse la storia ambientata nell’oscuro mondo sadomaso, (che comunque è godibilissima e parecchio interessante per i legami di dipendenza psicologica che vengono a formarsi tra master e schiavi/e), era tutta una scusa per dire magistralmente che questa nuova società che pare in grado di comprare tutto o vendere qualsiasi cosa per una cifra considerevole, non può né comprare né vedere una cosa… l’amicizia. Quella vera.