«Comunista, mio fratello Maurizio fu per quasi tutta la vita.

Io non sono mai stato comunista o filocomunista: per tutto il tempo in cui ciò poteva avere un senso concreto, io mi sono sempre considerato anticomunista una parola che, nelle idee e nella pratica ha molti significati, si va dal peggior fascismo al più puro spirito liberale e democratico. Un anticomunista dovrebbe sempre far capire in che senso lo è: se perché è liberale e democratico o se perché è fascista o cedevole verso il fascismo a causa dell'odio al comunismo. È una faccenda delicata: lo era settant'anni fa e lo è oggi.»

Il libro

1944. Nella Roma occupata dai nazisti, a casa Ferrara si presenta un ragazzo in divisa da ferroviere. È Maurizio Ferrara, chiamato alle armi dai fascisti e diventato al Nord partigiano comunista. Giovanni, il suo fratello minore, fatica a riconoscerlo.

Fine degli anni Novanta, Porto Ercole. La cognata chiama Giovanni: «Devi andare a parlare con tuo fratello». Lo trova in lacrime: «È tutto finito». Piange per la fine del sogno comunista, e per sé stesso, disperato, inconsolabile.

In molte famiglie italiane, nel Novecento la politica ha diviso, ma non ha potuto tagliare i legami di sangue. Maurizio (1921-2000), il fratello comunista, è stato uno dei leader del Pci, direttore dell'Unità presidente della regione Lazio, a lungo senatore. Giovanni, il fratello liberale, è stato professore di Storia antica a Firenze, collaboratore del Mondo di Pannunzio, senatore del Pri, di recente impegnato in Libertà e Giustizia.

Il fratello comunista è la storia del loro rapporto: la famiglia liberale e il padre antifascista, le drammatiche scelte del dopoguerra; e poi nei decenni successivi le divergenze ideologiche e politiche e gli affetti profondi, le differenze e le affinità, le discussioni e le reticenze.

Con una lucidità che pare a tratti spietata, ma anche con profonda empatia e comprensione, Giovanni Ferrara scava nella mentalità e nell'anima dei comunisti: nei loro ideali e nelle loro chiusure, nella loro visionarietà e nelle loro ambiguità, nel loro carattere e nelle loro ipocrisie, nella loro forza e nella loro tragica sconfitta.

Senza reticenze, mettendo in discussione prima di tutto il proprio credo liberale, Giovanni Ferrara si interroga così sulla storia del Novecento: sulla politica e sull'ideologia, ma soprattutto sugli uomini, insieme protagonisti e vittime della dittatura della realtà, ma anche dei loro ideali e dei loro sogni.