Il crimine è cambiato. Con esso anche la percezione stessa del crimine è cambiata, poiché la criminalità si è infiltrata troppo a fondo nel tessuto sociale moderno, modificando il suo genoma. Il confine tra legalità ed illegalità non è mai stato così labile. Così come non è mai stato così grande il potere delle grandi organizzazioni criminali come la mafia, la camorra, la mafja russa o le triadi cinesi. Le grosse multinazionali del crimine hanno capito che non aveva più senso agire esternamente alla società civile e alle istituzioni. Era svantaggioso dal punto di vista economico. Così i grossi gruppi criminali hanno fatto uso della loro caratteristica più pericolosa: la versatilità. Hanno maturato una mentalità imprenditoriale e sono entrati nel mercato regolare. Hanno fatto un grande salto di qualità. Si sono insinuati nei tessuti sociali, economici e istituzionali dei paesi di appartenenza, non combattendo più lo stato, ma impadronendosene a poco a poco.

L’Italia, da questo punto di vista, è un esempio perfetto. In Italia quattro regioni sono totalmente in mano alla criminalità organizzata. Questa veicola e ha potere decisionale sulla vita di decine di migliaia di persone. E siamo tutti vittime delle mafie. Tutti. Non solo gli abitanti del meridione. Ognuno di noi – forse inconsapevolmente – è vittima delle mafie, delle grosse organizzazioni criminali. Multinazionali del crimine che hanno un fatturato annuo ben superiore a quello di molti paesi in via di sviluppo, e i cui proventi sono reinvestiti metodicamente fuori dall’Italia, in decine di paesi europei e non, in modo tale che i loro capitali siano blindati, non sequestrabili e liberi di moltiplicarsi. E siamo tutti vittime di questi imperi criminali. Perché se la mafia venisse sconfitta, tutti pagheremmo molte meno tasse, i servizi funzionerebbero, i politici onesti riuscirebbero a fare il loro mestiere, la giustizia avrebbe un significato diverso. Tutti avremmo una vita migliore. Tutti. Ma il nostro governo è più concentrato a perseguire i piccoli criminali, i fannulloni, i clandestini, i singoli assassini, anziché concentrarsi su queste holding del male che condizionano governi e istituzioni – spessissimo dall’interno -, e assumono poteri sempre più grandi. È una questione di priorità. Finché lo Stato italiano continuerà a spiegare forze e capitali contro la piccola criminalità, la vera criminalità, quella che ammorba realmente il nostro paese, continuerà a fiorire indisturbata nell’indifferenza generale, la sua linfa vitale.

L’indifferenza. Antonio Gramsci disse che l’indifferenza è il peso morto della storia. Aveva maledettamente ragione. L’essere indifferenti comporta danni devastanti nella società. L’essere indifferenti lascia che alcune persone governino su molte senza alcun controllo in un’ottica del tutto personale e oligarchica. Lo Stato e le dittature adorano l’indifferenza del popolo. Fanno di tutto per incentivarla e per assicurarsi, così, un lungo futuro. E questa è una cosa che gli stati hanno in comune con le organizzazioni mafiose. L’indifferenza è il cancro della democrazia. E l’attuale situazione politica e sociale italiana è un perfetto esempio di come l’indifferenza spiani la strada a un’oscura notte. Quella notte viscida dove l’indifferenza non è più un lusso, ma una legge.

L’indifferenza è sostanzialmente un problema culturale. Un deficit di cultura e una manipolazione costante e assidua della realtà da parte dei media, possono portare all’indifferenza. Secondo la classifica mondiale della libertà di stampa stilata da Freedom House, l’Italia è al sessantacinquesimo posto. La maggior parte dei quotidiani e degli organi di informazione sono quasi totalmente asserviti al potere. Quella che ogni giorno si porta avanti sugli schermi della televisioni e sulle pagine di alcuni quotidiani è una sofisticazione della verità. E si diffonde non soltanto attraverso le pagine dei quotidiani e le notizie dei telegiornali, ma anche nelle fiction televisive che tratteggiano una realtà totalmente avulsa rispetto a quella in cui viviamo, e in programmi spazzatura e talk-show che fanno avvizzire gli spettatori nel buio marcio della pigrizia mentale. Sembra quasi che dietro ci sia uno scopo ben preciso: distorcere il processo di consapevolezza, annebbiare le menti, renderle intellettualmente inoffensive fino a portare una progressiva perdita dell’identità individuale a favore di una massificazione morale e culturale di bassissimo livello. Per perseguire questi obbiettivi è necessario anche ridurre notevolmente la cultura – e il potere rivoluzionario insito in essa – e abbassare drasticamente il suo livello qualitativo. È quello che sta accadendo. Basta guardarsi intorno per rendersene conto. Stanno estirpando la cultura. Continuano a tagliare fondi alla cultura in favore di fondi per le forze armate e la sicurezza. Sradicano la cultura perché è pericolosa. Perché fornisce tutti gli strumenti per pensare. Sveglia le menti. Affila le coscienze. E questo per lo Stato – e per le organizzazioni criminali – non va bene. La cultura e la sana informazione sono antibiotici per l’indifferenza. La cultura e la sana informazione sono espressioni di libertà, e quindi entità rivoluzionarie. Ma l’opera sottile e diffusissima di spegnimento della cultura che si sta portando avanti non sarà per niente facile da fermare. Anzi. Questo processo è stato ormai portato all’esasperazione ed è esponenziale; in quest’aria di recessione, la cultura – a partire dalle terribili riforme scolastiche – verrà sempre più delegittimata e manipolata.

Ed è proprio in questo preciso momento storico e politico che il filone letterario che prende il nome di noir mediterraneo si configura come un’arma di resistenza e denuncia rivoluzionaria contro la massificazione e la sofisticazione della realtà. Coniugando la fiction a una solida inchiesta e ad un’analisi spietata - nella sua oggettività – della realtà, questo genere letterario può veramente fare breccia nelle coscienze delle persone. Laddove una semplice inchiesta giornalistica o un saggio annoiano o appaiono eccessivamente distaccati, il noir mediterraneo con le sue storie dal ritmo serrato, i personaggi estremamente verosimiglianti, il linguaggio essenziale e accattivante e le trame avvincenti, trascina il lettore dentro una storia affascinante che si legge d’un fiato. Al tempo stesso, però, con la solida inchiesta che fa da fondamenta per il romanzo, si costringe il lettore a venire a conoscenza di una realtà scomoda, di una sottotraccia che racconta un problema che lo scrittore vuole riferire al lettore, sottovoce e molto sottilmente. I romanzi appartenenti al genere noir mediterraneo hanno principalmente due livelli di lettura: un primo livello è quello classico, quello con cui si affronterebbe qualsiasi altro romanzo d’evasione; il secondo livello scava più a fondo nel nucleo della storia, nell’inchiesta e nella denuncia che quella storia vuole raccontare. Sfruttando quindi storie di ampio respiro e ritmi serrati, gli scrittori che si dedicano a questo genere portano il lettore a pensare alla sottotraccia, alla denuncia, anche una volta che ha finito di leggere il romanzo. La denuncia in qualche modo riecheggia nella mente del lettore. Lo costringe a pensare, a valutare e prendere in considerazione ciò che gli è stato raccontato tra le righe. Ed è questo che differenzia questo genere dal più generale noir: la denuncia. La denuncia che ovviamente si accompagna ad una chiara e fredda disamina della società contemporanea nei suoi profili storico-politici ed economici-criminali, caratteristiche già insite di per sé nel genere noir, che lo rendono una perfetta chiave di lettura della realtà. Questo è lo scopo del noir mediterraneo. Denunciare. Sensibilizzare il lettore. Portarlo a pensare. Portarlo a conoscenza di crimini e problematiche criminali di cui non è a conoscenza, poiché la stampa non ha avuto il coraggio di raccontargliele, o perché semplicemente non ha voluto farlo. Fare un ritratto alla realtà con la penna della narrativa. Sostituirsi quindi in un certo qual modo al giornalismo d’inchiesta, con un'arma molto più potente, però, stretta in pugno: la fiction. Non si tratta di suggerire soluzioni. Lo scrittore non può fornire soluzioni, ciò non gli compete. Però dispensa dubbi, interrogativi. Vuole fortemente che il lettore si confronti con quella precisa realtà.

Il creatore di questo genere è senza dubbio lo scrittore francese Jean-Claude Izzo, autore della celeberrima trilogia marsigliese dell’ex flic Fabio Montale. In Solea in particolare – l’ultimo romanzo della trilogia – Izzo va a denunciare i viscidi e inestirpabili legami criminali tra politica, economia, alta finanza, e multinazionali criminali, portando il lettore a conoscenza dei profondi mutamenti nel tessuto economico-sociale dell’intera Europa, contaminati dal virus della mafia. È una criminalità globalizzata quella che Izzo denuncia. Una criminalità diffusissima che investe istituzioni e politica e si configura come un tumore inestirpabile. L’unica via d’uscita – paradossalmente – risiede nella denuncia stessa. Non arrendersi, ma denunciare. Portare più persone possibili a conoscenza di quel problema, con uno strumento avvincente come il romanzo. In questo la poetica del noir mediterraneo e del suo artefice è rivoluzionaria. Conoscere vuol dire lottare. Ignorare vuol dire arrendersi. Ed è qui allora che la condivisione della cultura e delle problematiche sociali diventa uno strumento di lotta e resistenza di massa.

Probabilmente la poetica e le intuizioni di Jean-Claude Izzo sono state fortemente ispirate da un altro noirista francese, di una generazione precedente, che ha indagato e eviscerato senza alcuna pietà la realtà nei suoi più di duecento romanzi: André Héléna. Questo maestro del noir francese aveva una vera e propria ossessione per la realtà in cui viveva. Si fece carico di portare la realtà sulle pagine dei suoi romanzi crudi e spesso osteggiati proprio per l’eccessivo carico di verosimiglianza. Ma l’autore francese continuò nella sua analisi della società francese degli anni cinquanta e sessanta, regalandoci dei capolavori inarrivabili, perfetti testimoni della realtà in cui Héléna viveva e scriveva. Le sue opere e la sua ossessione per la realtà nella sua osservazione più fredda e oggettiva, hanno sicuramente posto le basi per quell’amore verso la verità che è andato a costituire il cuore pulsante del noir mediterraneo di Izzo.

Prendendo spunto dalle intuizioni di Izzo, altri autori hanno seguito questo filone, rivendicando il potere culturale e di denuncia del noir mediterraneo. Massimo Carlotto ha senza dubbio portato avanti le lezioni di Izzo, arricchendo il genere e adattandolo ai continui cambiamenti socio-criminali dell’Italia scomoda che continua a raccontare da quasi ormai venti romanzi. I suoi romanzi rispecchiano in pieno quella che è la poetica del noir mediterraneo. L’autore padovano parte sempre da un fatto di cronaca o da una denuncia molto dettagliata per le sue storie. Sfrutta appieno il suo talento di scrittore e le potenzialità della narrativa per denunciare e sensibilizzare i lettori sui legami sempre più stretti tra economia, politica e criminalità organizzata. In questo le sue opere sono rivoluzionarie e scomode, poiché il noir mediterraneo di per sé è scomodo: è un genere che critica, che semina interrogativi, che scava laddove nessun altro posa lo sguardo o si sporca le mani. Carlotto sente la necessità di raccontare verità e ingiustizie nascoste alla società. Indaga e scrive. È un dovere quasi morale. Mette il suo talento di scrittore al servizio della realtà e usa il romanzo come tramite tra la realtà e il lettore. I suoi noir divengono quindi cerniere di congiunzione tra verità nascoste o trascurate dai media e il lettore, che a partire da una storia mozzafiato si trova necessariamente a confrontarsi su quelle verità che lo scrittore ha scovato, scavando e documentandosi a fondo, prima di infonderle nel romanzo. In un certo senso Massimo Carlotto usa il romanzo per amplificare la verità, per portarla all’attenzione di un pubblico più vasto e variegato di quello che può avere un quotidiano. Il suo rapporto con la realtà è quindi ovviamente molto stretto. I suoi personaggi sono perfettamente inseriti nella società attuale e aderenti ad essa. Sono pedine che l’autore utilizza per analizzare i cambiamenti della criminalità e il peso sempre più gravoso che essa ha sulla nostra società. Da questo punto di vista i romanzi di Massimo Carlotto sono radiografie molto nitide della società attuale. Col passare degli anni, però, nella produzione dello scrittore padovano si può notare che la denuncia del mondo criminale si fa sempre più forte, ma soprattutto va a toccare temi e ambienti sempre più scomodi e altolocati. Il romanzo Mi fido di te, per esempio, scritto con l’autore cagliaritano Francesco Abate, va a denunciare un fenomeno criminale non geograficamente delimitato, ma quasi globale: la sofisticazione alimentare. Frutto di una lunga e meticolosa inchiesta, quest’opera affronta un business criminale altamente redditizio, ma che soprattutto investe la società nella sua totalità. Partendo da questa denuncia molto specifica, Carlotto e Abate analizzano quella che può essere definita la nuova criminalità globalizzata: quella che è saldamente intrecciata con l’economia, tanto da non riuscire a capire dove inizia l’una e dove finisce l’altra. Questo romanzo segna una svolta nella produzione di Carlotto ma anche nella storia stessa del genere: con Mi fido di te lo scrittore ammette con ancora più forza che nei romanzi precedenti che la criminalità ha raggiunto un potere quasi assoluto. L’inchiesta alla base del romanzo testimonia che il crimine si è talmente evoluto ed ha inglobato così voracemente il mercato che è riuscito ad arrivare addirittura nelle tavole delle persone. Il cittadino non si trova più al di fuori dalla sfera del crimine, ma ne è imprigionato all’interno. A questo punto anche il noir mediterraneo deve adeguarsi – così come da sua natura – alle trasformazioni socio-criminali che si respirano nell’aria. Ed è qui che Carlotto, ancora affiancato da Francesco Abate, un’altra ottima penna al servizio della realtà, arriva a denunciare probabilmente una delle più grandi contraddizioni della nostra società: il poligono degli orrori di Perdas de Fogu. I due scrittori iniziano a documentarsi e raccogliere materiale e da subito si rendono conto che l’inchiesta ancora una volta è davvero scottante. Decidono allora di avvalersi della collaborazione di altri scrittori per poter gestire l’enorme quantità di dati che l’inchiesta porta alla luce. Nascono così i Mama Sabot, di cui anch’io faccio parte. Nascono col preciso intento di scrivere un noir mediterraneo, un romanzo che partendo da una rigorosa indagine e inchiesta – saranno mille e cinquecento pagine le pagine totali della documentazione – decide di affrontare un problema terribile come quello del poligono sperimentale per eccellenza, dove confluiscono interessi da capogiro – il poligono viene affittato per 400.000 euro al giorno a multinazionali belliche private – a discapito di un’incompatibilità totale con la terra e la popolazione sarda. Tutto ciò per sensibilizzare i lettori. Il nome stesso del collettivo di scrittori non è casuale. Sabot è lo zoccolo che gli operai durante la Rivoluzione Industriale gettavano dentro gli ingranaggi dei macchinari delle fabbriche per fermare il processo di produzione, per ribellarsi ad una situazione ingiusta e insostenibile. Da questo termine viene il verbo sabotare, e il collettivo che ha affiancato Massimo Carlotto ha voluto usare la metafora dello zoccolo per indicare il sabotaggio della macchina della menzogna. Ma è il genere stesso a presentarsi come sabotatore degli ingranaggi della menzogna. Col romanzo Perdas de Fogu Massimo Carlotto e i Mama Sabot vanno a denunciare degli orrori nascosti e secretati dalle istituzioni stesse, individuando delle contraddizioni proprio nel cuore pulsante della nazione. Si ha così l’ennesima conferma che la criminalità non è più un fattore esogeno alla società, ma endogeno. Anzi, in questo caso si identifica col cuore stesso dell’istituzione. Ed è qui che il noir deve essere coerente con se stesso e con la realtà che l’ha partorito: lo scrittore non può esimersi dal raccontare le nefandezze della società che ha rilevato; non può smorzarle, o filtrare la loro negatività: deve essere oggettivo. Deve raccontare la verità con onestà intellettuale, anche a costo di profilare una situazione maledettamente negativa, senza nessuna possibilità di consolazione. Perché il noir mediterraneo non è una letteratura d’evasione. Non soltanto. È uno strumento di lotta e resistenza contro l’industria della falsità, e deve perciò essere totalmente coerente con la sua poetica. Anche a costo di essere foriero di pessime notizie, che non lasciano speranza e incupiscono. Perché in verità la speranza esiste, e risiede proprio nella filosofia stessa del noir mediterraneo: la speranza è la condivisione della cultura e della realtà, ma anche dei sentimenti di rabbia e frustrazione per via delle ingiustizie descritte. Questo è, a mio avviso, il fine del noir mediterraneo: la condivisione della verità e di un moto di critica verso le ingiustizie e le incoerenze della nostra società. Così scrivere sarà sinonimo di lottare. E leggere di resistere.