Le mie paure, che sono poi quelle di tutti (malattia, perdita dei cari, morte) le vivo, per così dire, in anteprima: la maggior parte delle mie energie viene spesa nell’affrontarle mentalmente e nel vincere la paralisi; viceversa, quando mi trovo nel vortice, azzero tutto e reagisco molto meglio di altri. Scrivere per me finisce per essere una sorta di psicoterapia: poco costosa e a carico della collettività dei lettori.

Mangio un po’ di tutto ad eccezione di qualche frutto (tipo fragole) che mi dà una leggera intolleranza e dei funghi per i quali non c’è assicurazione di micologo che tenga: non mi fido e basta. Da sempre sono goloso di dolci in particolare e di carboidrati in generale: un mio pasto ideale prevede un ricco antipasto, pasta a volontà e poi dolce e, semmai, frutta. Della carne posso fare a meno e ancor più del pesce; vado pazzo per i latticini, soprattutto della ricotta condita con zucchero e/o cacao o con miele. Purtroppo ho una certa tendenza a essere sovrappeso e allora mi trattengo: da anni la sera mangio leggero.

Basta una bella pizza carica e una birra per passare delle notti insonni.

Devo dire di non essere un buongustaio: certo, quando vado all’estero, ho imparato ad apprezzare la cucina del luogo e a evitare come la peste i ristoranti italiani (dove d’italiano c’è semmai il padrone, mentre i cuochi vengono dall’Asia); ma devo ammettere che quando sono in viaggio il pasto è una necessaria, e talvolta seccante, pausa tra uno spostamento e l’altro.

Appartenendo sin dall’infanzia alla schiera dei bruttini stagionati, curo il mio aspetto ma non esagero, sapendo bene che non saranno i miei muscoli, il mio look, la mia immagine insomma a decretare il successo presso gli altri. A dire la verità prima di essere apprezzato ci vuole un po’ di tempo: infatti anche nei rapporti sociali do il peggio di me al primo impatto. Chi resiste e sa guardare al di là delle apparenze (fisiche e caratteriali) potrebbe avere qualche bella sorpresa: ma che fatica!

La mia città sarebbe Reggio Emilia, ma sono qui da vent’anni e non la sento ancora mia. Ne apprezzo alcuni suoi aspetti malinconici solo quando me ne separo: un po’ come si fa con quelle vecchie care “buone cose di pessimo gusto” (per dirla alla Gozzano) con cui si convive sino alla vecchiaia senza mai esserne appassionati. D’altra parte neanche Assisi, da dove provengo, è più la mia città. Mi sento perciò una sorta di apolide che ha veramente la sua casa in automobile: non prendendo l’aereo e sopportando a malapena il traghetto (il treno per costi e mancata puntualità non è concorrenziale) viaggio sempre in auto. Ho visitato l’Europa dalla Sicilia alla Svezia, dal Portogallo alla Polonia a bordo delle mie auto consumate anno dopo anno (devo avere accumulato in quasi 30 anni di patente sui 700.000 chilometri): il luogo più bello è quindi quello che sto visitare. Non ho particolari amori: mari, monti, laghi, città d’arte, mi piace tutto. Basta che non debba rimanere nello stesso posto per troppo tempo.

Invidio gli scrittori che riescono, o possono permettersi, di fare orario d’ufficio anche quando scrivono: la mia professione di insegnante, fatta sul serio, e gli impegni di una famiglia lontana dalle comodità di nonne e zie, che ti rendono facile la vita, confinano la scrittura a quei momenti che possono essere sottratti con fatica ad alunni, moglie e figlia.

Il pc, come il cellulare e altre tecnologie, non fa parte del mio DNA (sono nato in tempi di Olivetti 32, vinile, telefono fisso e monocolore, tv in bianco e nero), ma mi sono adattato con giudizio, considerando sempre l’utilità del mezzo, ma senza diventarne schiavo.

Per scrivere il pc è molto utile in fase di revisione quando devi “asciugare” la pagina e quindi il lavoro di “taglia e incolla” è molto facilitato. Viceversa credo che in fase creativa il pc costituisca un pericolo: la fatica fisica dello scrivere a mano o a macchina costituiva una disciplina per i talenti tendenzialmente logorroici. Non ho particolari terrori da pagina bianca o da scadenze contrattuali perché la mia attività di scrittore è talmente di nicchia (a differenza di qualche mio collega non me la sto a tirare e cerco di dire pane al pane) che nessuno mi obbliga a scrivere e nessuno mi offre contratti principeschi da onorare con il terrore di non farcela.

Di scrittura si può vivere, anche se in Italia è un po’ difficile: in ogni caso, almeno nel nostro campo, i Camilleri, i Lucarelli, i Faletti, i Macchiavelli lo fanno e quindi è possibile.

Io no. Faccio l’insegnante e coltivo l’hobby della scrittura che, come già accennato prima, è una forma di igiene mentale. Ho iniziato coi primi racconti quando lavoravo in banca a Perugia (e mi servivano per sopportare il mobbing, quando ancora nessuno ne parlava o perlomeno lo aveva definito nei suoi termini precisi) e ho continuato quando sono approdato a Reggio Emilia e all’insegnamento (come utile antidoto al logorio del contatto quotidiano con gli studenti). Ricordo che quando ero ancora in banca, insieme col cassiere (lui si sfogava facendo l’attore in una compagnia teatrale dilettante e ci siamo contagiati a vicenda con reciproca soddisfazione) elaborai un giallo che aveva come nucleo una sottrazione di fondi da parte di due impiegati. Il metodo che avevamo escogitato era così credibile che il nostro capufficio, un brav’uomo, ci consigliò di far sparire il dattiloscritto per evitare che il Servizio Ispezioni cominciasse a far domande. Il romanzo rimase incompleto e dopo qualche tempo scomparve dai cassetti della filiale. Per la mia carriera di scrittore devo ringraziare Antonio Perria: dopo averlo apprezzato come autore ai tempi della mia tesi di laurea e dopo averlo conosciuto di persona in un’estate a Cattolica al “MystFest”, ebbi la pazza idea di coinvolgerlo in un romanzo a quattro mani. Lui, che avrebbe potuto ignorarmi o comunque liquidarmi con eleganza, accettò la sfida su un piano del tutto paritario e così nacque Il caso Degortes con cui vincemmo il premio “Alberto Tedeschi” nel 2002. Da lì poi, nonostante la morte di Perria, ho continuato senza mai fermarmi. Assieme a lui e prima di lui è stato importante Loriano Macchiavelli al quale mi legano 25 anni di amicizia.
L’ho conosciuto nel 1982 quando intervistato i giallisti italiani per la mia tesi e anche lui fu estremamente disponibile: da allora le nostre strade si sono incrociate più d’una volta e sono contento di avergli dedicato, assieme a Roberto Pirani, una monografia. Fatto che, oltre a essere abbastanza inconsueto in Italia per gli autori viventi, credo che abbia suscitato nell’ambiente qualche incomprensibile gelosia.

Appunto perché scrivo di morti ammazzati mi sento del tutto esonerato anche dal pensare lontanamente a mettere in atto un omicidio. Non farò dunque sparire nessuno mentre qualche volta mi piacerebbe sparire – solo momentaneamente, si capisce – per sorprendere certe conversazioni, certi colloqui intimi di persone che non hanno il coraggio di dirti in faccia come la pensano.

A parte i morti di carta i miei passatempi sono abbastanza tradizionali: lettura – sono un bulimico negli acquisti e non riesco a tener dietro a tutto quel che compro – e poi cinema, qualche concerto di cantautori, viaggi appena si può. Godermi la vita? Ecco un concetto che mi è estraneo. Per farlo dovrei rilassarmi ed essere totalmente appagato dell’”hic et nunc”. Purtroppo io vivo invece nel rimpianto del passato e nell’attesa del futuro. Probabilmente quando imparerò a godere dell’attimo, sarà troppo tardi.

Massimo Carloni, 1959. Italia. Critico dei generi letterari e televisivi di massa e scrittore di polizieschi: da solo (17 casi per il commissario Chiara De Salle, 2005), a quattro mani con Antonio Perria (Il caso Degortes, Premio Tedeschi, 2002 e Il caso Lampis, 2004) e a sei mani coi magistrati Alessandro Cannevale e Sergio Sottani (Backstage). Sua è L’Italia in giallo (1994) in cui esamina gli sviluppi del noir contemporaneo italiano, testo imprescindibile che ha anticipato e aperto la strada ad altri volumi che hanno esaminato successivamente il fenomeno del noir in Italia. Con Roberto Pirani ha scritto la più completa monografia su Loriano Macchiavelli e sta curando l’edizione di tutti i racconti di Sarti Antonio per Mondadori. (MS dal DizioNoir)