Il libro

Siamo nel 2050. Il pianeta è surriscaldato. Dopo che l'ecoterrorismo ha fatto sprofondare il pianeta nel terrore e in immani disastri ambientali, la società si sta riorganizzando. Un ente si occupa del recupero di territori devastati: è il Dipartimento. A capo c'è Mario Meier. Sua figlia viene rapita e tenuta prigioniera nel mostro morto, che quand'era vivo era l'area del Petrolchimico dell'Alto Adriatico (leggi Marghera). Un prete, Nelson Cattelan, viene incaricato di trattare coi rapitori.

Questa la sintesi che ci introduce nel mondo delirante descritto da Eraldo Baldini. Un futuro non troppo lontano in cui il disastro che si sta dipanando sotto i nostri occhi giorno per giorno, è solo un po' più visibile, ma la sostanza, la Melma, è sempre la stessa.

Vagamente ballardiano, quadratissimo, questo romanzo, per quello che ci fa vedere spingendo solo un po' l'acceletatore temporale, fa incazzare sul serio: malattia, morte, prese per i fodelli, umanità che vive al margine della sopravvivenza, proteste che finiscono vuoto come un urlo muto, contraddizioni e la magnifica trinità interesse, potere e denaro.

Un trittico che da Omero a Sciascia non smette di fischiare nella letteratura, rimanendo inascoltato.

Parla l'autore

Da dove nasce la scelta di scrivere degli orrori del Petrolchimico di Porto Marghera? Tra gli autori che hanno aderito all'iniziativa di Verde Nero, immaginavamo questo tema trattato da Carlotto. Prescindendo dal fatto che questi sono problemi che riguardano tutti, cos'è che ti ha spostato da Ravenna nel Veneto?

Ho familiarità con i problemi di un petrolchimico: dalla finestra vedo la lunga skyline di quello della mia Ravenna. E anche l’ambiente su cui si è insediato il complesso produttivo accomuna la mia zona con quella della laguna veneta: un ecosistema di stagni, barene, pinete, dune, su cui sono nate qualche decennio fa le ciminiere. Dunque, non ho dovuto fare un grande sforzo di immaginazione; tra l’altro il Veneto lo conosco piuttosto bene.

Anche in questo romanzo fondi diversi generi, tra cui il noir e certe atmosfere horror e gotico- decadenti. E' una scelta meditata di stile oppure senti semplicemente - istintivamente - che questo è il tuo registro?

Mi affido molto all’istinto, alla spontaneità stilistica; non mi sento imprigionato nei temi o nei generi, e se la mia scrittura ha una certa cifra è perché, probabilmente, questo è davvero il mio registro principale.

Nello spazio di poco più di centoconquanta pagine, Melma affronta parecchie problematiche legate alla vicenda di Porto Marghera (tra cui possiamo citare l'inquinamento massimo dell'Adriatico e il proliferare di malattie che hanno causato e causano la morte dei lavoratori e degli abitanti dell'area). E' stato difficile distillare un casino così imponente in poche righe? Senti, a romanzo pubblicato, di aver tralasciato qualcosa?

In effetti la problematica di quel petrolchimico e di quell’area è molto complessa, e in un’opera narrativa non è possibile né, credo, necessario delineare un quadro scientificamente esaustivo. Mi sono affidato molto ai documenti prodotti negli anni da Legambiente e da Greenpeace, alla lettura di saggi e articoli sull’argomento, e per una certa parte ho messo del mio, visto che l’ambientazione del romanzo è nell’anno 2050, il che consentiva qualche volo di fantasia.

Da dove si può partire, secondo te, per cercare di risolvere il problema?

Non sono in verità un esperto del settore, ma solo un narratore. Credo comunque che occorra partire dal fatto che ognuno faccia la propria parte: io, come scrittore, con questo libro ho cercato di fare la mia, sollecitando le coscienze dei lettori.

L'ecomafia fa parte del "sommerso" mediatico, su cos'altro focalizzeresti la tua attenzione(e quella dei tuoi colleghi)?

Credo che l’aspetto del "sommerso mediatico" sia già di per sé molto importante, e di più attinente competenza di chi scrive, narra, informa. Facendo la nostra parte in questo senso, già noi narratori avremmo avviato un processo utile e costruttivo.

Siamo tutti nella melma

Come dice giustamente Eraldo Baldini, il problema del Petrolchimico di Porto Marghera è grande e complesso. Vero, verissimo che una questione di tale portata non si riesca a esplicare in un'opera narrativa e, giusto, neanche è "necessario". Per cui, per approfondimenti, vi rimandiamo al sito di Verde Nero, www.verdenero.it

Da dove partire, allora?

Dal romanzo di Eraldo, certo. Ma anche da una storia emblematica. La storia di Gabriele Bortolozzo, estrapolata dall'ultimo paragrafo in calce a Melma, scritto da Antonio Pergolizzi, coordinatore dell'Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità di Legambiente.

"Nel 1994 un operaio del petrolchimico, Gabriele Bortolozzo, dopo la morte per cancro di quattro dei suoi cinque colleghi di lavoro addetti all'insaccamento del CVM (cloruro di vinile momomero), pubblicò il dossier Il cancro da cloruro di vinile al petrolchimico di Porto Marghera, che verrà depositato come esposto-denuncia presso la Procura della Repubblica di Venezia. Lo studio prova che dei 98 lavoratori a contatto con il CVM, in soli 5 anni, 28 avevano perso la vita: di questi l'82%, cioè 23 operai, erano morti per tumori di vario tipo.

Nel 1997 si apre il processo per strage di lavoratori e disastro ambientale che, dopo l'assoluzione di tutti gli imputati in primo grado, si concluderà nel 2004 con cinque condanne a un anno e mezzo di reclusione (per l'omicidio colposo di un operaio) e una valanga di prescrizioni e assoluzioni."