Un aspetto da artista ottocentesco, curato nell’aspetto. Ribelle, ma insieme gentiluomo. Nobile, ma nel contempo corsaro.

Si chiama Frank Schätzing.

E’ uno scrittore di successo. In patria, e all’estero. Il suo precedente romanzo, il thriller catastrofico Il quinto giorno, ha venduto oltre il milione di copie nella sola Germania. Anche da noi, ha ottenuto ampi consensi di critica e pubblico, con oltre 70.000 copie vendute in pochi mesi.

Dal 6 al 9 novembre è stato presente in Italia (Milano, Roma e Perugia) per presentare il suo secondo romanzo tradotto per il nostro mercato editoriale. Si tratta di un giallo ad ambientazione storico-medievale: Il Diavolo nella cattedrale.

 

Buon giorno Frank, e benvenuto nelle pagine web di ThrillerMagazine.

Grazie! (lo dice in italiano, n.d.r.)

 

Tod und teufel, questo è il titolo originale del Diavolo nella Cattedrale. Un titolo che ben introduce il romanzo. Ci vuole riassumere i contenuti del romanzo?

Nel XIII secolo, il mastro costruttore della cattedrale di Colonia cade dall'impalcatura e muore in corcostanze mai chiarite. Jacop la Volpe, ladro e fannullone, è l'unico ad avere assistito alla scena e a sapere che si tratta di un omicidio.

Ma anche l'assassino ha visto Jacop, che diventa l'unico testimone a sapere che quello che è accaduto non è un incidente, come tutti dicono. Jacop scappa per salvarsi la vita e tenta di capire il motivo di quel crimine. Si scontra così con un immenso complotto politico.

La pubblicazione originale del Diavolo nella cattedrale precede di qualche anno quella del Quinto giorno. So che il libro ottenne un eccellente successo di vendite in Germania, superando le 500.000 copie di venduto. Un’affermazione che può indulgere gli editori a esercitare pressioni per restare su un genere, piuttosto che sperimentare nuove strade.

Quando ha proposto al suo editore il progetto del Quinto giorno, ha dovuto lottare per dimostrare che valeva la pena rischiare il cambio di rotta?

Ha avuto a sua volta qualche segreto timore, almeno in parte, a cambiare registro? O piuttosto è nella sua natura di autore essere eclettico, giostrandosi in libertà tra generi e sottogeneri, trasversalmente, senza temere le contaminazioni?

No, nessuna difficoltà, perché un editore intelligente non insiste mai perché un autore si mantenga sempre nello stesso solco, ma è felice se  scrive ciò che vuole. E io non sono tipo da scrivere ciò che vogliono gli altri.

Riguardo al mio cambiamento di registro, però, devo dire che i miei libri hanno il comune denominatore di essere thriller, e cambiano i temi su cui si sviluppano. Questa varietà dipende dalla varietà dei miei interessi, perché sono sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo.

Torniamo al Diavolo nella cattedrale. Ogni romanzo ad ambientazione storica che si rispetti richiede una gran mole di ricerca e documentazione. Lo scrittore si ritrova ad un certo punto con un sacco di materiale utile. Troppo, in realtà, per gli spazi di un romanzo. Ma mai troppo per ricostruire gli scenari, per tentare di viverli prima di scriverli.

Nel narrare la Storia a volte si corre il rischio di soffocare la storia. Nella stesura del suo Diavolo nella cattedrale, ha “sofferto” molto della tentazione di utilizzare tutto questo prezioso materiale storico più del necessario per l’economia del testo?

E' vero. Quando si fanno tante ricerche, si finisce per approfondire - anche troppo - l'argomento e il rischio è quello di non sapere selezionare le informazioni e non trovare il giusto equilibrio tra ciò che è interessante e ciò che è superfluo. Infatti ho dovuto riflettere a lungo su cosa tenere e cosa buttare.

E spero di essere riuscito a raggiungere l'equilibrio che desideravo.

Quando si affronta un romanzo storico, si rende necessario affrontare la questione del linguaggio. Sostanzialmente tre le scelte: tentare di proporre un linguaggio realistico rispetto all’epoca (scelta ardua, ma anche poco consona alla narrativa di genere); “inventarsi” (sulla scorta di elementi verosimili, però) un linguaggio che possa in qualche modo avvicinarsi a quello del periodo in questione; “tradurre” al lettore attuale, proponendosi con una lingua sostanzialmente moderna, infarcita qua e là da espressioni e parole risalenti al momento storico raccontato.

Per un thriller storico, che richiede immediatezza e ritmo, pur senza rinunciare ad altri aspetti, si presenta come l’opzione più opportuna. E non è comunque un lavoro facile…

Una lingua antica autentica sarebbe impossibile, perché nessuno la capirebbe. Perciò ho optato per usare la lingua che parliamo comunemente, inserendo però qualche parola antica, non come modi di dire, ma come vere e proprie parole ormai in disuso. Per dire "birra", per esempio, non ho usato la parola "bier" che usiamo adesso, ma "gruit", che era la parola usata al tempo in cui è ambientato il mio romanzo.

 

I romanzi storici possono vantare anche, a modo loro, una funzione “educativa”. Cioè, quantomeno, “avvicinano” alla Storia. Senza presunzione. Stimolano a conoscerla. Ad apprezzarla. Magari ad approfondirla su testi specifici. Ovviamente, il buon romanzo storico non perde di vista la propria anima evasiva. Chiaramente, alla base c’è un intrinseco patto con il lettore. Ci sono però alcune responsabilità di fondo nei confini tra fiction e verosimiglianza. Anche lettori e critica però devono stare al gioco, consapevoli dell’accordo implicito. Evitando cioè eccessi di pignoleria. Concorda?

Sì, certo, il lettore deve stare al gioco. C'è tutta una base di verità storica su cui si inseriscono elementi di invenzione. Se così non fosse, il libro sarebbe un saggio oppure un testo di divulgazione storica.

E comunque la mia storia in parte è inventata, però le cose potrebbero anche essere andate proprio come ho detto.

Lei è laureato in Scienze delle Comunicazioni. Ha fondato un’agenzia pubblicitaria. Beh, a mio avviso la competenza in materia di Comunicazione è alquanto visibile nel suo libro. Sia come scelte di strutturazione. Sia come fluidità di prosa. Sia nel modo di agire di alcuni personaggi. Sia in alcuni dialoghi, principalmente nelle spassose diatribe tra Jaspar e Goddert. 

E' possibile, però non ci ho mai riflettuto davvero. In effetti, il lavoro di pubblicitario e di esperto di comunicazione mi ha dato una mano soprattutto per il lavoro di ricerca, perché impari ad accedere velocemente alle informazioni utili e a filtrarle. Per quanto riguarda lo stile, non saprei.

 

Una personalità come quella di Jaspar (per il quale presumo lei abbia una certa “simpatia”) di certo non può limitarsi a un’unica rappresentazione. E’ già stato protagonista di altri romanzi successivi al Diavolo nella cattedrale. Oppure tornerà in progetti futuri?

E' vero, ho amato molto Jaspar, però non ha potuto entrare negli altri miei romanzi perché sono ambientati in secoli successivi. Jaspar come lo vediamo qui non è ancora apparso, ma magari ci saranno personaggi simili nel futuro. Jaspar non muore in questo romanzo, e potrebbe ricomparire…

Quanto il pensiero di Jaspar appartiene davvero al suo tempo? Quanto piuttosto a Frank Schätzing?

Il pensiero di quasi tutti i personaggi di un qualunque romanzo riflettono un po' il pensiero del proprio autore, siano essi buoni o cattivi. E' anche vero che alcuni sono vicini all'autore più di altri.

E io condivido molti punti di vista di Jaspar, ma a differenza sua non inizierei la giornata con un bicchiere di vino rosso…

C’è una soffusa ironia presente in modo piacevole, mai invasivo, nel romanzo, attraverso gli scambi dei protagonisti…

Concepisco storie del genere solo se dotate di umorismo, altrimenti diventerebbero una cosa troppo seria. Bisogna poter ridere in una storia in cui c'è qualcuno che muore. L'ironia è il privilegio degli intellettuali, categoria a cui Jaspar appartiene. Lui è, per molti versi, un ribelle, un incompreso, perché non è in sintonia con le regole dello Stato e della Chiesa. A quel tempo, era assai pericoloso dire certe cose apertamente, e allora l'ironia gli viene in aiuto. In Uhrquhart, invece, l'ironia si trasforma in cinismo.

Mi tolga una curiosità. Un particolare “indimenticabile”: il naso di Richmodis. Un omaggio a qualche bella signora?; )

La vera bellezza non è mai perfetta. Un viso perfetto è noioso. Siccome Richmodis è bella, le ho messo un nato storto.

E veniamo al protagonista oscuro. Al sicario. A Urquhart. Personaggio ben descritto, e – ammettiamolo – molto cinematografico. Farebbe un figurone sul grande schermo!

Sì, riesco a immaginarmelo bene come personaggio di un film. Ma non sarebbe una cosa da poco, perché si tratta di un personaggio particolare: ci vorrebbe la variante intellettuale di Arnold Schwarzenegger, mescolata allo charme di George Clooney e alla cattiveria di Darth Vader di guerre stellari. E adesso mi trovi lei l'attore che potrebbe interpretarlo…

Il progresso della civiltà araba durante il nostro medioevo, e poi le crociate pretestuose, la violenza e le bugie che le accompagnarono… Sono alcuni aspetti su cui alcuni occidentali vorrebbero a tutt’oggi chiudere gli occhi…

Ne ho parlato perché le cose stavano proprio così. La cultura araba, durante il nostro medioevo, era più avanti della nostra: nella medicina, nella cultura in generale, e nella tolleranza nei confronti di altre religioni. Il Cristianesimo ha poi avuto alcuni secoli a disposizione per evolversi a sua volta.

Ma oggi i parametri sono diversi.

A un certo punto della traduzione italiana si legge: "Goddert ci crede", sospirò Jaspar. "E come lui molti altri che non hanno vere convinzioni e confondono la debolezza con la fede. Passa da una posizione all’altra. Da ciascuna prende qualcosa, però mai qualcosa di giusto, e poi fabbrica quella che considera la sua opinione. (…) Si nasconde la triste consapevolezza che Goddert non ha uun’opinione propria. So che non dovrei parlare così di lui, ma è un esempio della funesta mentalità che domina il nostro tempo. Se la gente smetterà di farsi un’opinione, se prenderà la parte per il tutto e non cercherà più i nessi, il mondo diventerà una chiesa senza malta fra le pietre. Crollerà (…)" Affermazioni buone per il 1260, ma più che mai attuali.

E' vero, Goddert e una persona di gran buon cuore, ma è un opportunista, il classico esempio di persona che non capisce che cosa gli stia accadendo intorno e in questo senso assomiglia a un sacco di gente. Jaspar, al contrario, tenta sempre di analizzare la verità.

Come si presenta il mercato editoriale tedesco? In quali generi gli autori tedeschi si dimostrano più attivi e dotati, a suo avviso?

I tedeschi continuano a leggere relativamente molto e il mercato dei libri in Germania, pur avendo dei problemi, non ne ha tanti quanti altri Paesi. Direi che le qualità degli scrittori tedeschi risiedono prevalentemente nella loro serietà, quindi sono adatti a tutto ciò che richiede documentazione e alla cosiddetta "letteratura impegnata". Per quanto riguarda l'intrattenimento, non sono particolarmente forti, e soprattutto i thriller li importiamo per il 99% da America e Gran Bretagna. Tuttavia, abbiamo anche un paio di bravi scrittori di polizieschi.

 

Qualche autore italiano che lei ha avuto modo di apprezzare come lettore?

Umberto Eco, che mi piace molto e di cui ho amato soprattutto Il Pendolo di Foucault e i suoi racconti.

E poi Luciano De Crescenzo e il suo Così parlò Bellavista.

Ha pubblicato altri libri, oltre ai due tradotti in Italia?

In Germania ne ho pubblicati sette, compresi i due tradotti in Italia. E ho toccato temi molto diversi, dal Medioevo al terrorismo, dai serial killer al mangiare e al bere, e poi gli oceani e mostri degli abissi.

Progetti per il presente e per il futuro?

Deve restare una sorpresa, e delle sorprese non è bene parlare in anticipo…

Siamo in chiusura. Spazio per un piccolo spot auto-promozionale. A lei la parola…

Ci sono persone che amano i libri. E persone che li odiano. Ma ad altissimo livello.

Non ci resta che ringraziarla per la disponibilità. Arrivederci al suo prossimo successo!

Grazie! (in italiano, n.d.r.)