La scimmia pensa, la scimmia fa. Una bara viene, l’altra va. Prima di trascinarsi fino ai confini del Paradiso tocca penare. Dopo aver penato tocca pure morire e siccome morire, che è già tanto, pare non bastare, tocca morire per colpa di una stupida gelosia o per caso (il che è pure peggio…). Ai confini del paradiso, del regista turco-tedesco Fatih Akin (La sposa turca), è un trittico dolente per due terzi (La morte di Yeter, La morte di Lotte) appena mitigato dall’ultimo terzo (Ai confini del Paradiso) che in una lunghissima inquadratura fissa su di una spiaggia, cerca di ricomporre i cocci di un rapporto andato in brandelli. Spalmato tra Turchia e Germania, Ai confini del Paradiso è la dilatazione simmetrica di temi forti. La simmetria governa il racconto in lungo e largo come un’entità soprannaturale: una bara va, un’altra viene, una figlia cerca la madre, un’altra madre cerca la figlia, quanto di turco stava in Germania torna in Turchia e quanto di tedesco stava in Turchia torna in Germania. La simmetria dei rimandi però si ferma di fronte ai singoli frammenti che la compongono e che a prenderli singolarmente sembrano buttati sullo schermo a caso, visto che si inizia quasi dalla fine, si ritorna all’inizio, si finisce riallacciandosi alla fine, in un modo che abbiamo imparato a conoscere (Altman, Arriaga) ma che non smette di sorprendere, anche se stavolta a fare la differenza è che più che incrociarsi i frammenti si sfiorano soltanto e molte buone intenzioni restano nel limbo delle cose sperate e mai realizzate. In un racconto che fa del destino il compagno di viaggio preferito, c’è spazio per l’emozione, altissima per almeno due terzi, merito della sceneggiatura di Akin (premiata a Cannes nr. 60) che riesce a far coesistere tanti temi senza sceglierne uno e invece scegliendoli tutti: la pietà, lo sradicamento, il terrorismo, l’amore, la passione, l’ottusa burocrazia. Fa un piacere trasversale, metà fisico metà psichico, rivedere Hanna Schygulla nei panni di mater dolorosa. Parte piano, da attrice di gran classe qual è. Poi gli basta una cucina, una torta da preparare, un aggeggio per denocciolare le ciliegie, ed eccola tornare ai tempi belli di Fassbinder e poi, in una scena successiva (in una stanza d’albergo), andare se possibile ancora più in là.